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Memories of Alhambra: un Drama coreano per Nerd occidentali

L’arrivo di Netflix ha indubbiamente cambiato e amplificato il nostro modo di fruire delle serie tv. Non che prima del suo avvento ne fossimo all’oscuro, ma c’era più indecisione e una certa staticità nell’offerta per colpa dei mezzi al limite del legale, molto lontani dall’essere dei veri e propri cataloghi dal facile utilizzo. Il “metodo Netflix” ha però stravolto i nostri consumi, bombardandoci di così tante produzioni da rendere impossibile poterle seguire tutte contemporaneamente. Eppure tale ricchezza ci ha permesso di conoscere opere molto diverse tra loro, ampliando significativamente i nostri orizzonti visivi e culturali.

Il servizio di streaming a pagamento in questione è piuttosto attento all’espansione in oggetto, con tanto di algoritmi e sezioni pensate per esporre al consumatore medio anche produzioni di paesi esterni alla sua sfera d’appartenenza. Alle spalle di serie europee e americane possiamo trovare produzioni di Bollywood, anime giapponesi e corti/documentari dall’ampio respiro geografico.

Se sfogliate il catalogo di Netflix in questo preciso istante troverete un sacco di show televisivi del mercato asiatico, oltre all’ondata di anime d’annata. Tra queste produzioni televisive il caso più particolare, e dal grande seguito da parte delle teenager europee, è quello delle serie coreane o “drama”. Nel bel mezzo del successo di Game of Thrones, The Walking Dead e altre mille mila produzioni stellari, è difficile vedere un appassionato occidentale dedicare del tempo a un genere con delle tecniche narrative molto, ma molto diverse. Eppure, come ho scoperto sulla mia stessa pelle, questo mondo è molto meno lontano di quanto comunemente si pensi. A nostra discolpa però, la loro diffusione così facilitata è un fenomeno recente, quasi inedito.

Tra le nuove offerte proposte da Netflix, Memories of Alhambra è decisamente lo show più adatto per introdurre un occidentale al peculiare stile coreano, soprattutto perché sottolinea egregiamente i punti in comune presenti nelle due culture. E quale miglior appiglio se non quello di un gioco mortale in realtà aumentata ambientato per le strade della bella Granada? Un po’ derivativo forse, ma con il giusto twist per renderlo abbastanza originale.

I protagonisti di questa storia sono altrettanto atipici: Yoo Jin-woo (Hyun Bin) e Jung Hee-joo (Park Shin-hye) hanno entrambi la loro vita felice nel proprio paese. Il primo è un miliardario proprietario di una compagnia di Seoul che sviluppa videogiochi e lenti a contatto per la realtà aumentata. Lei invece è la ereditiera di un ostello sgangherato dove vive con la famiglia fino a quando non incontra il giovane CEO e si ritrova nelle sue trame. Questo per colpa del suo geniale fratello programmatore, il quale progetta un gioco mastodontico e poi scompare misteriosamente prima di arrivare alla stazione di Granada, non senza aver chiamato Jin-woo per proporgli l’acquisto dei diritti del prodotto.

Quale miglior appiglio se non quello di un gioco mortale in realtà aumentata ambientato per le strade della bella Granada?

Già in queste premesse possiamo fare alcune osservazioni sulla cultura coreana e sull’impostazione dei cosiddetti “drama”. La prima cosa da notare è come i videogiochi vengano rappresentati come un grande elemento sociale ed economico, tanto da creare vere e proprie aziende super quotate. Per quanto nello show questo sia naturalmente esasperato, in realtà il gaming in corea è sempre stato un fenomeno trattato con estremo riguardo dalle aziende e da tutti gli enti coinvolti nei suoi benefici.

Basti pensare agli e-sport e al loro ruolo, o al mercato smartphone super espanso o perfino alle grandi produzioni MMO di successo come il recente Black Desert. Tale quadro è spesso riproposto in pianta stabile anche negli show, tanto da rendere i protagonisti dei veri e propri giocatori o magnati di tale industria, come avviene anche nell’eccellente Strong Woman Do Bong Soon e nel suo co-protagonista imprenditore/giocatore. Se non inerente al gaming, è comunque comune nei drama coinvolgere il mondo aziendale, del lavoro o delle imprese. Questo perché in Corea (ma anche in Giappone o in Cina) l’impiego d’ufficio è l’aspirazione finale di qualsiasi individuo, assieme agli enormi benefici di avere uno status economico il più elevato possibile. Un vero e proprio nirvana sociale da vivere nei cubicoli dei tantissimi grattacieli che adornano le capitali asiatiche.

