Il 6 Dicembre scorso, alla fumetteria del Centro Commerciale, ho avuto il piacere di incontrare Giacomo Keison Bevilacqua e chiacchierare con lui sulla sua ultima opera edita da Sergio Bonelli sotto la nuova etichetta Audace mentre una lunga coda di persone si affollava dietro di me.
Questo è più o meno quello che ci siamo detti.
Seguo questo progetto da quando postasti su Facebook un video fantastico con un montaggio musicale di anime giapponesi vecchia scuola, tutte lucine, pulsanti, motori e mecha; quanto di quell’immaginario visuale hai buttato dentro Attica?
Chiaramente Attica nasce proprio grazie a quelle influenze, che poi sono le mie influenze. Nel senso, sono cresciuto con i manga e gli anime degli anni 80-90, sono dell’83, mio padre è un collezionista e un lettore avido di fumetti, ma preferendo sempre più i supereroi. Io invece sono sempre stato più appassionato al punto di vista orientale della questione. Fu lui che comprò la videocassetta di Akira come anche quella di Ghost in the Shell. Non piacevano i cartoni animati Disney, però quando vidi Akira, quando vidi i cartoni animati di Miyazaki…
Comunque non era un periodo felice quello per la Disney.
Esatto, però quando vidi i lavori di Miyazaki, di Ōtomo… fu una sensazione differente. Al di là dei cartoni animati che io già guardavo, tipo i vari Gundam, Nino il mio amico ninja, Yattaman… mi resi conto che c’era qualcosa di completamente diverso. Era in quel periodo iniziavano ad arrivare e io ci mi innamorai perdutamente. Poi mio padre mi portava ai vari Expocartoon e simili che erano le fiere del fumetto di Roma di quel periodo e lì compravo tutte di Dragon Ball… e insomma la mia passione è nata con quella roba lì.
Il nome Attica mi ha invece fatto venire in mente Quel pomeriggio di un giorno da cani…
In realtà Attica è nella accezione più classica del termine, un riferimento all’antica Attica, in Grecia, dove è ambientata la storia. Il ribattezzare la penisola il questo modo. Ma Attica è anche la prigione americana famosa per una rivolta negli anni ’70. Parliamo comunque di una città che è circondata da mura molto alte che per certi versi sembra un po’ una prigione.
Quindi anche stilisticamente legata all’immaginario di una città-stato dell’Antica Grecia circondata da mura.
Sì, c’è comunque questo tipo di riferimento. Il riferimento a Quel pomeriggio di un giorno da cani è venuto dopo, Al Pacino urlava “Attica, Attica”, per ingraziarsi l’opinione pubblica rispetto a quello che facevano ma è una cosa diversa. Postai il video anche un po’ come promo, mi faceva ridere che lui urlasse Attica a quel modo.
Cosa mi dici invece del formato? Quando l’ho visto la prima volta in mezzo ai manga, sembrava un manga. Puoi dire di aver fatto il primo manga edito Bonelli?
Guarda, in realtà il discorso è questo, sempre di fumetti si tratta. La parola manga è una parola un po’ particolare, vuol dire fumetto in giapponese, quindi se tu mi chiedi se ho fatto un fumetto io dico: ”Sì ho fatto un fumetto”. Se tu mi chiedi se ho fatto un manga, io ti dico: “Non lo so” perché ho fatto un qualcosa che è chiaramente scaturito dalla mia passione per i manga. La lettura è all’occidentale perché io sono nato con quella lettura lì e perché comunque per me sarebbe stato uno sforzo particolare anche a livello personale farlo al contrario perché avrei dovuto cambiare la direzione, dove vanno i personaggi nella narrazione… È chiaro che per marketing è d’impatto perché fa assurdo chiamarlo Manga Bonelli, però non lo so se è un manga. Diciamo che io, ecco, ho cercato di fare il più possibile un manga perché è da lì che vengo, ed è da lì che nasce la mia passione, quindi non lo so, tu chiamalo come ti pare.
