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The King's Man - Le Origini prova l'eleganza combattiva ma inciampa nella guerra

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The King's Man - Le Origini ci strappa dall'assurdo e ci porta in una storia bellica, non sempre capendo però quale lato favorire.

Kingsman è stato un esperimento di particolare spessore che è riuscito a regalarci delle spy/action story che prendessero l’eleganza dello spionaggio britannico cementata nell’industria cinematografica e la trasformassero in una corsa frenetica all’assurdo, senza però tradire quelli che sono gli stilemi dello stile impeccabile della regina.

 

Un cocktail un po’ amaro al primo sorso, ma che via via diventa gradevole fino a diventare il perfetto compagno di bevute, pur con il rischio di esagerare qualche volta. Un po’ Bond, un po’ Johnny English, Kingsman è entrato nel cuore del pubblico per ben due volte, e anzi oserei dire che nella sua seconda prova si è dimostrato ancora più capace di capitalizzare su quella che è l’essenza di Kingsman.

 

Matthew Vaughn ha però messo il freno a mano sulla storia di Eggsy e della moderna Kingsman per fare qualche passo indietro e raccontarci le origini dell’agenzia Kingsman, confezionando il film prequel The King’s Man – Le Origini. Vittima dello slittamento obbligato dal COVID, questa pellicola è evidentemente un cambio di tono abbastanza significativo per il marchio, anche perché la modernità dei nostri giorni permette al cast e al film di fondere in diversi ambiti il concetto di “cavalleria” con le lotte o i conflitti che contraddistinguono i tempi attuali.

 

Tecnologia applicata a orpelli del passato, una classe delle spie fuori dal tempo, una certa spietatezza celata da un linguaggio forbito e dimenticato: elementi che a mio giudizio definiscono Kingsman come le maniere lo fanno per l’uomo. The King’s Man di questo retaggio conserva principalmente le riprese delle sequenze, la tecnologia è quasi del tutto assente nell’ecosistema della trama e anche l’azione subisce un ridimensionamento, provando per lo più di dare allo spettatore una storia di guerra e perdita.

I vecchi spettatori ricorderanno senza dubbio che l’origine dell’agenzia Kingsman deriva dall’unione di elementi di spicco della società inglese della prima guerra mondiale che hanno perso qualcuno o qualcosa durante il conflitto. Principalmente seguiremo il percorso di Artù, ovvero Orlando Oxford (Ralph Fiennes), e delle sue scelte durante lo scoppio della guerra di trincea. Una famiglia da proteggere sotto un voto di pacifismo mentre il mondo intero va al collasso chiedendo aiuto a chi ha la possibilità di poter intervenire. Dove è in confine tra il servire il proprio paese e il sacrificio inutile di ragazzi che si credono eroi, arrancanti tra le montagne di giovani corpi che insozzano i fossati edificati dalle nazioni? The King’s Man vuole riflettere su questo, tanto, e lo fa con tutta una serie di scene che provano a dare un ampio significato al film ma che, magari neanche per un loro difetto intrinseco, stridono con quella che è l’anima che abbiamo descritto sopra e che la trama tenta di mantenere su un precario equilibrio.

 

Da un lato vi ritroverete a vedere scene toccanti estratte da un film di guerra, ma il cui attaccamento è comunque più effimero di quello che dovrebbe essere nel genere in questione. Dall’altro ci sono combattimenti folli, battute, situazioni al limite del ridicolo e un gruppo di supercattivi perfettamente in linea con l’animo caricaturale degli antagonisti delle precedenti avventure della Kingsman Agency. Per quanto non posso dire di aver avvertito una dissonanza così netta tra le parti, non ho avvertito una presa emotiva né da una parte né dall’altra, nonostante il generoso minutaggio in soccorso al grande respiro del racconto.

