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Ho finito Final Fantasy VII dopo 24 anni e va benissimo così

Lo ammetto, mi dichiaro colpevole di sfrontato sensazionalismo.
È che ho mentito chiaramente nel titolo perché 24 anni è una quantità di tempo più interessante di 15, e tangenzialmente racconta la storia che piace ai Very Fan (tm) di uno che "c'era fin dall'inizio".

Seppure nel 1997 mentre usciva uno dei titoli più importanti per la diffusione del concetto di gioco di ruolo orientale al di là dei confini del Giappone, io fossi già in giro e in possesso di una console, ero lontanissimo dal mio primo incontro con Final Fantasy VII.

Questo evento magico avvenne da qualche parte durante il secondo anno di liceo (anno scolastico 2005-2006).
È una storia in parte già raccontata quando vi ho parlato di Mass Effect, ma vale la pena scendere un pelo nel dettaglio.
Al secondo anno di liceo inizio a conoscere altre persone con il mio stesso nocciolo duro di interessi: le cazzate. Compagni di classe che parlavano di videogiochi, anime e libri.
Final Fantasy VII non fu il primo FF a cui giocai, quel titolo spetta al VIII, che mi fu consegnato in una consunta bustina di plastica contenente i quattro dischi della versione pc, consunti e graffiati anche loro dal prolungato utilizzo e dai passaggi di mani.

Final Fantasy VII arriva immediatamente dopo, in versione pc prima e poi tramite le gioie dell’emulazione dopo.
Una serie di circostanza avverse mi hanno sempre tenuto lontano dall’epilogo. In primis, a causa una scarsa attinenza alla pianificazione delle partite, affrontate molto di impeto, tirando dritto, perdendomi pezzi alle spalle.

In alternativa a toppare era l’hardware: un passaggio di dischi che non adunava a buon fine, un salvataggio corrotto, il pc che decideva di smettere di funzionare e la mia avventura si interrompeva molto prima dell’epilogo.

Quindi, cosa è successo 70 ore fa per farmi tornare nel mondo di Final Fantasy VII?
Negli anni è stata una costante dei momenti di stanca tirare su un emulatore e tra la roba imprescindibile caricare anche le rom di FF7, oppure prendere fisse malsane come “debbo giocarmeli tutti” e la sua variante più pratica “debbo giocarmi tutti quelli moderni” e avviare una maratona per arenarsi solitamente alle prime istanze o al  a causa cambiamento del vento che porta novità.

Fisse malsane che adesso si possono assecondare in maniera del tutto legale.

È nel 2015 che una versione "rimasterizzata" di Final Fantasy 7 arriva sullo store di Playstation 4; è poco dopo che, a causa di uno sconto, mi ci fiondo come un uccello da preda.
Sono solito uscire da anni e anni di illegale fruizione con gesti eclatanti. Quelle del passato erano quindi solo copie di backup provenienti dal futuro. Tutto legittimo.

La mia legittima copia di Final Fantasy VII è rimasta incubata sull’HD della mia PS4 Pro per un tempo indefinito, in agguato, aspettando il momento giusto, che si è presentato, inaspettatamente in concomitanza con l’arrivo di PS5.
Final Fantasy VII si è rivelato prima un divertente intermezzo per i sabato pomeriggio fino a prendersi inaspettatamente il ruolo di Main Game del periodo. Con buona pace di tanta roba più nuova e del suo stesso "Remake", che nel frattempo è stato distribuito gratuitamente a tutti gli abbonati al programma PS+, (ma di questo magari parleremo dopo).

A fare la fortuna di questa run portata a termine dopo 15 anni è stata la possibilità di fare giocate molto lunghe  (adolescenziali, potrebbe dire qualcuno) portando avanti corpose sezioni di storia supportato da una soluzione online molto efficace (la trovate qui).

 

A compensare l’estremo ritardo nel concludere uno dei giochi più importanti della sua generazione però c’è una grande consapevolezza sul media acquisita tramite la stratificazione e il consumo di materiale simile sia sul fronte del videogioco di ruolo alla giapponese, sia anime e manga.

