Buzzati e l'Attesa: Aspettando Drogo(t).
Il senso dell'attesa in letteratura trova il suo compimento nell'opera più celebre di Dino Buzzati: "Il deserto dei Tartari".
Buzzati è l'Attesa, e l'attesa è uno dei temi più affascinanti in letteratura e nelle altre arti. Lo aveva intuito quel genio di Alfred Hitchcock, che nel genere del thriller sostanzialmente inventò l'uso moderno della suspense, una sospensione che dell'attesa è uno degli aspetti. Se in una storia a un certo punto vediamo un'esplosione, è una sorpresa: colpisce in quel momento lo spettatore, ma nulla di più. Se vediamo una valigetta che ticchetta all'inizio, staremo in una estrema tensione per i personaggi. Non c'è terrore nell'esplosione: ma nella sua anticipazione (vedi qui).
E, in fondo, la regola di Hitchcock vale anche al di fuori del thriller e del mistery di cui era maestro. Forse, ciò che rende l'attesa più mistica, più inquietante, più sottile della suspense è il fatto di non conoscere chiaramente i confini di ciò che si attende, ma di percepire comunque un clima di sospensione. Ora che mi trovo a rifletterci, il tema dell'attesa è centrale in molti dei miei autori preferiti. L'orrore di H.P.Lovecraft ha molte sfumature, ma una di quelle decisive è l'attesa del manifestarsi pieno dell'orrore cosmico che attende da ere innominabili. Certo, può esserci un'apparizione, uno squarcio su quel terrore oltre alla nostra comprensione, ma è sempre parziale.
In his house at R'lyeh, dead Cthulhu waits dreaming.
Anche tra gli autori realistici che apprezzo di più l'attesa ha un ruolo centrale. Penso soprattutto a Giorgio Bassani, che del tema dell'attesa fa un argomento centrale. Un'attesa dilaniante segna ad esempio il suo capolavoro, "Il giardino dei Finzi-Contini", di cui ho avuto modo di parlare perfino qui su Nerdcore. Questa attesa è a suo modo una - divinamente costruita - suspense, in quanto noi lettori conosciamo la bomba che sta per dilaniare il mondo dei protagonisti, persi nei loro scazzi, nelle loro esitazioni, nelle loro estenuanti partite di tennis per non guardare in faccia l'orrore nero che sta per inghiottirli tutti, nell'ombra senza fondo del Lager.
Ma Bassani mantiene questo stilema, il segno di un'attesa invincibile, anche nell'ambito di molte altre opere meno note: in "Dietro la porta", storia di un sottile, inquietante conflitto scolastico, il protagonista dilaziona l'attesa della vendetta, rinvia, rinvia spasmodicamente il momento del confronto finale, lasciando anche all'ultimo il lettore in sospeso, senza sciogliere la tensione quasi insostenibile. L'abilità dell'autore sta qui a costruirla su un conflitto apparentemente insignificante, quotidiano, che crea una aspettativa costantemente frustrata.
L'Attesa di Buzzati
Ma il maestro dell'attesa letteraria è probabilmente, almeno nella letteratura italiana, Dino Buzzati. La critica ha spesso posto il tema centrale delle sue opere come quello della Occasione Perduta: i suoi personaggi aspettano tutta la vita il loro "grande momento", e così se lo fanno scivolare tra le mani. Esempio archetipico, tra i racconti, è quello del Colombre, dove il giovane Stefano Roi, intrapresa la carriera marinaresca che sente come la sua grande vocazione, viene bloccato dall'apparizione del Colombre, un mostro che lo perseguiterà se proverà a solcare i mari. Un racconto bello e terribile, più efficace nell'evocare l'esigenza del "carpe diem" di quanto possa fare il pur valido "L'attimo fuggente" (A margine, un sogno personale sarebbe vedere Stefano Roi e i suoi incubi disegnati da Corrado Roi, tra i più grandi fumettisti italiani d'oggi: non per la connessione onomantica, ma perché questa è rivelatrice di un incontro che, per me, sarebbe perfetto).
Ma anche qui, come in gran parte della sua produzione, se certo il concetto è l'attesa dell'Occasione come impalpabile Oggetto d'Amore del protagonista, di fatto ciò che si narra è il manifestarsi della sua Attesa. E questo, soprattutto, nel suo romanzo più celebre: "Il deserto dei Tartari".
