Basta, compro una PS4 e mi iscrivo ai terroristi
Tempo fa mi capitò di assistere a una scena abbastanza classica per una partita di rugby. Un tizio va a terra con la palla, nella confusione del momento un avversario gli pesta l’inguine, forse volontariamente, forse no. Finita l’azione, quello a terra si rialza e dà un pugno al primo che passa con la maglia ... Basta, compro una PS4 e mi iscrivo ai terroristi
Tempo fa mi capitò di assistere a una scena abbastanza classica per una partita di rugby. Un tizio va a terra con la palla, nella confusione del momento un avversario gli pesta l’inguine, forse volontariamente, forse no. Finita l’azione, quello a terra si rialza e dà un pugno al primo che passa con la maglia diversa dalla sua.
Cose che capitano e che tutto sommato sono perdonabili quando sei in campo con l’adrenalina a mille, un po’ meno quando sei un giornalista che sta scrivendo di un fatto in cui sono morte più di 100 persone.
In questi giorni dopo la strage di Parigi, nonostante la morte di Moira Orfei, il circo ha dato gran prova di sé con uscite favolose, che ricordavano molto quel tizio che colpiva alla cieca.
Abbiamo avuto quelli che baciavano il santino di Oriana Fallaci, sostenendo che non le abbiamo dato retta, come se fino ad oggi non avessimo fatto la guerra con terroristi islamici, i paladini dei conflitti dimenticati, che si stupiscono che una strage avvenuta nel cuore dell’Europa ci colpisca di più dell’ennesimo massacro in una zona di guerra, quelli che erano già pronti con l’immaginetta commemorativa, prontamente watermarkata perché non si sa mai e ovviamente la stampa, con la s minuscola, che ha dato il meglio di sé.
Seguire un avvenimento del genere è fottutamente complicato, basta poco per fare figure di merda orribili, che vengono perdonate e dimenticate solo perché in rete l’indignazione dura lo spazio di un paio di giorni.
Ad esempio, nessuno ricorderà mai che mentre la gente moriva al Bataclan, l’ADNKronos twittava dell’hamburger vegano.
Nessuno ricorderà neppure che i video della strage, prontamente presi da YouTube, hanno tutti il loro bel preroll con la pubblicità, per non parlare dei banner sulle offerte per le vacanze natalizie che scorrono serafici accanto alla conta dei morti. Non siamo ai livelli della pubblicità del Moment prima dei video sulle decapitazioni, ma considerare di spegnere i banner in certe situazioni sarebbe un gesto senza dubbio illuminato.
Nessuno ricorderà lo snobismo con cui certa stampa ha trattato il nome della band coinvolta nella sparatoria: gli Eagles of Death Metal, storpiandone il nome in “Aquile della morte” o “Aquile del metallo mortale” e travisandone il significato.
Dove però i colleghi hanno dato il meglio di sé è stato ovviamente nell’accostamento videogiochi = terrorismo, un legame che di recente si è rafforzato con una nuova succosa notizia: i fondamentalisti islamici hanno pianificato gli attacchi di Parigi usando la chat di PS4.
Tutto nasce da un articolo di Forbes uscito ieri col gentilissimo titolo di “Perché l’Isis ha usato la PS4 per pianificare gli attacchi”. È uno strillo perfetto perché così fai incazzare chi ha già annusato che potrebbe essere una puttanata e ti becchi pure i click di quelli che “vedi? I videogiochi fanno manifestare Satana!”.
Il pezzo si basa su due punti cardine: un ministro belga ha dichiarato che l’IS usa abitualmente la chat di PS4 per coordinarsi, visto che sarebbe difficile da tracciare, e in un raid successivo alla strage avrebbero trovato una PS4 in un covo di terroristi.
Da queste solide basi l’articolo parte per la tangente e immagina complotti creati con le monete di Super Mario Maker e messaggi scritti sui muri di Call of Duty a colpi di Kalashnikov, ma per ora fermiamoci qua.
Nonostante sia stato dimostrato in passato che effettivamente alcuni fondamentalisti utilizzino la PS4 come mezzo di comunicazione, la correlazione tra Parigi e la PS4 puzzava di stronzata da un miglio. Come poteva il ministro belga essere già sicuro al 100% che la console fosse stata usata per coordinarsi se le conversazioni sono così difficili da rintracciare? Ma poi perché cercare il colpo ad effetto tirando in mezzo la PS4? Si tratta di un mezzo di comunicazione come un altro, nessuno ha colpevolizzato carta e penna per i pizzini di Riina.
Domande che evidentemente non interessavano quella pubblicazione pacata e riflessiva di nome Il Fatto Quotidiano, che così titolava, probabilmente dopo aver letto il pezzo di Forbes e di altre testate estere.
Dal titolo sembra quasi che i terroristi abbiano usato la console come strumento di pianificazione e non di comunicazione, eppure ha la stessa valenza di “Una strage preparata usando la lingua araba”. Ma al di là del titolo orribile, il faro della verità italiana è cascato in un grossolano errore, che si sarebbe potuto evitare se avesse controllato le fonti, magari aspettando che si fosse placato il baccano di notizie false che accompagnano eventi così tragici.
È venuto fuori che il giornalista di Forbes aveva fatto non uno, ma due errori: non era stata trovata alcuna PS4 nelle retate in Belgio e le dichiarazioni del ministro sono precedenti alla sparatoria del Bataclan. Non c’è quindi alcuna correlazione tra le due cose e infatti ieri notte l’articolo è stato mitigato nei toni, con relative scuse.
