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Batman, fallimenti e scommesse, come è nata Stranger Things

Stranger Things

Nella vita di tanti registi e sceneggiatori c’è sempre un momento che potremmo definire di rivelazione, ovvero quell’istante in cui il soggetto vede un film che improvvisamente mette in moto una serie di ingranaggi che molti anni dopo sfoceranno nel successo. A volte è una risposta pensata appositamente per le interviste e per la narrazione del proprio mito personale, a volte è veramente così.

Nel caso dei fratelli Duffer la scintilla scocca col Batman di Tim Burton. Siamo lontani dall’era dei cinecomic, ma Batman ha già un seguito eterogeneo fatto di adulti e ragazzi e nel 1989 è uno degli eventi cinematografici di un anno che vede l’arrivo di Indiana Jones e L’Ultima Crociata (che gli soffierà il primo posto al botteghino), Ritorno al Futuro 2, L’Attimo Fuggente, Senti chi parla, Arma Letale 2, Harry ti presento Sally, Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi, Ghostbusters II e La Sirenetta. Nota per chi pensa che la nostalgia sia una roba recente: è anche l’anno in cui viene riproposto al cinema Via col Vento.

Il trailer di Batman inchioda di fronte alla televisione i due ragazzi, che però non potranno vederlo fino all’uscita in VHS, perché troppo piccoli. Dopo averla consumata a dovere capiranno due cose: Come un regista dà la propria impronta a un film e che avrebbero voluto fare quello nella vita.

Curiosamente non li influenza “Il piccolo mago dei Videogames”, che esce lo stesso anno.

In terza elementare gli viene regalata una cinepresa con cui inizio a montare i primi film a base di pupazzi. Il loro primo lungometraggio si ispira a Magic ed è ovviamente una roba inguardabile per loro stessa ammissione.

Come molti ragazzi di quegli anni i due assimilano una cultura cinematografica fatta di film spesso coraggiosi e sperimentali che ne segneranno profondamente la visione autoriale. In particolare, l’uscita di Scream, film che per certi versi conclude un lunghissimo discorso sull’evoluzione degli slasher e degli horror, li porta a riscoprire i classici del passato, come La Casa, che affittano ingannando la madre sul divieto ai minori. Il film di Raimi ha una componente che attira tantissimo i due cineasti in erba: è fatto con due soldi, qualche amico e un capanno. Nel frattempo, non si fanno mancare ogni libro di Stephen King, in cui una delle costanti è spesso la contrapposizione di personaggi normali contro forze soprannaturali, soprattutto IT, la cui lotta tra i Perdenti e il clown mostruoso ricorda molto quella di Stranger Things.

La visione de La Casa è un altro momento fatidico, da quel momento iniziano a girare cortometraggi horror che montano con iMovie mentre sognano di entrare alla scuola di cinema della University of Southern California.

Però non ci riescono.

Ripiegano sul Dodge College of Film and Media Arts di Orange e qua girano il loro primo cortometraggio “serio”: Eater, la storia di un cannibale che si aggira per una stazione di polizia. L’accesso ai corsi del college permette loro di iniziare a fare stage sui set e a conoscere persone dell’ambiente, mentre cercano di piazzare la loro prima sceneggiatura: Hidden, una storia fantascientifica ambientata ai tempi della Guerra Fredda.

Un bel giorno Hidden viene acquistato dalla Warner che li mette anche a capo del pregetto, le riprese iniziano nel 2012 e vedono nel cast Alexander Skarsgard e Andrea Riseborough. Tutto bene no? I Duffer sono entrati a Hollywood dalla porta principale!

No, perché un bel giorno i dirigenti Warner si accorgono che la storia è ambientata tutta nel rifugio. Sembra una produzione troppo misera e chiedono dei cambiamenti ormai impossibili, perché  siamo già sul set. Hidden viene congelato per un anno e alla fine distribuito nel 2015 per pochissimo tempo, ma ovviamente è una produzione deludente. I Duffer si sentono improvvisamente sbattuti fuori dal mondo che amano e che aveva appena iniziato ad accoglierli.

A salvargli la pelle ci penserà M. Night Shymalan, che un bel giorno si trova tra le mani la sceneggiatura di Hidden e ne rimane impressionato. Decide quindi di farli collaborare al suo nuovo progetto: Wayward Pines.

A vederlo oggi Wayward Pines ha alcuni interessanti punti in comune con Stranger Things, è una serie tv che mostra una versione iconicizzata e nostalgica degli Stati Uniti fatta di paesini perfetti e famiglie felici che nascondono segreti e mostruosità. I Duffer scriveranno quattro dei dieci episodi della prima serie, compreso il finale.

L’esperienza con Wayward Pines, sommata alla crescita della serie tv come mezzo di espressione in grado di raggiungere vette narrative degne del cinema (propedeutica in tal senso fu per i due la visione di True Detective) portò i Duffer a recuperare qualche vecchio copione per capire come trasformarlo in una storia divisa in più puntate. Forse la narrativa seriale avrebbe avuto più spazio per loro rispetto al cinema.