Il JRPG, nella sua prima incarnazione 3D, detta delle regole di conversione.

All’origine di tutto c’era il 2D e la formazione dell’icona, prendendo coscientemente come riferimento quello che si faceva in occidente con il trasporre il fantasy in videogioco, aggiungendo quel gusto nipponico per la sintesi grafica che nello spazio di pochi pixel riesce a racchiude il character design di Yoshitaka Amano.
Ad ogni icona è associata una classe, sistema che rimarranno per molto tempo nella storia di Final Fantasy, chiamate Job, per le variazioni che apportano alla classi che solitamente incontriamo in Dungeons & Dragons: Guerriero, Ladro, Mago bianco, Mago nero ecc… Qualcuno potrebbe dire che nel passaggio da oriente ad occidente le classi sono passate da archetipi a stereotipi, affrontare questo discorso adesso sarebbe sottilizzare.

Nella purezza del 2D la distanza tra l'oggetto e la sua rappresentazione è pari a zero.
Si agisce come un'icona-personaggio su di una mappa che è esattamente il mondo di gioco e non solo una sua rappresentazione.
L'azione è immaginaria, totalmente astratta e quindi puramente matematica, espressione dei parametri dipendenti dallo sviluppo del personaggio.

I Final Fantasy nel passaggio alle tre dimensioni diventano teatro puro.

Le regole matematiche alla base dell'azione restano le stesse, cambia il modo in cui questa è portata in scena.
In primo luogo, il cambio di scena che ci segnala l'inizio dello scontro. Uno spazio tridimensionale non interattivo confinato da un fondale, un palcoscenico sul quale vengono eseguiti gli ordini del giocatore che non agisce direttamente me tramite comandi da impartire.
C'è un unico gesto che rappresenta l'azione di attacco, un altro sta a rappresentare il lancio di un incantesimo e un altro ancora per l'utilizzo di un oggetto. Un gesto specifico per ogni azione, come in una coreografia, con il tempo dettato dalle ATB, incastrato in turni. Eseguendo le giuste combinazioni di azioni nei giusti tempi si risolve lo scontro.

In questo contesto astratto tutti gli eccessi diventano plausibili.
Scompaiono le sproporzioni, svaniscono le assurdità.
Le proporzioni sceniche dello scontro possono variare ma le regole di rappresentazione e matematiche che lo gestiscono no.
Così tra i nostri avversari sfilano in maniera indistinta e coerente bestie, soldati, deformità nagaiane e kaiju, con lo scontro finale che vede sempre come avversario il villain che cerca di compiere il salto di scala definitivo, la trasumanazione in un tripudio di fondali allucinati e ali sovrabbondanti.

La componente teatrale è inoltre esplicitata in maniera delicatamente metatestuale dall'incipit di Final Fantasy IX.

Similmente, anche il mondo di gioco segue regole teatrali.
Per tutto il tempo ci muoviamo su fondali statici prerenderizzati, scenografie fisse con le quali non si può interagire se non con specifici oggetti di scena e i personaggi non giocanti non sono altro che comparse incatenate al loro ruolo, in un loop che nessuna forza al mondo potrà rompere.

Privando della sua natura astratta il gioco, per me parte della gioia dei JGDR si è persa nelle sue incarnazioni più recenti, i cosiddetti Action JGDR che non ci vedono solo nel ruolo di burattinai che tirano le fila ai personaggi ma materialmente impiegati nella risoluzione degli scontri.
Non un caso quindi che più si spinge sulla componente action più la gestione del party è associata ad automatismi preimpostati della IA.
Il mercato fortunatamente è così vasto da coprire tutte le sfumature che passato da un’impostazione ultraclassica ad un più contemporanea, con titoli degni di nota sia su un versante che sull’altro.

