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Furiosa! No, delusa

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Furiosa è un personaggio tra i più interessanti degli ultimi anni, forse raccontarlo con la solita storiella di mentori maschili non è stata una buona idea.

È inutile negarlo, perché in cuor nostro sappiamo tutti che è così: il vero centro di gravità di Mad Max: Fury Road è Furiosa. Il personaggio interpretato in modo sublime da Charlize Theron – così sciatto, sporco e con una voce baritonale e cupa che ti rimbomba nella testa – è stato senza dubbio uno dei (tanti) motivi per cui la pellicola di George Miller del 2015, che ha riportato in vita il franchise di Mad Max dopo vent’anni di letargo, si è impressa nella fottuta retina.

Ancor più di Immortan Joe (il nuovo iconico villain della saga), di gran lunga più dello stesso Max – che in Fury Road sembra quasi svanire al suo fianco – Furiosa era l’unica e sola protagonista di una storia che, in anticipo rispetto ai giorni nostri, accoglieva potenti riflessioni femministe accanto ai suoi tanti, diversi temi che hanno reso incredibile il film a suo tempo.

Furiosa ha incarnato un ideale nuovo, per certi versi inedito per il cinema contemporaneo di genere, in cui l’uomo (in questo caso Max) funge da spalla, da compagno, da suo pari. Furiosa non è (affatto) una “damigella in pericolo”, non è (più) “una damigella utile” - quest’ultima è un’interessante definizione, offerta dall’attivista Anita Sarkeesian, relativa ad alcuni personaggi femminili nei videogiochi, i quali sono considerati tali perché fanno proprie le caratteristiche maschili (e si rivelano, così, valide), tuttavia nascondendo la loro femminilità.

No, il percorso di Furiosa si intreccia a quello di Max perché condividono gli stessi valori, giocano allo stesso livello, non si percepisce alcuno squilibrio tra i loro ruoli. Sono due anime che sopravvivono alle terre desolate nel tentativo di cambiare le sorti di un mondo che, in fin dei conti, non è perduto del tutto – non vuole esserlo, prova a resistere.

Ecco perché una storia sulle origini di questa eroina, qual è Furiosa: A Mad Max Saga, è un film che porta con sé un carico di aspettative gigantesco: dopo averci stuzzicato in Fury Road, Miller aveva carta bianca per raccontarci com’è nata Furiosa, offrire uno sguardo più inteso su quelle che sono le sue radici e comprendere in modo più approfondito dettagli sul suo passato che nella pellicola precedente non avevano trovato il giusto spazio – e chissà, forse è stata proprio questa loro mancanza ad aver contribuito a cristallizzare ancor di più il suo personaggio.

Insomma, avevamo davvero bisogno dello “spiegone” su Furiosa prima che diventasse tale? Forse sì, ma forse anche no. Andiamo con ordine.

Occhio che qua si parla un po' di film, ma niente che non si capisca anche dai trailer.

Prima un contesto: Furiosa parte anni prima gli eventi di Fury Road, quando l’eroina era poco più di una bambina. Abitante del Luogo Verde delle Molte Madri – un’area incontaminata, rigogliosa e nascosta all’occhio dei predoni delle Wasteland – Furiosa viene rapita e accolta da un folle e sanguinario signore della guerra, chiamato Dementus (Chris Hemsworth), il cui esercito di motociclisti è in conflitto con Immortan Joe (qui interpretato da Lachy Hulme) e i suoi seguaci per il controllo su risorse idriche, alimentari e di energia.

Dopo uno scambio alla Cittadella (la città-fortezza di Immortan Joe) volto a condurre ad un’apparente tregua tra le diverse fazioni, Furiosa entra nelle fila dei meccanici dell’esercito di quest’ultimo, ma al tempo stesso costretta a vivere in un mondo forgiato da violenza e atrocità. Divorata da un desiderio di vendetta nei confronti di Dementus, la giovane – oramai divenuta adulta – diventa la “protetta” di Praetorian Jack (Tom Burke), un uomo burbero e misterioso che per primo le dipinge il volto di nero e l’aiuta ad affinare le sue abilità alla guida e in combattimento.

E qui la prima dissonanza in termini narrativi: Furiosa nasce in una società matriarcale, viene cresciuta da una madre che vanta eccezionali qualità in combattimento, le insegna a difendersi sin dalla più tenera età.

È una piccola macchina da guerra, che ha in nuce il potente fuoco materno – e dunque, perché abbiamo bisogno di un mentore o, ancor peggio, di una figura paterna – qui incarnata da Praetorian Jack – affinché si legittimi il suo status di eroina nell’atto successivo?