Nel primo abbozzo di idea Stranger Things doveva essere un found footage, ma poi prese piede l’idea di un progetto basato sul grande classico degli esperimenti governativi segreti a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. Parte dell’ispirazione arrivò anche da Prisoners, film di Denis Villeneuve basato sulla ricerca di due ragazze scomparse. Anche qua è presente il tema dei paesini e i loro segreti, ma viene meno l'elemento soprannaturale.

La prima bozza dell’episodio pilota di Stranger Things si chiamava Montauk per due motivi precisi: i Duffer volevano ambientare la storia sulla East Coast in onore a Lo Squalo e la base militare di Montauk, che se la gioca con l’Area 51 come fama sinistra, è al centro di un sacco di leggende metropolitane sugli esperimenti militari tra cui il famigerato Philadelphia Experiment ed è stata citata in decine di libri, fumetti, film e serie tv. Un’ispirazione su cui per un po’ di tempo ha gravitato anche l’ombra del plagio, poi smentito prima di arrivare in fronte a un giudice.

La prima scena a essere scritta è proprio quella della partita a Dungeons & Dragons tra Mike, Dustin, Will e Lucas e una volta completato il pilota fu assemblato un lookbook, ovvero un documento in cui oltre alla sceneggiatura completa fossero presenti elementi per far capire il tono della serie tipo le biografie dei personaggi, la spiegazione dello stile, immagini di altri film, locandine di film anni ’80, copertine di libri. Il risultato finale era una sorta di frullato tra Stand By Me, IT, Nightmare, Alien, Silent Hill e altre mille influenze che oggi conosciamo benissimo. Pare che all’inizio la storia fosse ancora più cupa nei toni, cupezza poi in parte recuperata con le stagioni successive. Ovviamente l’idea piacque subito.

E invece no, col cavolo.

Oggi potrà sembrare incredibile, ma l’ambientazione anni ’80 rappresentò uno dei punti più controversi, così come l’avere protagonisti adolescenti in una serie che sembrava parlare soprattutto agli adulti e ai nostalgici. Nessuno voleva tagliare fuori una fetta importante del pubblico di oggi.

Tuttavia, i Duffer non erano pronti a mollare sull’ambientazione, innanzitutto per una questione di affezione personale, volevano raccontare la cultura pop in cui erano cresciuti, un po’ come fa Tarantino, e poi perché quel periodo storico gli concedeva maggiore libertà. Raccontando una storia lontana dalle tecnologie moderne e dagli smartphone era più facile immaginare ragazzi più liberi di stare fuori tutto il giorno a vivere avventure in un bosco, lontano dagli sguardi e dalle telefonate dei genitori.

Ma là dove Hollywood vedeva un freno, Netflix vide un’opportunità di riempire il suo catalogo con un progetto originale e ricco di influenze che avrebbero fatto impazzire il suo pubblico di riferimento. Mountauk arrivò in fatti nelle mani di Dan Cohen, cacciatore di talenti per conto di Shaun Levy, produttore di Una notte al Museo, Real Steel e Arrival, che, intuendo l’esplosione nostalgico/nerd che stava espandendosi sempre di più, era alla ricerca di qualcosa con un profumo simile ai film della Amblin. Cohen sottopose il copione a Levy che lo girò a Matt Thunell di Netflix. Nell’aprile del 2015 la serie fu opzionata, ma quella che oggi appare chiaramente come una scelta vincente all’epoca fu un vero e proprio salto della fede.

La prossima serie originale Netflix sarebbe stato un progetto dato in mano a due quasi esordienti con pochissima esperienza di serie tv, che non avevano mai guidato un’operazione del genere e lo stesso valeva per i produttori. C’erano da scrivere gli altri episodi, trovare gli attori, la troupe, le location e tutto questo doveva concretizzarsi entro l’autunno. Onestamente non so come ce l'abbiano fatta. Forse l'esperienza fatta fino a quel momento era sufficiente, senza che lo sapessero, forse hanno tirato fuori quel qualcosa in più, fatto sta che per prima cosa bisogna trovare il luogo giusto per cominciare.

Inizialmente il set doveva essere Long Island, ma dopo alcuni sopralluoghi i Duffer si resero conto che qualcosa non andava che se la storia doveva basarsi sul loro retroterra culturale dovevano allontanarsi dalla costa e addentrarsi nell’Indiana, terra di paesini, piccoli negozi, comunità in cui si conoscono tutti, fabbriche abbandonate e pettegolezzi locali. Ci voleva un posto ordinario per rendere il tutto ancora più straordinario.

Così nacque Hawkins, e non potendosi più la serie chiamare Montauk venne ribattezzata… Stranger Things.

Questo articolo fa parte della Core Story dedicata a Stranger Things.

 

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