STAI LEGGENDO : Final Fantasy VII Rebirth è il ritorno in una casa nuova (e questa non è una recensione)

Final Fantasy VII Rebirth è il ritorno in una casa nuova (e questa non è una recensione)

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Un flusso di emozioni e riflessioni su Final Fantasy VII Rebirth, sulle opere e il loro bisogno di essere raccontate e riscritte, sui ricordi, sulle seconde occasioni che non ci sono, sulla nostalgia, su un gioco che sì, mi sono goduto come una bibita fresca.

Questa non sarà una recensione di Final Fantasy VII Rebirth, non nel senso classico del termine almeno. Il primo motivo è che non credo che abbiate bisogno di me (né di chiunque altro) per decidere se comprare o meno il gioco. Quella scelta l’avete probabilmente fatta tempo fa. Magari non lo comprerete oggi, magari aspetterete dei saldi, magari avete deciso di non toccarlo neppure con un bastone. Non saranno le mie parole a farvi cambiare idea.

La seconda è che non l’ho finito, l’ho giocato in lungo e in largo, esplorando le varie aree, facendo alcune quest secondarie e visitando tutte le zone del gioco, ma mi sono fermato prima del momento fatidico, quello spartiacque generazionale che per molti deciderà se sarà un buon prodotto o no. Ero stanco dopo ore e ore di gioco e la stanchezza non produce buone analisi né buoni contenuti.

La terza è perché una recensione classica non ha senso. Non potrei dirvi niente sulle mie sensazioni, non potremmo discuterne, non potrei analizzarlo come vorrei. Quella parte, che sia testuale o video o entrambe le cose, arriverà con calma. Una buona bistecca non va solo cotta coi tempi giusti, ha bisogno anche di un po’ di riposo prima di essere servita.

Si lo so, è assurdo e anti-economico se vuoi andare avanti in questo settore, ma qua posso permettermelo, e allora fatemelo fare.

Questo non vuol dire però che non ci siano cose da dire su Final Fantasy VII Rebirth, che riprendere la filosofia e le idee dietro al primo capitolo e le espande, cercando costantemente di tenere le proprie carte nascoste ma mostrandoci comunque il dialogo tra gli autori e un’opera che porta con sé un bagaglio emotivo, culturale e di fandom enorme.

Molti dei discorsi che sentirete su Rebirth sono gli stessi che andavano bene per il precedente (o male, forse): per quanto mi riguarda rielaborare e riscrivere le storie fa parte dell’essere umano fin da quando ha iniziato a raccontarsi le cose attorno al fuoco. Le principali epopee, i poemi epici, le fiabe, sono frutto di costanti riscritture, cambiamenti, aggiunte e cancellazioni. Probabilmente se chiedessimo a molti autori di riscrivere i propri libri o raccontare nuovamente le loro storie ne uscirebbero infinite varianti.

Cambiare una storia non elimina quanto fatto prima, non brucia i nostri dischi, non cancella le memorie e giocare su linee temporali differenti, universi differenti è qualcosa che può avere assolutamente senso. Forse è un gesto umano, molto umano, con cui cerchiamo di stringere l’intangibile possibilità di riscrivere alcune parti della nostra vita che non ci sono piaciute.

E se avessi detto quella cosa? Se avessi chiesto scusa? Se lo avessi convinto a curarsi? Se almeno detto come mi sentivo? Se non avesse guidato? Se non fosse andata là?

Quanti se mi porto dietro da quel giorno del 1997 in cui capii che i videogiochi potevano farmi stare male, farmi piangere e arrabbiarmi? Quando capii per la prima e forse unica volta mio padre non riuscì a entrare in sintonia con me grazie a un videogioco? Il settore stava per l’ennesima volta cambiando e io con lui. Quante cose avrei volentieri riscritto o lasciato a un Lorenzo di universi paralleli? Quelli in cui magari le mie ginocchia stanno meglio.

Rebirth cerca in qualche modo di afferrare tutto questo, anche perché, per quanto ci possa piacere l’idea di rivivere lo stesso copione con la grafica bella, a livello artistico (vogliamo usare ‘sto termine? Dai) ed economico rifare esattamente la stessa cosa non ha senso. Anche solo per dare a chi conosce il gioco il brivido dell’ignoto.

