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Dylan Dog Reloaded: alba nera senza fine.

Dylan Dog è morto, lunga vita a Dylan Dog.
Il ciclo della meteora si è concluso con la dissoluzione del mondo dylaniato al 399.
Il 400 è stato un numero di transizione, fedele ai "numeri centenari" disegnati da Stano, di cui ha accentuato il già classico carattere metanarrativo. Inserito nella continuity della meteora, diveniva anche lo stadio infradimensionale di passaggio tra la vecchia e la nuova Londra dell'eroe. Oltre che, a un livello metanarrativo, la morte di Sclavi e il pieno passaggio di consegne a Recchioni, per un Dylan pienamente suo. Nerdcore ospita, a tale proposito, in esclusiva la sceneggiatura del numero.

E' interessante notare come tale interpolazione (personale, certo, ma coerente con l'autore e col personaggio) sia risultata più divisiva ancora del 399, dove la provocazione era associata a un elemento "di contenuto", apparentemente più forte: il matrimonio con Groucho del personaggio (elemento cruciale anticipato alla stampa in virtù della sua forza, con successo).

La critica sgangherabile.

Una sintesi delle posizioni critiche è ad esempio qui, ad opera di Marco D'Angelo. D'Angelo parte anche dal mio intervento sul 400 per fornire una lettura contrapposta, specialmente sull'accentuazione del mash-up e della metanarrazione: egli ritiene eccessivamente forzata la sgangherabilità dylaniata, fino a renderla sgangherata ("Lo stile di Sclavi è sgangherabile, ma non sgangherato", in opposizione a Recchioni, egli sostiene). E questo mi ha offerto il destro per un ripasso e approfondimento del concetto.

Va detto che i due elementi, "sghangerabile" e "sgangherato", per Eco sono potenzialmente entrambi positivi. Il primo è la possibilità di un'opera di essere disassemblata, come la Divina Commedia, "sgangherabile" ma non "sgangherata". Io cioè posso estrapolarne un verso decontestualizzandolo, e ha una sua efficacia, ma ha un suo senso forte all'interno dell'opera originaria. Il secondo vale per opere in cui l'assemblaggio è riuscito tecnicamente "male" ma che funzionano non nonostante, ma proprio in virtù di questo (l'esempio - altissimo: l'idea in sé non è negativa, appunto - è quello dell'Amleto). A rigore, questa terminologia spesso citata (per la nobiltà della fonte) nella critica dylaniata ha una formulazione forse non felicissima, in quanto il termine è tecnicamente neutro - in Eco, può essere sgangherata un'opera riuscita o meno - ma nel parlare comune no. Comunque, prendiamola per il momento per buona.

Sclavi accolse del resto positivamente questa lettura di Eco, ai tempi (vedi qui), ammettendo una saldatura intenzionalmente imprecisa dei moduli inseriti nell'opera: "E' una specie di metodo onirico. Lavoro per associazioni. Solo alla fine tiro le fila di tutto e do una specie di trama. In realtà ogni episodio del fumetto ha al suo interno scene molto autonome, delle vere e proprie sottostorie." Naturalmente, è un metodo che non si applica a tutte le storie di Sclavi, ma che è chiaramente leggibile in controluce di quelle più oniriche, perlomeno da Morgana in poi. Umberto Eco: arte, semiotica, letteratura di Paolo Jachia esamina con ampiezza questo concetto.

Si potrebbe quindi che l'operazione di Recchioni nel 400 è intenzionalmente "sgangherata" in senso echiano, nel senso di porre lo spaziotempo di Dylan Dog "out of joint" per poi riassemblarlo nel nuovo ciclo, ma, come vedremo, lasciando un elemento metanarrativo forte.

Il continuum referenzialista.

Il tema del referentialism rimane infatti centrale per questo nuovo Dylan Dog 666. Un primo ciclo di sei storie in stretta continuità, tutte scritte dal curatore. Seguiranno, a quanto pare, altri cicli affidati a singoli autori. Questo primo, in particolare, riscriverà le origini del personaggio, come già annunciato nelle anteprime: un lavoro quindi subito citazionistico per definizione.