L’incipit di The King’s Man è utile a spiegare l’assetto del mondo e della famiglia Oxford, del perché ci sia una certa resistenza da parte del Duca nell’addestrare Conrad e metterlo al corrente degli affari segreti che il padrone intraprende nella propria residenza. Solo nel momento di estremo bisogno rinuncerà a qualche concessione, paradossalmente seguendo un ritmo opposto a quello che è stato il reclutamento di Eggsy. Fin qui tutto funziona bene e ci porta a una lunga e bellissima scena il cui protagonista in assoluto è il Rapustin di Rhys Ifans. L’interpretazione di questo personaggio, dalla gestualità all’espressività, è magistrale e non credo sia errato definire la sua presenza il punto più alto del film, specie perché si esibisce in un perfetto combattimento che unisce danza, tradizione musicale russa e duelli al filo di spada.ù

 

Ed è durante quelle piroette letali scaturite da un alterco su una torta e una gamba malandata che si avverte di star guardando un promettente film di Kingsman, con quell’esagerazione recitata abbastanza bene da non far sembrare la narrazione fuori posto per uno spionaggio bellico. Lo scontro di modi di fare, della rozzezza contro l’eleganza british, tutto giusto fin qui e anzi il conflitto mondiale assumeva un ruolo sì importante, ma mai soverchiante rispetto alla storia dei singoli dietro le ombre.

 

Purtroppo la conclusione della missione in Russia diventa un sipario fin troppo pesante per tutto il resto del film, il quale fa calare l’era delle trincee e ci porta a vivere la guerra in prima persona con una serie di scelte registiche più serie, lontane dal tono assunto un precedentemente. Gente che muore, lettere dal fronte, scontri politici e rapidi scambi geografici fanno sì che The King’s Man diventi frammentato, confuso e poco capace di riuscire a ritrovare quella strada che poco fa aveva ingranato a tutta velocità. Certo, il racconto della World War non è sbagliato di per sé, anzi porta una serie di riflessioni davvero intelligenti e con una gravità ben evidenziata da alcune scene nientemeno che memorabili.

In più di un’occasione The King’s Man fa gravare la scure di un passato che molti paesi ancora tentano di dimenticare e non è un’impresa facilmente eseguibile, il problema è l’essere fuori luogo per il tipo di pellicola che in apparenza tenta di essere in più di un’occasione.

 

Non puoi cambiare così repentinamente i toni senza trovare una quadra soddisfacente, soprattutto se la risoluzione del racconto calca unicamente su colpi di scena con personaggi che – al netto di tutto – hanno un ruolo quasi marginale. C’è un evidente scollamento tra quello che il film vuole far provare allo spettatore e quello che poi effettivamente si prova, non c’è un percorso emotivo come lo ha avuto Merlino nel Cerchio D’Oro, non c’è pathos nonostante tutti gli attori ce la mettano tutta con performance encomiabili. E tale è il peccato maggiore di The King’s Man, pur con tutti i pregi che gli si può concedere.

 

Non la ritengo però una pellicola da dimenticare o da bistrattare, anzi. Come evidenziato qualche paragrafo prima, ci sono scene eccezionali che da sole meritano la visione sia dal lato più Kingsman che da quello prettamente bellico. La fotografia è azzeccata così come i costumi, la resa visiva degli elementi più artistici, il voler caratterizzare i personaggi nell’eleganza e nella stramberia. E poi c’è Daniel Bruhl che è un bonus non da poco, ma qui penso di essere di parte io.

 

The King’s Man è un pezzo essenziale per capire la filosofia del marchio, anzi forse avrebbe senso vederlo prima degli altri due per riuscire a preservare quel crescendo di violenza e azione che con l’ordine di uscita si perde molto proprio nel prequel, decisamente più filosofico. Tuttavia, con mio dispiacere, il mondo non si salva filosofeggiando e forse nelle origini dell’agenzia ci sarebbe voluta un po’ più della verve che contraddistingue la prima metà del film.

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