Credo che tutto sommato dovremmo preferire qualcosa che ci stupisce, anche quando ci fa incazzare, a chi vuole solo blandirci con prodotti inoffensivi. Tutti quegli spiriti che non vogliono cambiamenti nel passato sono forse i fan più ortodossi? Forse sì, l’ho sempre pensato. Una sorta di personificazione delle ansie dei creatori che vorrebbero dire la loro.

In fondo anche vivere il ritorno alla Nibelheim ricostruita dopo l’incidente ha lo stesso sapore di quelle cose che vorrebbero essere uguali ma non ci riescono. Il respingente fastidio di un sorriso falso e di emozioni facili e artificiali. Se non ci bagnamo due volte nello stesso fiume perché dovremmo farlo nella stessa storia? C’è una gran voglia di fare pace coi traumi del passato, e questo mi è piaciuto molto.

Non fatevi ingannare, per quanto possa essere bello tornare dove si è stati bene, qua siamo di fronte all’antitesi della nostalgia.

Pur amandolo, non ho mai avuto il culto di Final Fantasy VII, onestamente vi dico che io non ho il culto di niente, se non quello di conoscere sempre più cose, amo molto, ma spesso dimentico, mi perdoneranno quelli che danno patenti di nerdismo.

Per me oggi Final Fantasy VII in molte cose è esattamente come ripensare da quaranta-e oltre-enne ai primi anni del liceo. Un momento bello, emozionante, ma che sbiadisce lentamente nel tempo, come quel ricordo che ti sembrava magico mentre lo vivevi e che oggi piano piano fatichi sempre di più ad afferrare. Tornarci è come tornare in casa dei tuoi, ma ci sono stati dei cambiamenti, il vecchio armadio è stato sostituto, il bagno è nuovo, il televisore non è più un bestione catodico, hanno buttato via le vecchie enciclopedie in libreria e qualcuno, purtroppo, non c'è più. Ma ci si può sempre vivere e creare nuove emozioni.

Final Fantasy VII Rebirth

Ecco, la grande bellezza di Final Fantasy VII Rebirth è farti vivere quei momenti oggi, con la consapevolezza di oggi, la tecnica di oggi, ma il candore e a volte anche le buffe idiozie del passato, mescolate a una certa malinconia e alla voglia di guardare anche avanti. E questo non è essere nostalgici, è solo bilanciare chi siamo e chi siamo stati. Alcune scelte di design ci sembrano assurde, così come alcune rigidità, alcune battute un po’ stupide dei personaggi femminili che oggi non hanno senso, alcune soluzioni di trama particolarmente sghembe, tipo l’infiltrazione nelle file della Shinra di gente la cui faccia è su tutti i manifesti.

Avrei preferito un intervento più deciso su questo fronte? Sì, ma bisogna anche tenere conto dell’approccio giapponese alle cose, che è sempre un approccio in cui tradizione e passato hanno un peso fortissimo, dove si usano ancora i fax, dove le cose che funzionano bene non si cambiano se non è proprio necessario e dove certi modi di raccontare personaggi e storie sono ancora più rigidi dei nostri.

Final Fantasy VII Rebirth

E non dimentichiamoci il gusto tutto nipponico di mescolare momenti incredibilmente tristi e toccanti con una scena buffa, un momento slapstick o sensuale. Quella roba noi occidentali non la capiremo mai del tutto.

Ma se il passato è una terra sbiadita di poligoni grossi, paesaggi disegnati ed emozioni da prima volta, il presente è il tripudio di colori del Gold Saucer, di Gongaga e del Cosmo Canyon e di consapevolezz differenti. Rebirth ti riempie occhi e orecchie di musica e colori, di dettagli e sfumature. Là dove la tua immaginazione di ragazzo ormai se ne andata arriva il gioco con la sua opulenza visiva.

Tu lo hai sempre visto così, adesso lo vedono tutti.