Il sole sorge di nuovo su Craven Road, allora? Sì, ma è un'ossimorica Alba nera, come recita il titolo dell'albo, riscrivendo il titolo dello storico numero uno, l'Alba dei morti viventi, mescolato a Orrore Nero dove già in passato appariva Gnaghi. Dylan Dog presenta una archetipa beard of sorrow: dolore per la sua nuova situazione ma, anche se non ne è consapevole, anche dolore per Groucho (inciderà anche il legame matrimoniale stabilito?). Una riscrittura che parte dal nuovo frontespizio di Cavenago, che riprende quello storico di Villa.

(A margine, è curioso annotare una suggestione: vi fu un'idea per un Dark Zagor verso gli anni '90 con caratteristiche comparabili -  vedi qui e qui  - tema più cupo, morte della spalla comica, e perfino lunga barba sofferente. Non se ne fece nulla, ovviamente, ma è da notare che Nathan Never, nel 1991, fu un eroe indubbiamente cupo, con la barba incolta, senza spalla comica, una dolorosa morte alle spalle.)

Nella copertina, si richiama un bozzetto precedente la nascita del personaggio, in cui Sclavi e Villa pensavano a un adattamento di Dellamorte Dellamore (1983), dove appunto Gnaghi è l'assistente dell'eroe. Lo sfondo, invece, è ripreso dalla celebre Abbazia del querceto (1810) di Caspar David Friedrich: insomma, fin dall'esordio, potremmo dire, quest'albo conferma il permanere di un accentuato citazionismo (e referenzialismo). E, aprendolo, ne avremo la conferma. Certo, non ai livelli del 400, che per la sua natura speciale lo portava a un livello più accentuato. Ma certo in linea con questo, adattato a una narrazione che deve avere un "primo livello" coerente e non, come là, onirico.

La prima vignetta della prima tavola pare confermare il mantenimento di nuove tecnologie. Il negozio di Safarà appare infatti vicino a un Tecnoshop. Sovrannaturale ed high tech, come ci confermerà, poco dopo, il biglietto da visita di Dylan Dog, che contiene anche la ripresa di un personaggio che pensavamo scomparso (oltre a un inside joke sulla data di nascita dell'eroe). Per il resto, Roi riprende qui abbastanza fedelmente la Nuova Alba dei Morti Viventi (vedi qui). Recchioni, nel 2015, aveva riscritto una prima volta il mito delle origini del personaggio, partendo dal "bondism" eccessivo del "clarinetto esplosivo", e dandogli una giustificazione.

Dopo questo inserto, torniamo alla iconica casa di Sybil, dove la serie ha avuto inizio. Le scene di zombie sono, ovviamente, perfettamente congeniali allo stile di Corrado Roi, qui e più avanti. In quel numero uno del 1986, infatti, Sclavi aveva coniugato (era un azzardo piuttosto innovativo) una trama da action-horror moderno con un segno sperimentale, artistico come quello di Angelo Stano, ispirato ad Egon Schiele. Con una sintesi altrettanto elegante (e ovviamente diversa) e pari iconicità sulla testata (oltre a lui e Stano, forse Piero Dall'Agnol, Mari in una seconda fase), "le Roi" è l'unico a poter tentare l'operazione (anticipata dalle due tavole finali del 400, di suo pugno).

Una bellezza del demonio incredibilmente seducente, che beneficia anche dalla decompressione che Recchioni opera di quella prima storia, offrendo a Roi il destro di esplicitare appieno la sua arte in lunghe sequenze di tavole completamente mute.

Quando si giunge però all'incontro di Dylan Dog con la cliente, appare anche l'insistito referenzialismo di cui avevamo detto.
La cifra stilistica, aggiornata, del Recchioni storico di John Doe, e qui recuperata in forma accentuata.