La struttura dei drama moderni, come Memories of Alhambra, è inevitabilmente legata a questa spinta. E, allo stesso modo, è quasi sempre presente come elemento contrastante una coppia e una storia d’amore molto, molto marcata. Nel nostro caso, la funzione romantica ha un ruolo centrale nello svolgimento degli eventi, ma non li assorbe del tutto. Piuttosto essa appare molto naturale e spontanea, principalmente perché i due protagonisti finiscono per coinvolgersi a vicenda nel corso della narrazione legata al gioco e al suo acquisto da parte della compagnia J-One.

Il trattamento “equo” della questione amorosa è molto importante nei drama coreani, ma non è mai eccessivamente plateale fino al climax delle ultime puntate. La tecnica, piuttosto fina e performante, è quella di tenere alta la tensione dello spettatore sino al limite della storia, lasciando che il feeling romantico tra i due si destreggi in un calmo crescendo in grado di lasciare chi assiste sempre sulle spine, anelante anche per un singolo bacio.

In Memories of Alhambra questo aspetto in particolare è stato molto apprezzato dalla critica coreana, la quale ha più volte sottolineato come lo show faccia sempre di tutto per non far calare l’attenzione, inserendo elementi misteriosi e incalzando senza sosta sulla relazione tra Jin-woo e Hee-joo. Un effetto simile a quanto avviene in altre produzioni di successo come il famosissimo Goblin o nell’interiorizzazione di Stranger, il quale è anch’esso curato dallo stesso autore di Alhambra e disponibile sempre su Netflix.

La “giovinezza” di questo show è un altro degli indizi più importanti per capire come riesce ad appellarsi così sagacemente anche a un pubblico più vasto. L’idea alla base della trama, infatti, si basa su due figure molto importanti per il panorama tecnologico odierno: Elon Musk e Pokémon Go (con una spruzzatina di Black Mirror). Non a caso Memories of Alhambra è il primo drama in assoluto a basarsi interamente su un gioco in realtà aumentata proprio perché prende spunto a piene mani dal fenomeno socio-culturale creato dall’uscita di Pokémon Go. Se vi ricordate dei suoi tempi d’oro, avrete sicuramente a mente quando il mondo sembrava impazzito con il sogno di uscire di casa e catturare Pokémon in giro per la propria città.

Ciò ha portato a numerosi dibattiti sull’effettivo valore di questa tecnologia, anche in un’ottica relativa allo stile di vita e al modo in cui la realtà aumentata possa cambiare il nostro modo di vivere il mondo esterno semmai diventasse più invasiva e verosimile. Memories of Alhambra immagina lo scenario in cui un gioco in realtà virtuale venga supportato su delle lenti visionarie (e qui entra in gioco Elon Musk tradotto nella genialità di Jin-woo e nella fantasia del prodotto futuristico) per un RPG di stampo “storico” in cui si combattono guerrieri nativi delle varie città del mondo. Capite bene come un simile design favorisca settori come il turismo (creando hotspot vicino ai monumenti), la ristorazione (mangiare in un determinato locale ripristina la vita) e numerose altre applicazioni estremamente fruttuose per il modello economico dell’azienda proprietaria e della città ospitante, motivo per cui la J-One non vede l’ora di metterci le mani e portarla a Seoul.

E l’inizio di Memories of Alhambra è basato proprio su questa meraviglia rivoluzionaria, coadiuvata dal bellissimo fondale di Granada e della sua architettura ricercata quanto esotica per i turisti dagli occhi a mandorla. La città estera e il prodotto fantascientifico hanno il compito di catturare subito lo spettatore colpendolo nel suo immaginario e nei suoi desideri, sempre mischiando un tema molto vicino alla maggioranza del pubblico e ai fenomeni globali, soprattutto se si usa il folklore come arma concettuale. Ma, come in un tipico Sword Art Online, qualcosa va storto nel codice e, durante un duello virtuale nel PvP, Jin-woo uccide per davvero il suo rivale aziendale ed ex migliore amico, creando una serie di eventi così grave da portare il protagonista a rischiare la sua stessa vita pur di sistemare il gioco e trovare il suo creatore scomparso.

