Chiedete pure alle vostre madri o alle vostre amiche che ci sono passate, vi renderete conto del perché esistono così tanti film horror che nascondono le loro armi più spaventose dentro un pancione.
Horror e gravidanza hanno molto in comune, e non stiamo parlando della rivoltante percentuale di medici obiettori che piaga il nostro sistema sanitario. Per ora. Il processo di gestazione dell’essere umano contiene in sé tutti gli elementi più distintivi del genere, i più utilizzati e peculiari, ovvero il sangue, la morte, l’ignoto e la mostruosità, tutto impacchettato comodamente a misura di utero. Non sorprende quindi che esista una fiorente filmografia che ha esplorato le possibilità orrorifiche della “dolce attesa”, declinandola secondo modalità anche molto diverse tra loro ma basandosi sempre su una fondamentale premessa: ormai sappiamo un po’ tutto della meccanica della gravidanza, eppure il processo che dà inizio a ogni singola nuova vita sul pianeta si tiene stretto il suo carico di mistero, viscerale, irreplicabile e spietato.
Come le cose che più ci terrorizzano dell’esistenza, la gravidanza è una soglia, una porta che si spalanca su un territorio sconosciuto, meccanicamente uguale per chiunque eppure mai prevedibile fino in fondo. È la creazione di un agglomerato di cellule che è insieme vita in potenza e ancora materia inerme (sorry pro-vita), e poi diventa la coabitazione di due persone in un solo corpo, mentre tutto attorno al nuovo essere umano si trasforma, a livello chimico, fisico, psicologico e sociale. Se non fosse ormai considerata “la cosa più naturale del mondo” probabilmente diremmo che manco David Cronenberg avrebbe progettato la propagazione della specie in maniera tanto inquietante.
Il pregnancy horror si muove in molte direzioni, ma per comodità possiamo suddividere il filone in grossi insiemi tematici in base a come la gravidanza interagisce con il materiale spaventoso del film. Ne ho trovati tre: “calamita per spiriti”, “non aprite quello studio medico” e “piccoli mostri”. Divertenti, no? Vediamoli insieme.
Calamita per spiriti
Il primo macro-gruppo tematico è anche il meno interessante dei tre. Si basa sull’idea che una persona in gravidanza si trovi in uno stato di incredibile vulnerabilità, ma che sviluppi anche una particolare tendenza a vedere oltre il reale, al di là del mondo dei vivi e dritto dritto in quello degli spiriti. L’idea di base sarebbe anche intrigante, se non fosse che questo tipo di film si sviluppa più o meno sempre sugli stessi binari, utilizzando la gestazione come simbolo di isolamento e immobilità, finendo per sprecare gli spunti più succulenti come mero device narrativo per chiamare in scena fantasmi o demoni.
Ne è un chiaro esempio Bed rest del 2023, dove una futura madre è costretta al riposo forzato per non mettere a rischio la salute della nascitura e si presta così all’attacco facile di forze oscure. Cito questo esempio molto recente non perché abbia qualcosa di nuovo da dire, ma proprio perché conferma una certa pigrizia nel confezionare questi film, tutti molto simili già dai tempi di Il mai nato del 2009, La stirpe del male del 2014, Visions del 2016 o Isabelle – L’ultima evocazione del 2018. La gravidanza risulta quindi un pretesto come un altro, una condizione sostituibile con una qualsiasi alternativa di fragilità come malattia, disabilità o vecchiaia, che si manifesta con elementi di nuovo piuttosto analoghi tra loro, come poltergeist, apparizioni, incubi o premonizioni. Ci siamo talmente abituatə al format che il particolare meno plausibile rimane l’immancabile decisione di avere figli nei periodi meno opportuni possibile, tipo durante un trasloco, dopo aver perso il lavoro, scoperto un tradimento, aver subito un lutto o un crollo psicotico. Ma vi pare davvero il caso?
Non aprite quello studio medico
Non serve architettare chissà che possessione demoniaca per spaventare qualcuno durante una gravidanza, basta andare dal dottore sbagliato. La seconda macro-area di assoluto terrore a tema gestazionale è infatti quella più vicina all’ambiente medico, spesso dominato da professionisti maschi con un tale livello di paternalismo da far rimpiangere le buon vecchie levatrici di qualche secolo fa. Ne sa qualcosa la protagonista di False positive, interpretato e co-scritto da Ilana Glazer nel 2021, in cui una coppia con problemi di fertilità si rivolge a una modernissima clinica e a un luminare della scienza riuscendo così a concepire. Se non fosse che il luminare ci mette un po’ troppo del suo, come il famigerato dott. Donald Cline (mai stato un giorno in galera) che tra il 1974 e 1987 utilizzò il proprio materiale genetico per “aiutare” circa 90 delle sue pazienti a diventare madri.
