Magnum Inferno. Per molti: ma non piacerà a tutti
Una recensione del gioiello di Casa Algida, il Magnu Inferno. Nato per celebrare Dante, riuscirà a essere anche buono?
L'idea di celebrare Dante con un gelato, soprattutto parlando di inferno, pare paradossale. Quanto regge il paragone tra gusto e immaginazione?
È una sfida ambiziosa quella di portare il gelato all'inferno: Algida ha voluto provarci, cogliendo l'occasione offerta dall'anniversario dalla nascita del Sommo Poeta - al secolo Dante Alighieri - per proporre non una ma ben tre versioni del suo gelato di maggior successo degli ultimi anni. Così il Magnum diventa uno e trino: inferno, purgatorio, paradiso. Una sfida ambiziosa, dicevamo, riuscire a condensare 33 canti in un gelato su uno stecco: sfida che l'azienda sotto il controllo di Unilever (un gigante con spalle abbastanza larghe da reggere il peso) sceglie di affrontare a viso aperto. Naturalmente la maggiore e principale attesa era sull'esordio: quell'Inferno che è senza ogni ombra di dubbio la parte più affascinante della Commedia dantesca, e che alla prova dei fatti potrebbe decretare il successo o il crollo delle ambizioni di Algida per questo progetto.
Unboxing
L'esordio, bisogna dirlo, appare proprio come uno dei più classici meme di quando ordini su Wish e quando poi il prodotto lo ricevi a casa: il gelato che potete addentare nel mese di marzo e aprile è molto diverso da quello che Algida stessa mostra sulla scatola o sul sito ufficiale dell'operazione. Quella variegatura di lampone che sembra tappezzare l'interno color grigio cenere è solo una trovata del Photoshop del pur ottimo grafico impegnato nell'operazione: quello che ci troviamo difronte, stecco alla mano, è un guscio di cioccolato con dentro una crema al carbone vegetale che sicuramente darà una gran mano al vostro reflusso, ma che poco si sposa con l'estetica a cui associamo il gelato.
Però non ci si può fermare al puro approccio visivo: bisogna scendere più in profondità, chiudere gli occhi e assaporare quello che questo ambizioso gelato ci propone. Per chi non ricordasse le torture inflitteci a scuola, l'Inferno dantesco è tutto un contrappasso: se in vita ti sei macchiato di un peccato tanto grave da farti precipitare in uno dei gironi che Dante scova nella selva oscura, ecco che lì troverai il tuo supplizio attraverso una pena che riproduca in modo analogo o completamente opposto la colpa. Per esempio, gli ignavi son costretti continuamente a muoversi, sottoposti alla tortura dei tafani che li obbligano a muoversi di continuo. Oppure i golosi, dopo aver divorato qualsiasi cosa in vita, all'inferno son continuamente sbranati da Cerbero.
La dieta del contrappasso
Dunque cosa fa il Magnum Inferno? Applica pedissequo il contrappasso: per ogni attimo di dolcezza c'è il contrasto del sapido qui rappresentato dal caramello salato che funge da contrappeso. Il carbone vegetale che tinge la crema non lascia granché al palato, sta lì più che altro a fare scena: il lampone poi, che è la parte dolce, si avverte solo vagamente e solo in alcuni morsi visto che, nonostante le immagini promozionali dicano il contrario, c'è qui e lì ma di certo non costituisce una variegatura efficace. Una perfetta metafora della vita, in cui i piaceri sono brevi e caduci.
Il risultato è, per l'appunto, un inferno: il cioccolato è quel briciolo di piacere che assaporiamo, colpevolmente, in vita. Il sale è il sapore dominante in gusto e retrogusto, quello che rimane più persistente anche alla fine del consumo quando siamo arrivati allo stecco. Si impone la domanda: è questa una rappresentazione efficace di come sarebbe la dannazione? Forse sì, forse dopo aver addentato 222 chilocalorie per porzione di questo stecco è giusto sentirsi in colpa con in bocca il sapore del sale invece di quello dolce del cioccolato. Abbiamo peccato di gola: dovremo passare il resto del pomeriggio a bere per ripianare la nostra colpa.
Missione compiuta
Algida. Complimenti: missione compiuta.
A questo punto però, dopo la noia del Purgatorio, ci aspettiamo l'estasi e l'esaltazione col Paradiso.