Uno schema molto vicino allo scenario occidentale, soprattutto perché il videogioco e la sua “invasione della realtà” sono un tema spesso elaborato sia sul piccolo che sul grande schermo, basti pensare al recente Ready Player One o alla crescita dell’utilizzo dei visori per la realtà virtuale. Mentre in altre serie coreane spesso ci si sente estranei al contesto, come nel periodo storico di riferimento di Kingdom o nella mitologia/religione di Goblin o nel sistema amministrativo/sanitario estero di Life, Memories of Alhambra ci appare culturalmente vicino in termini di oggetto della narrazione e della scelta geografica preponderante nel corso della serie.

Se si è videogiocatori poi, l’effetto è ancora più evidente per via del linguaggio tecnico preciso e delle dinamiche tipiche di qualsiasi RPG esistente (come gli NPC o gli HUB per le missioni, ci sono perfino i Raid). Questa impronta si riflette anche nelle scelte di sceneggiatura, le quali appaiono meno vicine allo scenario classico dei drama e più legate all’immediatezza o alla spettacolarità. In effetti, ciò che davvero differenzia uno show coreano da un Game of Thrones o da Pulizie con Marie Kondo è proprio la peculiare impostazione della recitazione.

Memories of Alhambra ci appare culturalmente vicino in termini di oggetto della narrazione e della scelta geografica

Nei drama gli attori si comportano in modo molto particolare e gli sketch/inquadrature hanno tutte uno stile che riflette la storia culturale e d’intrattenimento dello scenario di provenienza. La struttura nazionale l’abbiamo pure in Italia, ma il distacco tra il nostro occidentalismo con l’Asia è enorme, così tanto da farci storcere il naso senza un approccio più graduale. Osservando altri show coreani disponibili su Netflix noterete impostazioni e cadenze particolari, approcci visivi apparentemente strani e un’enfasi enorme sulle smorfie facciali (oltre che una quasi totale assenza di scene di sesso o “sensuali”). Più di tutto però, è il modo di trattare le tematiche dello show a distinguere la via coreana dalle altre.

C’è della poesia nella narrazione e nei dialoghi, uno spessore rinnovato e anche una certa solennità che si alterna a un umorismo alle volte eccessivo e in altre talmente fine da snaturarsi. Viene dato ampio spazio alla “voce narrante” e alla qualità della scenografia, ma anche alla colonna sonora coadiuvata da moltissimi artisti famosi del panorama originale. La cura letterale di ogni singolo aspetto è la definizione della regia coreana, proprio per via degli alti standard che la televisione richiede. Ciò si riflette enormemente sugli attori, i quali danno maggiore rilevanza alle emozioni nella trasmissione di queste allo spettatore.

Memories of Alhambra è, infine, quel terreno di mezzo perfetto per tutti i curiosi in cerca di una nuova esperienza. Non solo perché è costellato di elementi molto vicini al nostro quotidiano o alle tendenze, ma ha un’anima d’azione così marcata da addolcirci quelle tecniche orientali a cui si è ancora poco abituati. Ma, più di tutto, c’è una spettacolarizzazione estrema per la parte da “gioco di ruolo”, creando una buona coordinazione tra elementi stunt o d’azione, perfino con zombie e militari, e il mistero dietro la sorprendente mistura tra virtuale e reale.

La storia d’amore poi, come abbiamo visto, è molto ponderata e va a rappresentare l’elemento più umano in un turbine corporativista dove tutti sono pronti ad azzannarsi per potere e soldi. Il classico contrasto tra il mondo ludico e quello delle grandi aziende, solo che il leader dell’azienda finisce per passare dal lato dei giocatori. Una struttura semplice e lineare dove si indugia nei dettagli e nelle sottotrame per creare un apparato abbastanza accattivante e occidentalizzante per certi versi, nascondendo un po’ il lento ritmo degli altri show più classici. Quello di cui siamo assolutamente sicuri è che una volta conclusa la storia di Memories of Alhambra avrete voglia di vederne ancora, proprio come avviene alla fine di un Russian Doll o di The Umbrella Academy. L’unica differenza è che adesso avrete in tasca le chiavi per il fantastico mondo dei drama coreani appena scoperti, lasciando a voi la scelta di esplorare nuove idee e storie proveniente dall’estremo oriente.

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