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Ho visto Barbie: e mi è piaciuto

Complimenti Greta Gerwig, missione (impossibile) compiuta: il tuo film su Barbie è riuscito a sorprendermi, in positivo, praticamente sotto ogni aspetto. Avevo paura che fosse troppo colorato: invece è colorato abbastanza da saziarti gli occhi ma senza esagerare. Avevo paura fosse prevedibile: invece è riuscito a farmi sorridere e spiazzarmi. Avevo paura che non fosse all'altezza del trailer pazzesco che avevi presentato al lancio: ma quello era solo l'inizio, c'erano altre trovate ad aspettarmi in poco meno di due ore di pellicola.

Tutto sulle spalle di Ryan?

Per rendere un film su Barbie credibile, comunque, occorreva una attrice che impersonasse Barbie capace di essere credibile nel ruolo: Margot Robbie era la scelta esteticamente perfetta, ma in molti ci siamo domandati se sarebbe riuscita a reggere il peso della bambola più famosa del mondo. La risposta breve è: sì. L'attrice australiana dimostra una volta di più di essere una ottima attrice: il suo personaggio, la Barbie Stereotipo che è perfetta in tutto e per tutto, si trasforma nell'incedere del film in una persona reale che come chiunque altro soffre di dubbi e incappa in situazioni che non è in grado di governare. E non si tira indietro: si mette sentimentalmente a nudo, accetta di mostrarsi in tutta la propria fragilità di essere umano, offre una prova da attrice matura.

Il vero colpo di scena, però, è il ruolo che interpreta Ryan Gosling: Ken al principio è solo la desinenza di "Barbie-e-Ken", così ecco che il suo bambolotto vive solo nello sguardo della sua Barbie. Il canadese riesce a far progredire il ruolo nello stesso modo in cui Margot Robbie fa col proprio: ci mette davvero del suo, si prende in giro da solo passando l'intero film a fornire una interpretazione costantemente sopra le righe che dimostra quanta benzina abbia nel proprio serbatoio comico.

 

Sbagliereste però se pensaste che, in un film che parla di femminismo, l'attore maschio finisca per oscurare il resto del cast: la verità è che la regista suona molto bene una intera orchestra (il personaggio di Michael Cera mi ha fatto davvero ridere un sacco), facendo percorrere a entrambi i protagonisti (e non solo a loro) una sorta di viaggio on the road che si trasforma in un surrogato del più classico romanzo di formazione. La scelta autoriale rende ognuno dei passaggi tipici di questo genere un tripudio di stereotipi: talmente paradossali, tendenti al camp nella sua incarnazione più virtuosa, da disinnescare totalmente la loro carica retorica per consentire di parlare di temi importanti senza smettere di ridere e di far sorridere.

Capitan Troll
Andando al cinema a vedere il film di Barbie, diretto da Greta Gerwig, ho avuto la distinta sensazione di stare partecipando ad un grande evento. Una sala ricolma, a Luglio, piena di gente di rosa vestita e che fa partire un sincero e divertito applauso quando il titolo del film appare a schermo. In questo senso, Barbie ha già vinto, con la sua comunicazione, con Margot Robbie che fa i tour promozionali vestita con i classici outfit della Barbie, col fenomeno di Barbienheimer (che purtroppo in Italia ci tocca saltarlo a piedi pari) e coi meme che hanno investito il web nelle settimane precedenti all'uscita.

Un tripudio postmoderno

Se vi è già capitato di leggere qualcosa di mio su queste pagine, avrete senz'altro notato che ho l'abitudine di utilizzare spesso questa parola: postmoderno. Dipende senz'altro dal fatto che trovo la letteratura anglosassone della seconda metà del ventesimo secolo il mio genere preferito, che abbia sullo scaffale accanto al mio letto tutti i libri di David Foster Wallace (e che li abbia letti più di una volta, tutti). Ma dipende anche dal fatto che ritenga, si tratta naturalmente del mio confutabilissimo parere, la letteratura postmoderna lo stile che più di ogni altro si adatta a raccontare il nostro vivere contemporaneo.