Tra l'altro quella opulenza oggi risuona tantissimo col tema di fondo del gioco, quel bisogno di salvare il mondo non solo dal cattivone di turno, ma dalla Shinra e dalle sue cattedrali nel deserto che cozzano clamorosamente con i bassifondi. Tornare oggi a Costa del Sol o al Gold Saucer ti dà proprio l'idea di un mondo che festeggia mentre fuori c'è la morte.

E poi le voci, tutte quelle voci che cambiano completamente l’approccio che hai verso i personaggi. Non solo il tono monocorde e distaccato di Cloud, la voce avvolgente di Tifa, l’ottimismo malinconico di Aerith, il male sensuale di Sephiroth o l’energia di Barret. Adesso c’è Cait Sith con uno strano accento irlandese, Red XIII e un cambio di voce che rivela la sua vera natura e mille altri personaggi che improvvisamente ci dicono molto di più. Ho molto apprezzato che a tutti fosse dato un momento per raccontarsi e raccontarci, per mostrarci qualcosa al di là del personaggio che ti serve o meno negli scontri.

Per certi versi ho avuto l’impressione che il gioco originale fosse un po’ un libro, così pieno di testi, e un po’ cinema muto, mentre Final Fantasy VII Rebirth fosse il film che ne viene tratto.

Final Fantasy VII Rebirth

Rispetto al primo capitolo, ovvero Remake, è un gioco completamente diverso come mole e come possibilità, ma d’altronde già all'epoca anche tutta la parte dopo Midgar era come mangiare un piatto estremamente saporito dopo un antipasto leggero. Qua la sensazione è apertura e di cose che possiamo fare si espande ma non ti opprime, ti offre un banchetto ma senza dimenticare la portata principale. Non è niente che non si sia già visto come meccanica di progressione, ma resta il paradiso dei curiosi e dei completisti. Sicuramente molto meglio delle grige missioni secondarie di Remake.

Forse lo avete visto nella demo, quindi in fondo non vi dico niente di nuovo, ma se vi piace l’idea di sbloccare torri, giocare alla versione locale del Gwent, collezionare tutto, provare tutto, trovare evocazioni o materiali rari vi troverete bene, molto bene. E le ore di gioco arriveranno serenamente vicino alla tripla cifra, credo. Se preferite andare avanti dritti per la vostra strada e seguire la storia non verrete più di tanto tanto penalizzati. Certo però che non sbloccare Bahamut è un po’ da pazzi eh?

Final Fantasy VII Rebirth

Personalmente ho amato tantissimo anche il sistema di combattimento, mi piaceva già nel capitolo prima, perché mi dà qualcosa da fare mentre aspetto di gestire le mosse e le magie dei vari personaggi. Lo trovo accessibile e divertente, trovo anche bello che possa offrire a tutti un livello di sfida adeguato e possa diventare molto semplice o estremamente complesso in base al tipo di gioco che vuoi.

Però ammetto che le vecchie evocazioni mi mancano, mi mancano tantissimo e vedere Ifrit che se ne sta un po’ là a menare e poi se ne va non è come guardarsi un doppio Knights of the Round che pare un cortometraggio mentre mangi le chipster aspettando che finisca.

Ma tanto lo so che voi alla fine volete un giudizio e quindi vi dico che ho amato praticamente tutto di questo Final Fantasy VII Rebirth. Ne ho amato i panorami, il tono lirico e il tono ridicolo, le passeggiate con i chocobo, le visite nell’aldilà, i suoi momenti più esoterici, la sua voglia di raccontare le cose che potevano essere, il suo bisogno di scrollarsi di dosso una eredità pesante ma senza perdere la voglia di sorridere. O amato le variazioni, perché per fortuna sono invecchiato senza perdere il gusto di qualche sorpresa.

Di solito c’è una cartina tornasole efficace per capire se qualcosa mi è piaciuto: voglio tornarci. E posso confessarvi che ho scritto questo pezzo di fretta proprio perché voglio riaccendere la console.

Adesso vado a finirlo come si deve, vado a rivivere quei momenti. Sapendo che anche se mi dovessero deludere sarà stato un bel viaggio. E se volete, fra qualche settimana, ne parliamo assieme, che ne dite?

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