Dylan Dog Pop Chaos Magick.

Non sono però solo citazionismo e referenzialismo ad essere messi in campo in dosi massicce, ma - sia pure meno di quanto avveniva nel 400 - anche un altro tratto tipicamente postmoderno, assieme: la costante rottura della quarta parete fumettistica. Dylan Dog non è più pienamente consapevole - come era invece nella transizione del 400 - della sua natura finzionale, ma appaiono continui riferimenti metanarrativi, volutamente insistiti.

Prendiamo, ad esempio, una tavola già condivisa da Recchioni su internet. Non a caso, ha scelto quella in cui questo referenzialismo - inviso al pubblico diciamo "tradizionalista" della testata - è presente in modo più marcato. Dylan spiega il suo approccio al sovrannaturale con un lungo ed esplicitato rimando a Unbreakable di Shyamalan, che assume valenza di dichiarazione di poetica. Il Dylan Dog tradizionale infatti aveva come caratteristica il rifiuto di una sistematica conoscenza esoterica: egli non conosce più di tanto i testi iniziatici e si affida all'istinto (o ai suoi aiutanti del momento, Wells, madame Trelkowski e occasionali).

Qui la sua assenza di riferimenti di scienza occulta si fonde più sistematicamente a un'altra caratteristica, la sua vasta cultura pop in tema horrorifico (presente fin dall'origine sclaviana). Due elementi affiancati, che qui si unificano: la vera chiave alla cultura ermetica è la cultura pop, come (con inevitabili approssimazioni) pensa il nuovo Dylan Dog, sulla lezione di Elijah Price. Un pop chaos magick che si sposa forse anche col permanere della tecnomanzia di Ghost, per ora limitata sullo sfondo. La reference a Shyamalan assume anche carattere, quindi, di riflessione "metatestuale": il personaggio di fumetti che dichiara di basare le sue indagini sul fumetto.

A completare questa "opera al nero", simmetrica ai cupi disegni di Roi, l'assenza di Groucho ha un potente effetto sulla scrittura. Ora difatti la spalla comica, Gnaghi, è spalla "muta". Quindi l'elemento ironico è spostato sui dialoghi brillanti tra personaggi, con una variazione interessante e spesso spassosa (e più difficile da realizzare): ma resta comunque un tono più cupo e serio.

 

Dylan Dog 666. Provvisorie conclusioni.

Non anticiperemo invece i numerosi ritorni. Seguendo i classici della fantascienza da "dimensioni parallele", già molto amata da Sclavi (lo Xabaras psicanalista di Dylan Dog in Storia di Nessuno) si presenteranno però dei rapporti totalmente modificati rispetto a quelli originari. Non quindi, come in Ben Jonson, "fuori dal loro umore" (anzi "ognuno nel suo umore", direi, quello fissato sulla serie) ma "fuori ruolo". Di nuovo, "sgangherati" dalla funzione originaria (e, spesso "fuori dai gangheri", rabbiosi e adirati l'uno con gli altri, nel tono generalmente più cupo di quest'albo, sia pure condito da un certo tagliente humour). Un gioco molto gustoso e ben condotto, di nuovo riservato ad un "lettore ideale" di secondo livello, in grado di conoscere bene la storia - passata e recente - del personaggio.

Insomma, un Dylan che è, come promesso, pienamente quello di Recchioni, e del Recchioni postmoderno. Un fumetto che si sviluppa anche in un "terzo livello" di dimensione metaletteraria, creando un gioco di rimandi che - come nel 400 - permette di espandere la narrazione base in più direzioni, consentendo una più gustosa rilettura al "metalettore". Sarà interessante vederne il pieno sviluppo, a causa della "non più blanda continuity" promessa e, pare, mantenuta dall'impostazione di questo primo albo. Per ora, un vertiginoso e raffinato tesseract postmoderno, in cui naufragare nelle continue interconnessioni con altri numeri e altre opere, in un Alba Nera senza fine.

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