Nel 1993 avevo 11 anni, leggevo fumetti – ancora pochi – e passavo tutta l’estate al mare, con i miei genitori quando erano in ferie e il resto del tempo con i nonni.
Sono stato fortunato, il fatto che i miei nonni avessero una casa al mare mi ha permesso di passare tante estati in perenne vacanza, in cui il tempo era così dilatato che ci si poteva addirittura annoiare.
Gli undici anni, poi, sono un’età strana: non sei ancora abbastanza grande per uscire la sera da solo, non sei più così piccolo da divertirti solo con i giocattoli, ti servono altri stimoli. Il tempo lo passavo con qualche amico, un po’ di letture, i cabinati che c’erano al lido (quell’estate scoprimmo che Double Dragon aveva un difetto per cui per ogni gettone dava 2 crediti, un patrimonio!) e tanto tempo libero da riempire.
Tante passioni che porto ancora adesso si sono stratificate dentro di me in quegli anni: tornando nella stessa casa, da adulto, ho provato un bellissimo brivido di nostalgia nel sedermi nello stesso posto, la sera, dove ho apprezzato per le prime volte il piacere di un libro.
Oggi, però si parla di fumetti. Anzi di quello che per me, per i successivi anni, sarebbe stato IL fumetto.
Lui, l’Indagatore dell’incubo, Dylan Dog.
Come dicevo, al tempo ero già un amante dei fumetti: le mie letture non spaziavano granché, un po’ perché al paese arrivavano pochissimi, selezionati albi, un po’ perché nessuno dei miei amici era una grande appassionato. Fino a quell’estate, avevo letto il Giornalino, di cui ancora conservo un ottimo ricordo, qualche adattamento a fumetti dei grandi classici della letteratura, il Corriere dei Piccoli e Topolino. Non una grande varietà ma la base di partenza già c’era.
Quell’estate, qualcosa cambiò: complice fu questo nuovo arrivato al lido, un coetaneo torinese che in quanto abitante di una grande città aveva accesso a possibilità che io ancora non potevo immaginare.
Un pomeriggio, di fronte al mio Topolino, lui aprì la ristampa di Storia di nessuno: ancora ricordo con precisione la copertina di Stano, in cui su uno sfondo bianco si stagliano queste braccia cadaveriche che, da dietro, afferrano un terrorizzato Dylan.
Fu una folgorazione.
Nel giro di un pomeriggio ero passato dalle storie lineari e chiare che avevo sfogliato fino ad allora a un abisso fatto di critica all’orrore quotidiano, morti viventi, confusione tra realtà e sogno.
Non avevo capito granché di quell’albo, adesso posso confessarlo. Non conoscevo né il protagonista né l’antagonista e mi sentivo come se mi avessero messo davanti a una serie tv già a metà stagione.
A ripensarci adesso, in fondo quel numero 43 – Storia di nessuno, appunto – era un po’ il cliffhanger di metà stagione: l’antagonista del primo numero, lo Xabaras tanto amato e odiato, torna a far capolino, così come i suoi esperimenti, gli zombie e l’orrore vero. Sclavi, sceneggiatore di quell’albo, riprende i fili della continuity che aveva sapientemente nascosto nelle trame dei primi numeri.
Il creatore di Dylan Dog ci ricorda che il suo lavoro ha un respiro più ampio del singolo numero e mette ordine nel suo cosmo con un albo che ancora oggi unisce i fan della prima ora e quelli più recenti.
Il me undicenne non capì granché di quel numero, l’ho già detto.
Quello che però ricordo fu la consapevolezza che avevo davanti a me un fantastico mondo da esplorare e che l’orizzonte era molto più ampio di quanto avessi potuto immaginare. Da allora cominciai a comprare tutti i Dylan Dog che trovavo in giro – per un periodo ho comprato la serie regolare, la ristampa, la seconda ristampa e la collezione book, perché così sarei riuscito a completare tutta la collezione – e non solo. Perché quella estate ho scoperto anche che esisteva un mondo a fumetti e quel mondo, per il me di allora, coincideva con la Bonelli: in un paese piccolo in cui non c'erano fumetterie, dare all’edicolante una sola casa editrice – peraltro già ampiamente distribuita – come riferimento per gli ordini, mi permise di avere accesso a una meravigliosa enormità di materiale.
Per me, in quegli anni, non esisteva la distinzione tra fumetto popolare e graphic novel o altro. Io compravo quasi tutto ciò che arrivava dalla Bonelli e questo soddisfaceva il mio bisogno di fumetti.
Comprare Dylan Dog in quegli anni non significava solo leggere un bellissimo albo a fumetti ma soprattutto avere accesso a un universo fatto di citazioni e rimandi ad altri media che hanno arricchito (e arricchiscono, aggiungerei) i riferimenti dei lettori.
Quell’estate del 1993 ebbi la fortuna di avere una chiave a questo universo che ha fatto di me la persona che sono ancora adesso, col pantheon di autori che seguo e l’amore per lo splatter, l’horror, il citazionismo.
Il rapporto con i fumetti, negli oltre venticinque anni che separano il me attuale da quell'undicenne, è molto cambiato: i gusti sono evoluti, la consapevolezza aumentata. Nel frattempo mi sono messo a studiare, per cercare di capire qualcosa in più degli albi che ancora compro. Non ho più un solo edicolante di fiducia, ho qualche fumetteria in cui adoro tornare e alcune librerie in cui mi piace perdermi. Leggo molto più graphic novel del passato e casa mia straripa di oggetti - fumetti, libri, action figure, videogiochi, dvd - legati alle tante passioni sviluppatesi intorno a questo primo, grande fuoco.
Paradossalmente, compro molti meno fumetti di prima. Alcuni amici li ho dovuti abbandonare, altri li ho guardati da lontano, altri ancora mi hanno aperto mondi inimmaginabili.
La Bonelli è ancora molto presente nel mio piccolo mondo. Oggi ho la fortuna di poterne seguire gli sviluppi in campo crossmediale, magari provando a intervistare qualcuno dei protagonisti e la uso per scoprire qualche nuovo autore da seguire. Mi diverto a seguire le interminabili discussioni sui social, che puntualmente trasformano i fan nelle peggiori tifoserie sportive, salvo però cercare di tenermi a debita distanza dalle punte di follie che a volte tocca questo susseguirsi di commenti.
C'è qualcosa, però, che non è cambiato: il piccolo piacere di andare in edicola, mese dopo mese, a cercare la nuova storia (di Dylan Dog e non solo, ormai).
Un rito tutto mio per cui devo ringraziare quel pomeriggio estivo e quel numero 43 prestato per caso.