Sta di fatto che, se dal punto delle vicende narrate questo resti incredibilmente coerente con il grande racconto avventuroso nipponico, con tutto il ventaglio tematico che gli compete, dal punto di vista della resa dell’azione, nel passaggio da una solo astratta-simbolica ad una più “diretta”, qualcosa per me si perde dal punto di vista degli scontri.
Sono più portato ad accettare gli eccessi tipici del genere come la completa arbitrarietà delle proporzioni in un contesto simbolico piuttosto che uno realistico in quanto maggiormente si punta su una rappresentazione “diretta” dell’azione più il valore di ogni attacco rappresentato dal numeretto sembra incoerente e insoddisfacente, proporzionato all’azione.

Con gli Action RPG, andando a guadagnare sul piano del coinvolgimento, perché un combattimento diretto è più coinvolgente di uno solo “impartito”, perdessimo di vista il concetto astratto alla base di tutti i RPG.

Con i “problemi di rappresentazione” mi sento anche in dovere di dire che si vanno perdendo anche i deliziosi eccessi e le assurdità come le entrate in scena delle evocazioni sempre più sgrravate man mano che la potenza degli attacchi aumenta (tipo Bahamut Zero ha grossomodo le dimensioni di Giove) o degli attacchi fatali dei nemici, e qui vale la pena citare il meravigliosamente eccessivo Black Hole di Safer Sephiroth, una meteora che viene richiamata dalle profondità della via lattea, distrugge tutti i pianeti del sistema solare uno per uno in modi tutti diversi (e già qui implicherebbe una traiettoria curva o strani rimbalzi balistici ignorando la legge di gravitazione generale di Sir Isaac Newton) per andare a schiantarsi nel sole (perchè prendere la Terra in pieno era troppo facile) e quindi l’attacco non è la meteora in se ma l’esplosione che deriva dalla distruzione del sole.
Alla quale comunque possiamo sopravvivere avendo fatto le mosse giuste.
Bellissimo. Kitsche e bellissimo.

A farcire e rendere estremamente contemporaneo Final Fantasy VII non è però solo la struttura di gioco che proprio per la sua impostazione classica è ancora estremamente godibile, ma anche una storia a tema ecologico anticapitalista che riverbera delle eco miyazakiane (nello stesso ’97 al cinema in Giappone ebbero Princess Mononoke ad indicare come un sottotesto eco serpeggiasse nel sentire artistico comune) sia dal punto di vista del design atemporale con elementi passati e tecnologie nuovissime coerentemente accostati, sia per il ritmo della stessa sapientemente dosato nell’alternare le pause e la fretta per la catastrofe imminente.

Colpisce inoltre come ancora tutti i personaggi abbiano un arco proprio che per quanto semplice non è grossolano e ognuno di essi ha delle motivazioni che lo caratterizzano e lo rendono unico cosicché è impossibile non affezionarsi a quei quattro poligoni che mandiamo in giro per il pianeta a bordo di un’aeronave cercando di impedire l’inevitabile.

Per quanto negli anni mi sia distaccato della serie a causa delle scelte compiute da Square Enix non riesco a disamorare Final Fantasy.
Progressivamente, quando gli sconti lo permettono, sto recuperando tutte le remastered disponibili per PS4. La prossima tappa sarà il XII, capitolo al quale non ho mai messo mano ( perché comunque un titolo del 2006 al prezzo di 50€ non si può vendere) ma nel frattempo ho installato Final Fantasy VIII e ho completato la missione a Dollet per l’esame pratico di ammissione nei SeeD.

L'Affair Final Fantasy VII Remake

A sentirmi parlare pare che io sia contro tutta l’operazione che ricade sotto il nome di Final Fantasy VII Remake, eppure come al solito la questione non è così tanto netta.

Sono estremamente felice che una nuova generazione di giocatori possa vivere e amare quel mondo come lo abbiamo amato noi, mi rendo conto che imporre ad un giocatore contemporaneo l’esperienza dei vecchi giochi può essere paragonato ad una tortura, come è anche legittimo che lo stesso videogiocatore possa trovare sgradevole una serie di elementi oggettivamente datati tipici di quell’esperienza.

Quindi, il mio astio nei confronti del Remake da cosa deriva?
Dalle decisioni prese da Square Enix a partire da Final Fantasy XV, un titolo per me ancora segnato nella lista nera degli errori videoludici della scorsa generazione.