Il libro viene pubblicato nel 1940, nel primo anno della Seconda Guerra Mondiale, iniziata (senza l'Italia, ancora) l'anno precedente, e trascinatasi per lungo tempo in una "drôle de guerre" priva di grandi eventi. Buzzati dichiara di aver pensato alla vita di redazione, giovane giornalista senza grandi prospettive in vista, e di riflettere nella metafora militare quel mondo similmente incasellato. Buzzati ha sempre mostrato insofferenza per le letture allegoriche troppo stringenti delle sue opere, e quindi la tentazione di leggere l'Italia di allora in quella Fortezza, da vent'anni rinnovata dall'arrivo di un carismatico colonnello, da cui molti aspettano gloria e da cui verrà invece, si intuisce, la disfatta. Buzzati, tra l'altro, era appena partito per corrispondente ad Addis Abeba quando il romanzo venne pubblicato da Longanesi, e l'editore suggerì di modificare il titolo originario ("La fortezza": in un futuro allora ancora lontano, sarebbe divenuto il titolo di un film cyberpunk paranoide, mediocre per resa artistica ma con spunti interessanti) proprio per evitare di evocare subito il tema bellico, per prudenza.
Invece, appare legittimo un parallelo con la pittura metafisica, a cui si possono avvicinare numerose opere pittoriche dell'autore, ottimo artista anche in questo campo, sospeso tra surrealismo, metafisica e pop art. La metafisica, allora imperante, evoca un paragonabile senso di straniamento: le Piazza d'Italia di De Chirico si riverberano in questa misteriosa "Piazza d'armi" d'Italia che è la fortezza Bastiani.
L'autore anticipa già, in varie interviste (come quella con Alberico Sala nell'edizione Mondadori in mio possesso, del 1970), le possibili critiche all'opera: il calo della tensione narrativa verso la metà del romanzo, che rendono un po' forzata, e forse troppo estenuata, la prolungazione della spasmodica Attesa. Non a caso, nel secondo dopoguerra l'autore svilupperà temi simili in forma di racconto breve, come l'attesa ugualmente mortifera di "Sette piani", in una istituzione totale medica e non militare. Si nota anche lo stile tipico dell'autore, contraddistinto da una scrittura chiara, ordinata, che manifesta abbastanza apertamente la "scaletta" rigorosa di costruzione.
Ma, posti questi limiti, la forza dell'opera è innegabile. Almeno per chi, come me, l'ha conosciuta in un'età in cui una rivelazione letteraria può ancora colpire radicalmente il lettore. Era una possibile lettura in seconda media: stavamo leggendo i racconti di Buzzati in classe ("La boutique del mistero") e il titolo mi tentò. Su quel Giovanni Drogo, naturalmente, scherzammo tra i diversi che avevano preso il romanzo in lettura - e molti naturalmente bararono, perdendosi naturalmente nella lunghissima attesa priva di eventi, affinando l'arte di scrivere di ciò che non si è letto, il vero scopo delle "schede libro".
Per me, fu rivelatorio il contrasto tra una lettura che, a tratti, trovavo noiosa, e la percezione che però quella noia era in qualche modo necessaria all'esperienza. Dopo un po', anche un lettore ancora poco smaliziato come me aveva intuito il rischio che non ci fosse alcuna rivelazione finale, che l'attesa ancora una volta non avrebbe dato soddisfazione. Conoscevo Buzzati, del resto. Eppure, il fascino della Fortezza aveva stregato anche me, e continuai nella lettura. Ci ritorno ogni tanto, per trovarvi un nuovo senso: anche se è palese l'avvertimento di Buzzati, quello che un senso non c'è. Forse, proprio per questo.
Note conclusive
Non c'è molto da aggiungere. Non ho mai visto il film di Valerio Zurlini (del 1976, il mio anno di nascita), forse nel timore di esserne deluso, anche se ne ho letto generalmente molto bene. La copia che ho dell'opera l'ho trovata su un mercatino, un sacco di anni fa, e mi colpì per l'ex libris: "Qualich", un cognome insolito (dovrebbero averlo una trentina di persone, in Italia), che potrebbe essere proprio da personaggio di Buzzati. Finora, non ho ricostruito la provenienza, però. Michele Medda e Pasquale Frisenda stanno lavorando a un adattamento a fumetti; una ottima ripresa del Deserto nel fumetto è quella di Rita Petruccioli, in "Ti chiamo domani" (2019). Giusto per completezza, cito anche una diversa interpretazione dell'opera buzzatiana rispetto a quella che ho proposto: la conosco, non mi convince del tutto. Questa, invece, è molto brillante e puntuale, la migliore che ho rinvenuto online (l'idea di Drogo come "Soldato inesistente" è evocata anche dalla copertina buzzatiana dell'opera); non è mancata la lettura in chiave Covid, ovviamente. Ma la Fortezza Bastiani resta là, misteriosa e impenetrabile.