A questo punto sarebbe stato lecito aspettarsi almeno una pausa tra una castroneria e l’altra, anche solo per prender fiato, ma così non è stato. Bisognava dare un altro pugno al primo che passava.
Ci ha pensato Massimo Pillera, blogger del fatto a titolo gratuito (tanto fa il politico, può permetterselo) e cinquantenne “laureato in Filosofia Morale”il cui punto più alto della carriera è aver avuto un padre partigiano. Questo lo rende evidentemente esperto di conflitti, guerriglia e tecnologia, tanto che scrive: “Attentati Parigi: dai videogame alla strage”. Olè.
Vi lascio qui un paio di passaggi significativi.
“La modalità, non segue i manuali di guerra o di guerriglia, quanto piuttosto lo schema orribile e virtuale del video gioco. Ricordate i terroristi dell’11 settembre? Si addestravano con i simulatori di volo”.
Non so che videogioco abbia giocato o visto il signor Pillera, ma di solito quelli bellici si ispirano alla guerra vera e non viceversa, se poi ci riferiamo agli scenari europei ipotizzati in alcuni titoli, dubito fortemente Al Baghdadi abbia avuto l’idea giocando a Battlefield. Inoltre, addestrarsi con un simulatore di volo è una cosa, imparare a sparare da un FPS è un’altra, altrimenti saprei anche giocare a calcio dopo una partita di PES. Scritta così sembra quasi che la guerra sia cambiata per colpa dei videogiochi.
“Questi stragisti di Parigi si addestrano probabilmente come protagonisti di un video game, nel quale anche se spari erroneamente all’ambulanza non hai rimorsi”
Se non aveste ancora capito che i videogiochi sono una cosa brutta, ci pensa il signor Pillera a ribadirlo, infilandoli in una frase così, a casaccio. Che brutta gente i giocatori, una volta li ho visti schiacciare una tartaruga senza neanche versare una lacrima, prima di loro i terroristi avevano dei rimorsi grossi così.
“Come fare più punti in un video game con lo sparo, prima e con il jolly dell’esplosione come ultima chance una volta esauriti i caricatori”.
Maledetti videogiochi violenti che hanno insegnato ai terroristi come fare, prima dell’arrivo di COD si vestivano di giallo e mangiavano pillole e fantasmini!
“Emergono dall’orrore del video game in cui vivono all’interno di una comunità spazio-temporale virtuale, pronti a prendere il biglietto verso il paradiso, come gli hanno promesso in anni di indottrinamento anch’esso virtuale”.
“…un orrido gioco che li conduce ad un paradiso, dal virtuale al virtuale, passando veloci e scaltri come soggetti di una folle fiction che viaggia in rete”.
Chiariamo prima una cosa: sì l’IS utilizza da tempo i videogiochi come strumento di propaganda, grazie a copie modificate di GTA, Arma e altri titoli bellici, adattandone anche l’iconografia. Lo fa perché è una raffinata agenzia di comunicazione, perché poi i media strepitano sui videogiochi cattivi, perché è uno dei tanti canali a disposizione, per il gusto di prendere qualcosa di occidentale e usarlo contro i suoi creatori e perché probabilmente ha imparato dall’esercito degli Stati Uniti, che anni fa pubblicò un gioco a fini di reclutamento: America’s Army. Ma dato che gran parte dell’addestramento di talebani e altra gente col turbante ha origine americana, che spesso gli vendiamo le armi e che per anni abbiamo giocato a Risiko con la loro geografia, direi che i videogiochi sono l’ultimo dei problemi. Colpevolizzare il mezzo e non l’utilizzatore è assurdo, altrimenti ogni coltello sarebbe responsabile della gola che recide.
L’uso dei videogiochi per il reclutamento è solo parte della strategia, così come un videogioco non ti rende automaticamente un violento o un santo, non ti fa neppure iscrivere ai terroristi. Si tratta solo di una leva in più per convincere i vari Jihadi John che se è un fallito non è colpa sua, ma del Grande Satana occidentale. Sono persone cresciute in un ambiente che usa videogiochi, musica, social network e emoticon come mezzo di comunicazione, esattamente come noi.
Pillera ovviamente ignora tutto questo e parla per sentito dire. Forse sarà un pregiudizio, ma non ha la faccia né il background dell’esperto di media, intrattenimento virtuale e terrorismo, lo si capisce da quel che scrive e dal fatto che usa i social media con meno perizia di mia madre (ha una pagina Facebook aggiornata a qualche mese fa e un account Twitter privato con un pugno di follower).
Una volta per affascinare e abbindolare le menti semplici si usavano le parole latine, adesso è il gergo tecnico il nuovo latinorum. Pillera adora usare “virtuale” per identificare qualcosa di evanescente, oscuro e rischioso, quasi affascinante e lontano dal suo lettore. Non vuole informare, non vuole analizzare, cerca solo il colpo ad effetto sull’analfabeta funzionale, sul tizio che adesso condivide foto della Fallaci accanto a qualche bufala sul Metodo Stamina e urla “bombardiamoli tutti”.
Forse il signor Pillera farebbe bene a tornare a fare ciò che sa fare meglio: il Ghost Writer di Razzi pagato a nero.