Io sono contro addirittura l’annosa polemica sul termine Graphic Novel.
Io definisco Graphic Novel in genere i volumi singoli, quindi dico che sto facendo una Graphic Novel quando sto facendo un libro che inizia e finisce là. Ormai per me il Graphic Novel ha quella accezione là.
Tu sei un autore completo. Nel momento in cui tu dovessi soltanto esclusivamente sceneggiare o disegnare, con chi vorresti lavorare?
Eh, bella domanda! È tosta perché ce ne sono veramente tanti di disegnatori che mi piacciono, di autori che mi piacciono. Il discorso è che come sceneggiatore io non sono in grado di sceneggiare, perché io scrivo per me stesso. Quindi io scrivo cose super al volo del tipo: “Vabbè mo qua succede questa cosa che Kat fa sta faccia“ e metto un emoticon. Quindi nessuno riuscirebbe a disegnare una sceneggiatura così perché si troverebbe davanti a una situazione che non è immediatamente comprensibile. Quindi ti direi che nello scegliere qualcuno, opterei per qualcuno che mi stia parecchio dietro, perché scriverei la sceneggiatura e abbozzerei anche un layout molto dettagliato, quindi ti direi quasi un inchiostratore. Ma non metterei mai una persona, un autore che amo come disegna, al servizio di una roba così perché significherebbe limitarlo tantissimo. Quindi sceglierei qualcuno che c’ha pazienza, ma al momento una persona così non mi viene in mente. A quel punto direi un mangaka.
Il coronamento di un sogno, diciamo.
Guarda, se avessi un sogno nel cassetto e potessi spaziare ti direi Kenji Tsuruta. Ha fatto Omoide Emanon, ha fatto un sacco di fumetti che stanno uscendo per Showcase della Dynamic Italia, Forget-me-not… Ha fatto L’isola errante che adesso la Dynamic Italia sta facendo uscire di nuovo. Ecco andrei più su quella direzione lì.
Autore per il quale mi piacerebbe lavorare… Non lo so per lo stesso motivo, per cui adesso mi sono un po’ fregato da solo iniziando a scrivere la mia roba, anche se fosse un autore che adoro, non mi sentirei degno perché la mia fantasia sarebbe chiaramente limitata o molto differente dalla sua e non riuscirei a beccare appieno le sue idee. A questo punto forse che mi piacerebbe di più adattare qualcosa. Mi piacerebbe adattare i romanzi di Fred Vargas, il ciclo di Adamsberg, come anche la trilogia di Evangelisti.
Che tra l’altro Adamsberg è un personaggio bellissimo, che si presta soprattutto al tipo di narrazione a cui ricorri in Il suono del mondo a memoria.
Lui lo adoro veramente. I libri mi piacciono da morire ed è una cosa che mi piacerebbe poter realizzare. Poi sul farlo o no è un altro discorso, si tratta anche di un lavoro di ricerca molto particolare…
A cui comunque sei già abituato per tutto il lavoro fatto sulla luce e la città di New York per Il suono del mondo a memoria.
Però è diverso perché io c’ho vissuto a New York. Lo studio della luce l’ho dovuto fare a memoria perché le foto le ho feci in bianco e nero. Però sono stato malissimo. Lì è stata una cosa mnemonica abbastanza tosta perché mi dovevo confrontarmi con i ricordi, cose del tipo “in quel momento lì a quell’ora, come colpisce il sole”. Per esempio Lavennder l’ho fatto a cazzo de cane. Il Manhattanhenge l’ho fatto tipo alla primissima tavola mi sono dovuto impegnare ad essere preciso, come se nella mia testa potesse arrivare qualcuno a dirmi: “Eh, però a pagina 80 il sole qui non fa così, perché…”. Io ho pensato: “Non esisterà mai una persona così, però metti che arriva, io devo essere preparato”.
Le ultime domandine di cazzeggio. A cosa stai giocando?