Se siete fan della serie sicuramente ricorderete i gravi problemi di sviluppo che hanno preceduto l’uscita del gioco. Inizialmente doveva addirittura essere uno spin-off del XIII, quel fantomatico “versus” che ricadeva sotto l’ombrello della Fabula Nova Cristallis.
Seguirono un cambio di director a metà sviluppo e un consequenziale cambio di passo grossomodo a due terzi di gioco una volta che il level design passava allo splendido (ma forse un po' vuoto) mondo aperto della prima parte al viaggio in treno della seconda cambiando volto e addirittura gameplay, con livelli articolati in cubicoli o stanzoni dove il nostro eroe, privato della magia doveva scappare dei nemici andando a tirare un numero sproporzionato di leve tutte uguali per aprire porte tutte uguali.

Non il miglior curriculum possibile per un gioco

Ma la vera onta è la successiva distribuzione dei DLC (o Capitoli, che dir si voglia) a spizzichi e bocconi, che andavano a colmare i buchi dell’edizione liscia. A pagamento, ovviamente.

Rallentamenti nello sviluppo hanno portato a spalmare Final Fantasy XV per lunga parte della vita della scorsa generazione di console fino a trasformare radicalmente il gioco in qualcosa di diverso, qualcosa di diverso che magari affronterò quando sarà il momento, come accaduto con il VII.

Questo senza andare a soffermarci sul confusionario sistema di combattimento, alla telecamera che nei momenti più incalzanti va un po' dove vuole e alle armi che appaiono e scompaiono da mano, spacciata come feature incredibile mentre nella realtà è una delle principali fonti di confusione e disapprovazione.

Cosa c’entra tutto questo con il Remake del VII?

Che Square Enix ha ricominciato la sua operazione di rilascio di episodi ma questa volta in esclusiva per la versione PS5, trasformato a tutti gli effetti la versione PS4, uscita solo un anno fa, in una costosa demo dato che eventuali nuovi capitoli aggiuntivi, come il DLC su Yuffie uscito proprio in questi giorni saranno ad esclusivo appannaggio della nuova macchina.

L’upgrade alla versione PS5 del gioco è gratuito per tutti i possessori della copia PS4, costerebbe 9,99€ per tutti gli altri ma per chi lo ha riscattato con il Plus questo upgrade gli è precluso anche volendolo pagare, almeno per adesso.

Non sono entusiasta del modello distributivo che hanno scelto di adottare, non sono nemmeno contento che come utente ps+, il “regalo” che mi stai facendo è condizionato, come se venisse precluso l’acquisto di dlc per tutti i giochi ottenuti con il Plus.
Questo senza andare a toccare tematiche becere come “adesso la storia è diversa” e “mi stare rovinando l’infanzia”, anzi: proprio per le variazione che sono apportate alla storia questo gioco per me è ancora più appetibile, se non fosse che allo stato attuale preferisco stare alla finestra a guardare lo svolgimento dei lavori piuttosto che lanciarmi in un acquisto a testa bassa come avvenuto al day one di Final Fantasy XV per poi ritrovarmi un prodotto monco.

Restano aperti diversi interrogativi: il gioco continuerà ad evolversi per capitoli (DLC) successivi fino a coprire tutta la storia di Final Fantasy VII? Verrà rilasciato un sequel diretto esclusiva PS5 con il nome di Final Fantasy VII-2 Remake? E questo subirà di nuovo il trattamento a capitoli?
Insomma, motivi di perplessità ce ne trovo parecchi, anche considerando come, a complicare le cose, l’anno scorso ha fatto una fugace apparizione un prototipo non sappiamo quanto avanzato di Final Fantasy XVI di cui per adesso si sono perse le tracce il che significa che lo rivediamo, probabilmente nel 2023 con data d’uscita 2025.

Finire Final Fantasy VII mi ha ricordato i motivi per i quali amo questi giochi, per il modo in cui si insinuano e riescono ad emozionarti attraverso interazioni di personaggi fatti di grezza grafica poligonale, storie shonen e combattimenti a turni al di là di quanto si possa essere in rotta con il processo produttivo e distributivo del gioco.

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