STAI LEGGENDO : Libro d’ombra - elogio dei cessi prima di Wenders

Libro d’ombra - elogio dei cessi prima di Wenders

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In occidente la modernità è stata un processo lento e progressivo che ha plasmato il nostro presente lavorando per secoli sul nostro stile di vita e sul nostro modo di pensare, ma cosa succede quando il cambio avviene in maniera molto più repentina?

Gabinetti e Giappone: un binomio che è sinonimo di meme e di poetica delle piccole cose.

Per l’Occidente il gabinetto giapponese è una figura mitologica fatta di pulsanti, orpelli, riscaldamento, raffreddamento, spruzzi, frizzi, lazzi: è il meme che sopravvive ripetuto allo sfinimento tra lo scatologico e il pruriginoso.

In realtà, per il gabinetto passa una disposizione di spirito che non può essere sottovalutata da tutti coloro che si dicono amanti della cultura giapponese e che non può essere trasfigurata solo in replica di katane in bella mostra sul caminetto, manga e videogiochi.

La sfida del samurai

Tra le storie che è facile ricondurre al passaggio del Giappone alla modernità c’è Yojimbo di Akira Kurosawa, il film che Sergio Leone plagiò per dare origine alla sua Trilogia del dollaro con Clint Eastwood.

Alla fine di Yojimbo, il protagonista interpretato da Toshiro Mifune si scontra con un avversario che brandisce un’arma da fuoco. Il duello sembra impari, come può una spada sconfiggere una pistola?

Non è mai la spada, è la volontà di colui che la brandisce.

Sergio Leone traslittererà in “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto”.
Come in tutte le traduzioni si perde qualcosa, senza con ciò andare ad inficiare il valore dell’opera di Leone.

Non è solo una questione di “portata” dell’arma: il duello di Yojimbo simboleggiava l’impatto della modernità sul Giappone. La condizione di isolamento in cui imperversava il Giappone prima della Restaurazione Meiji (1868) aveva creato una popolazione con uno sviluppo culturale totalmente autonomo rispetto al resto del mondo.

Parte della fascinazione che nutriamo per la cultura giapponese sta proprio in questa apparente autonomia rispetto al resto del mondo.

Ma non è proprio così.

Jun’ichiro Tanizaki nel suo Libro d’ombra datato 1933 parlava di una civiltà che si stava irrimediabilmente occidentalizzando.

Libro d’ombra racconta il passaggio del Giappone all’età moderna parlando degli oggetti di uso comune. Perché non tutti i giapponesi impugnano spade e ancor meno brandiscono pistole, ma tutti i giapponesi devono andare al gabinetto.

Un mondo in penombra

Il gabinetto in casa ai nostri occhi è la vittoria della modernità.

Un sistema che permette di scaricare e spedire attraverso un sistema di tubature le acque nere (termine tecnico) smistandole sottoterra alle fogne, lontano dagli occhi e dalle strade. Un sistema pulito, tecnologico, igienico. Acqua corrente fredda, calda, docce, bagni, termoarredi, lavandini, vasche idromassaggio e dal presente fino a qualsiasi forma possano assumere i bagni nel futuro. Tutto fantastico.

Ma se la modernità fosse vissuta come una violenza? Come la pistola brandita dal cattivo di un film.

Tanizaki ci racconta questo a partire dalla banalità della vita quotidiana, la necessità di ristrutturare casa, che diventa una riflessione sul valore dell’ombra per la cultura giapponese, in contrasto alla cultura (della luce) occidentale.

La luce è uno dei paradigmi del moderno: le ampie vetrate che fanno entrare salutari raggi di luce, allo stesso tempo permettono l'osservazione (e quindi il controllo) del mondo. L'involucro delle case che si assottiglia fino a diventare una leggerissima sfoglia di cristallo.

Lo stesso valore simbolico della luce intesa come luce dell'intelletto che riscrive il mondo secondo le regole della scienza.