Ho finito ieri, dopo 90 e passa ore, Dragon Quest XI che è forse il mio gioco del 2019, in versione per la Switch. Mi è piaciuto veramente tanto tanto tanto. Sul treno venendo qui ho cominciato sul Pokemon Spada. Quindi è proprio una roba fresca appena iniziata. 94 ore su Dragon Quest senza calcolare la demo, che sulla Switch dura 10 ore! Praticamente più di un gioco normale, e mi ha preso così tanto che mi sono fatto Link’s Awakening in tipo 12-13 ore, correndo, per riuscire a tornare al volo su Dragon Quest.
E dimmi, stai leggendo qualcosa di figo? Libri, fumetti…
A livello di fumetti, ho letto Celestia, l’ultimo di Manuele Fior che mi è piaciuto tantissimo e ho iniziato quello di Gipi, soltanto che col fatto che in questi giorni c’ho liberi solo i weekend e comunque sono fuori in tour per Attica ho veramente poco tempo da dedicargli.
E invece quanto sei pronto per l’ultimo Guerre Stellari?
Sono mediamente pronto in effetti. I film di Star Wars li sto prendendo un po’ con zero aspettative, nel senso vado, vedo e poi ne parliamo. In genere mi divertono, devo dirti la verità, non sono uno di quelli che: “Eh ma, però…” Ma è strano anche, con questo chiudiamo una saga che è iniziata quando ero ragazzino, quindi forse un minimo di aspettativa sotto sotto ci sta.
Il classico ottimismo di Giacomo Bevilacqua.
Ma sì, sono sempre abbastanza ottimista anche perché, voglio dire, il peggio che può succedere è un film che non mi è piaciuto, e chi se ne frega, ce ne sono tanti che non mi sono piaciuti.
Ma alla fine, come è questo Attica?
Prima di tutto è un prodotto sorprendente: il formato, la carta, le scelte cromatiche in varianti di grigio, il lettering… tutto rimanda al mondo dei manga rendendolo a livello tattile praticamente indistinguibile da un volume orientale di buona fattura, del resto qualità della stampa è sempre quella Bonelli, con l’unica differenza del verso di lettura all’occidentale.
Dal punto di vista delle tematiche è chiara la volontà di voler raccontare una storia molto occidentale ma con quelli che sono un po’ gli archetipi narrativi del mondo orientale.
Per “molto occidentale” faccio riferimento alla chiara situazione geopolitica attuale, un’Europa che cerca di dividersi, di fortificare i propri confini con muri più o meno materiali, ma non solo. Trasversalmente viene trattato il tema della sempre più marcata divisioni in classi sociali, nell'inarrivabile mito di benessere che crea una meta alla quale tutti aspirano a costo di grandi sacrifici, mito che pur mostrando una faccia pulita e rispettabile è in realtà solo una maschera per nascondere la sua vera natura.
Giacomo è un autore completo che in questa nuova iterazione del suo lavoro si sbizzarrisce nel virare all’oriente il suo tratto e la caratterizzazione dei personaggi che paiono usciti da uno shonen, negli abbigliamenti, le espressioni e per una certa predisposizione allo scontro così distante dalla tradizione della rappresentazione dell’azione nei fumetti italiani.
La Bonelli, da canto suo, complice l’etichetta Audace, dà libero sfogo alla libertà creativa dell’autore, comprimendo il formato e negando la griglia in quel processo di profondo rinnovamento stilistico iniziato con il primo numero di Orfani.
Attica è una serie caldamente consigliata in primo luogo ai lettori di manga che magari hanno sempre guardato con scetticismo il forte conservatorismo della Bonelli cosicché possano conoscere ed imparare ad apprezzare il talento e la sensibilità di Giacomo Bevilacqua, ma naturalmente anche agli amanti del fumetto italiano che potrebbero sentirsi mal disposti o scettici verso un formato alieno come questo volumetto A5.