Nel suo film, Greta Gerwig adotta moltissimo di questo genere letterario: il film su Barbie è una sorta di metafiction, c'è ironia che scorre a fiumi, c'è la costruzione di un complesso universo narrativo parallelo (il mondo delle Barbie) che si contrappone alla realtà, senza farsi scappare l'opportunità di rompere la quarta parete ma senza neppure abusarne. La regista sfrutta questo approccio per riuscire a parlare di temi molto complessi con uno stile asciutto, semplice, alla portata di tutti: la critica sociale è inclusiva e intersezionale, non si rinchiude in un solo terreno di gioco. Se è vero che senza ombra di dubbio il film di Barbie è un film femminista, non c'è soltanto questa istanza portata sul grande schermo.

Dobbiamo dare atto a Mattel di aver anche annusato dove tira il vento, e di essersi mostrata disponibile a sua volta nel prendersi gioco di sé stessa: non si lesinano le frecciatine a come capitalismo e patriarcato abbiano condizionato le strategie aziendali (e non solo del produttore di giocattoli), non c'è nessun tentativo di glorificare una storia (della intera civiltà occidentale) che nella pratica ha prodotto diseguaglianze che ancora oggi permeano le nazioni che si definiscono "avanzate" e condizionano la nostra vita quotidiana. Parliamoci chiaro: Barbie è un film hollywoodiano in tutto e per tutto, ci sono pure i product placement che servono a far quadrare i conti, ma è una pellicola che senz'altro posso consigliare di guardare anche per la critica che muove al sistema che le ha dato modo di esistere.

Capitan Troll
Barbie non è solo divertente, ma è un film molto arguto che gioca a carte scoperte quello che vuole raccontare, partendo da Barbie e Ken per allargare il discorso sul patriarcato, sulla figura della donna e sulla mascolinità fragile. Barbieland, con le sue regole fisiche che non hanno senso (ma hanno perfettamente senso per le bambole) è uno splendido studio del materiale originale di Mattel, che si alterna a deprimenti scene del mondo reale, che per quanto esagerato, ci tiene a ricordarci che viviamo in un posto che non è tutto sto granché. Se su Margot Robbie avevo pochi dubbi, sono stato lieto di vedere un Ryan Gosling che punta sulla sua vena comica che ci aveva già mostrato in Nice Guys e che si prende la responsabilità dei numeri musicali del film. Forse non un film perfetto sotto tutti i punti di vista, ma un film che parte con una sua visione e la rispetta, che può diventare un cult e che ti fa uscire dal cinema con la voglia di comprare di una Barbie!

Non è un film perfetto

Onde evitare di capitombolare in un facile sensazionalismo, diciamo pure che Barbie non è un film perfetto: rallenta pericolosamente all'inizio del secondo atto (ma si riprende, per fortuna), soffre per un finale conciliatorio che inevitabilmente si fa più rarefatto di quanto fosse invece densa e ficcante la premessa. Il cast è davvero però tutto meritevole di complimenti per l'interpretazione, fotografia e regia sono riusciti così come lo sono i costumi e le scenografie: provateci voi a dare vita a un mondo di fantasia che ha popolato la mente di bambine e bambini dal 1959 a oggi.

Il principale merito da riconoscere a Greta Gerwig è di aver messo a frutto con successo i mezzi e le opportunità che un simile progetto le metteva a disposizione: il risultato è un film suo al 100 per cento, non banale ma al contempo estremamente ben fatto e gradevole. Dalla sala non usciranno delusi i fan di Barbie, non sono uscito deluso io che speravo in un film dal doppio o triplo livello di lettura: è un film che ritengo possa risultare digeribile perfettamente anche a i più giovani (e intendo proprio bambini e bambine), che troveranno alcune delle gag messe in scena davvero spassose senza dover comprendere necessariamente la riflessione profonda che c'è dietro.

Andate a vedere Barbie al cinema, godetevelo e contribuite a salvare un settore che sembrava ormai condannato: sembra che questa estate 2023 possa farlo tornare a rifiatare, pare davvero che ci siano voluti una bambola e un film tratto da una serie TV degli anni '60 a ridare benzina alle sale. Non resta che augurarsi che Oppenheimer di Nolan chiuda la tripletta e che ci possiamo ritrovare, a fine 2023, a immaginare un futuro in cui una scommessa come questo film possa essere ancora alla portata di Hollywood.

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