I giapponesi hanno una maniacale cura estetica che riverbera, è il caso di usare questo termine, in tutti gli aspetti della loro vita. Passa attraverso gli oggetti di uso comune, come le stoviglie di legno laccate impreziosite dalla patina del tempo, così diverse, dal punto di vista sensoriale, rispetto alle porcellane occidentali.

Il brillare dell’argenteria è quasi offensivo per un giapponese che invece predilige le virtù luminose dell’oro, la sua capacità di risplendere nella penombra della casa tradizionale, o del tempio, a seconda se parliamo del pulviscolo dorato che impreziosisce la lacca del legno o le foglie dorate che circondano le statue dei templi.

È una luce che acquisisce una densità materiale, mai immateriale, mai diretta.

Così la giada che somiglia ad un frammento di epoca passata cristallizzato, o le perle, la cui luce sbiadisce alla luce delle lampade elettriche ma risplende al chiaro della luca.

Tutto ciò che è troppo lucido, brillante o trasparente è repulsivo per i Giapponesi.

Le lampade elettriche arrivano in Giappone, ma fondendosi con la forma assimilata della lanterna a petrolio che camuffa la sua luce, schermandola.

L’ombra della casa giapponese è da far risalire ai tetti dalle ampie falde che tracciano una linea d’ombra nettissima tra interno ed esterno: l’ombra esiste da quando esiste la casa e nella casa trova la sua dimora.

Intorno a quest’ombra la cultura giapponese ha costruito la sua estetica che investe ogni aspetto della vita, appunto, dalle suppellettili, alle decorazioni, al teatro, all’abbigliamento delle donne.

Anche la luce diurna che arriva nelle case viene stemperata dalla carta degli shōji, i tramezzi scorrevoli della casa tradizionale, carta che tra l'altro è completamente diversa come peso, consistenza e colore rispetto alla carta degli occidentali.

È come se schermando la vista con l'ombra, il senso estetico fosse equamente distribuito su tutti gli altri sensi. Il rumore, la luce elettrica, sono tutte deformazioni della modernità che si sono abbattute, praticamente da un giorno all’altro sul Giappone e in pochi anni la popolazione ha dovuto mettersi al passo con l'occidentale compiendo un balzo in avanti di secoli tutto in una volta.

È una forma di colonizzazione culturale, se vogliamo, è legittimo chiederci (come fa l'autore in un passo del libro) come e dove sarebbe la civiltà giapponese se avesse avuto la possibilità di continuare a svilupparsi secondo quelli che erano le sue prerogative.

L'antimoderno

Possiamo immaginare che questi siano pensieri oziosi, ma sarebbe solo l’ennesimo filtro occidentale con il quale guardiamo qualcosa di completamente alieno.

E quindi i gabinetti, che tradizionalmente erano concepiti per il riposo dello spirito, con l’avvento della modernità diventano tutt’altra cosa.

“Lisce pareti di legno dalle sottili venature, mirando l’azzurro del cielo e il verde della vegetazione […] sono necessari una lieve penombra, nessuna fulgidezza, la pulizia più accurata e un silenzio così profondo che sia possibile udire lontano un volo di zanzare. Senza tali requisiti non si dà gabinetto ideale.”

Libro d’ombra è un testo antimoderno, ma Tanizaki non è un cieco conservatore, al contrario mette in discussione gli aspetti impositivi della modernità ed è un caso più unico che raro trovare una testimonianza di un passaggio così repentino, fotografato per banalità estetizzate.

Alla fine possiamo veramente definire la modernità come una cosa buona?

Modernità e progresso potrebbero essere termini non sovrapponibili, soprattutto considerando come iniqua la stretta correlazione con svariate esaltazioni di matrice positivista, il suo elogio dell’ordine, del controllo, dell’astrazione della vita dalle infinite possibilità fenomenologiche che non possono essere parametrizzate.

Libro d’ombra ci appare adesso in parte come una testimonianza di quello che fu, in altra parte come un esercizio stilistico di prosa ispiratissima di un autore innamorato delle proprie radici che critica una tendenza che gli appariva disumanizzante.

Un testo nostalgico, ma non nostalgista, che affronta l’argomento nella sua forma originale di rapporto conflittuale tra uomo, tempo e natura.

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