Se il fascino dei dinosauri risiede nell’essere giganteschi animali che ci ricordano tempi in cui i draghi camminavano sulla Terra, il Megalodonte vive di un’aura ancora più semplice da spiegare: era uno squalo lungo al massimo 18 metri, ovvero quanto un grosso tir da rimorchio, per un peso che variava tra le 30 e le 50 tonnellate. Non serve molto altro per creare una leggenda.
Insieme al Kraken, il Megalodonte è il mostro marino per eccellenza, quello a cui scrittori e sceneggiatori guardano quando c’è da incutere terrore nell’acqua. La pensava così Peter Benchley quando scrisse Lo Squalo, che diventò poi il modello di film blockbuster americano a base di mostri e banco di prova per l’incredibile bravura di Spielberg. Era il 1975, era il suo secondo film, lo squalo meccanico funzionava male e il regista fu costretto a mostrarlo meno e usare altri trucchi per mantenere la tensione. Uno dei fattori chiave che lo fecero diventare una delle figure più importanti della New Hollywood.
La pensava così anche Steve Alten, che nel 1997 pubblica MEG, scritto giustamente tutto in maiuscolo, il classico libro d’evasione estiva che scorre pagina dopo pagina e dopo neanche qualche giorno non sai come ma l’hai finito. MEG, che generò non uno ma cinque seguiti, è diventato recentemente il film SHARK – IL PRIMO SQUALO dopo una gestazione lunghissima, ma non è di questo che vogliamo parlare adesso.
Torniamo a lui, al Megalodonte.
Come ogni animale preistorico, ci sono cose che sappiamo, altre che possiamo ipotizzare e altre ancora che sono state corrette nel corso degli anni. La prima è che il suo nome scientifico Carcharodon Megalodon, pare non corretta, perché lo metterebbe in connessione diretta con lo squalo bianco (Carcharodon Carcharias) che invece proverrebbe da un altro ramo evolutivo, la famiglia Lamnidae. Le ultime teorie hanno portato all’ipotesi di un cambio di nome in Carcharocles megalodon, appartenente alla famiglia delle Otodontidae, che non è arrivata fino a noi. Inizialmente si pensava che la parentela con lo squalo bianco fosse scontata a causa dei denti ritrovati, enormi e simili a quelli odierni, ma si tratterebbe di un caso di evoluzione convergente, ovvero quando specie simili nello stesso habitat finiscono per assomigliarsi moltissimo.
D’altronde le prime ricostruzioni del Megalodonte si basano proprio su questa presunta parentela, ma non è detto che l’aspetto reale fosse proprio questo, tuttavia in questo caso possiamo stare tranquilli: difficilmente qualcuno prima o poi scoprirà che aveva le piume.
Questo articolo è scritto in collaborazione con Warner Bros Italia e continua sulla loro pagina, dove scoprirete che il Megalodonte non era il più grosso predatore del mare e che invecchiando cambiava stile di caccia.