In una società patriarcale il corpo delle donne e delle persone con utero non è mai del tutto loro. Lo abbiamo scoperto con poca sorpresa e molta incazzatura nel 2022 quando la sentenza del 1973 “Roe vs Wade”, che sanciva l’accesso all’aborto per le cittadine americane di ogni Stato, è stata ribaltata dalla peggior Corte Suprema che si sia mai vista nella storia recente. Non occorre neanche andare in America per sentir parlare di inverno demografico, di inviti alla procreazione smodata e al sacrificio per la Patria, perché tutto il mondo è paese quando si tratta di mettere le mani sui diritti riproduttivi, sponsorizzando una crescente pressione sociale nei confronti di chi scegli di non avere figli dalle conseguenze psicologiche devastanti. È questo il caso raccontato in Clock del 2023, un film dove non si parla d’altro che gravidanza, sebbene non ce ne sia mai una effettiva. Protagonista è una donna senza figli che non ne vuole, ma che viene convinta di avere la possibilità di aggiustare il suo orologio biologico malandato. Si sottopone così a un trattamento brutale che coinvolge terapia coercitiva e biotecnologie, tutto per trovare una soluzione a un problema che non esiste, perché l’orologio biologico è un costrutto sociale e la maternità deriva da una scelta, non da una qualche tempesta ormonale che prima o poi prende il sopravvento.
Piccoli mostri
Il corpo delle donne è una caverna dove si annidano i mostri, una foresta stregata, un abisso insondabile da cui nasce la vita e che nessun uomo di potere nella Storia ha mai saputo ricreare. Le capacità generative dell’utero sono dall’alba dei tempi una delle cose più spaventose in assoluto, perché rappresentano un simbolo di dominio ancora impossibile da dirottare, e non per mancanza di tentativi. Il corpo in gravidanza si lega quindi perfettamente al concetto di mostruosità nella sua accezione etimologica originaria di “prodigio” e di “ammonimento”, di miracolo e minaccia insieme, come viene tramandato da decenni nella più divertente delle macro-aree tematiche dedicate alla gestazione, spaziando tra body horror, grottesco e weird.
In principio fu Rosemary’s Baby, il film di Roman Polanski del 1968 che ha creato una stirpe di creature diaboliche dal ventre di gestanti sventurate. Ironico che proprio Polanski abbia prodotto un capolavoro basato sulla mancanza del consenso femminile (cof cof), ma sta di fatto che il figlio di Rosemary è il più famoso di una lunga lista di creature repellenti impiantate nei corpi di madri poco convinte. La meno convinta di tutte è senza dubbio la protagonista di Antibirth del 2016, la party girl col volto di Natasha Lyonne che finisce per fare da incubatrice a un gigantesco alieno, cullato per giorni tra i fumi di droga e alcool, prima di emergere in tutta la sua gloria facendo essenzialmente implodere la madre. Non se la passa molto meglio la futura mamma di Prevenge, scritto, interpretato e diretto da Alice Lowe sempre nel 2016, che viene gentilmente invitata all’omicidio seriale dal suo feto parlante, almeno fino a quando si scopre che la bambina si faceva i fatti propri e che era la madre (in lutto e assetata di vendetta) a dirigere la baracca.
Il passaggio rappresentativo della gravidanza da “hostile takeover” a sintomo di mostruosità innata è tra le svolte più stimolati del pregnancy horror recente, e ci porta direttamente a una delle madri mostruose più iconiche degli ultimi anni, ovvero quella di Titane, nel film di Julia Ducournau del 2021. Qui la trasformazione corporea si fa palese e impossibile, arrivando a forgiare un ibrido meccanico che sfonda le barriere di genere e biologia in un trionfo di assurdo, che danza sul confine tra materia organica e inorganica come il nuovissimo Birth/Rebirth balla su quello tra carne viva e sostanza in decomposizione.
Il film di Laura Moss del 2023 è largamente ispirato al Frankenstein di Mary Shelley e ruota attorno al corpo senza vita della piccola Rose, rianimata da un trattamento sperimentale che utilizza il materiale fetale per rigenerare i tessuti in decadimento. Si crea quindi una rinascita mostruosa che ha comunque bisogno della più classica gravidanza, un percorso parallelo che dalla gestazione getta un ponte oltre la morte e chiude il cerchio sovrapponendo le figure di madre e necromante, in un adattamento del romanzo originale che non ha più bisogno del dottor Victor, perché in tema di scelte riproduttive sarebbe meglio lasciare il microfono a chi ci mette l'utero.