I primi minuti di Furiosa: A Mad Max Saga sembrano raccontarci una storia diversa, ci illudono che sarà una storia diversa, proprio grazie alla presenza scenica straordinaria della madre.

Furiosa è quella che è in Fury Road perché è stata allevata da una donna che sa badare a sé stessa, che si batte senza pietà per difendere il suo piccolo angolo di paradiso; è a metà tra un’amazzone e una strega, è difficile distogliere lo sguardo quando imbraccia il suo fucile da cecchino, quando mette in atto il suo pensiero veloce.

Eppure, sono proprio quei minuti, così potenti e densi di significato, a dissolversi in un soffio, e questo per far largo a diverse figure maschili – la maggior parte negative, va detto – che vogliono imporre la propria forma mentis su Furiosa – proprio lei, così intraprendente e dissoluta già da ragazzina.

E poi c’è Praetorian Jack, appunto, il mentore (o padre putativo, se volete) – colui che può vantare di aver plasmato la guerriera e la guidatrice di bolidi migliore delle Wastelands. Un mondo di uomini, fatto da uomini e per uomini – in cui le donne, al massimo, sono spazzini, meri oggetti di riproduzione o bambole da ammirare e toccare – e che Furiosa è costretta in qualche modo ad abbracciare, semplicemente per sopravvivere – o forse perché sa che è l’unico modo per riuscire a trovare la pace dopo aver consumato la sua vendetta.

Già, la vendetta: un concetto così arcaico, così classico, così fortemente legato alla tragedia greca; così maschile, per certi versi. Mentre osservavo il legame che si costruiva tra Furiosa e Praetorian Jack, ho vissuto una sorta di déjà-vu: ho pensato al primo The Last of Us, a Logan, alle tante opere con protagoniste coppie padre-figlia, e a quanto quel sentimento di vendetta sia stato spesso usato come collante, come traino alla loro unione.

Ma quanto è positivo tutto questo? Quanto il seme della rivalsa può essere utilizzato come espediente narrativo ancora oggi, soprattutto quando si prova a scrivere e raccontare un personaggio femminile? Furiosa qui scende a patti con quel mondo, lo introietta dentro di sé, lo giustifica – eppure, quel modo di vedere il mondo è esattamente ciò che lei rifiuta, da cui prende le distanze in Fury Road.

Il racconto di Furiosa: A Mad Max Saga fa fatica a tenere insieme i diversi pezzi che lo compongono: nonostante una struttura piuttosto lineare, decisamente più fluida rispetto a Fury Road, si creano momenti molto disomogenei tra loro, quasi contrastanti – non solo interni al testo, ma anche rispetto all’opera di cui funge da prequel.

A questo si aggiunge una Anya Taylor-Joy completamente fuori parte, incapace di reggere il confronto con la più audace trasformista Charlize Theron: nonostante il suo brillante mutismo e sguardi taglienti più di lame affilate, Taylor-Joy soccombe alla fisicità e alla presenza scenica di Theron, quest’ultima una Furiosa forgiata nel fuoco e nel metallo, nonché l’unica e sola a poter guidare la blindocisterna sulla fury road per portare in salvo le Cinque Mogli di Immortan Joe.

Tuttavia, la grande fortuna di Furiosa – il motivo per cui ne sentiremo parlare a lungo nei prossimi tempi, come nuova opera monumentale di genere – è che è grande cinema nella sua essenza più pura. Il modo in cui Miller cristallizza ogni istante, passando da primi piani a campi totali con il ritmo frenetico di un concerto hard rock, il modo in cui lavora attraverso le immagini è semplicemente pazzesco.

Nonostante abbia accettato un uso più sciolto della CGI rispetto a Fury Road – non sempre con risultati impeccabili, va detto – ogni inquadratura, ogni momento di Furiosa trasuda settima arte nel suo senso più metafisico.

È potenza nello sguardo, è violenza nello sguardo, è dinamismo nello sguardo: Miller volteggia e gioca con la macchina da presa, trascinandoci di prepotenza tra le ruote di blindati e moto genuinamente tamarri, tra tempeste di sabbia e terre aride, per immergerci nel suo domani post-apocalittico, così lontano e così vicino – proprio come quello che immaginò per la prima volta nel 1979.

C’è meno musica in Furiosa rispetto a Fury Road, ma questo solo perché risulterebbe eccessivamente didascalica rispetto alle immagini, capaci di animarsi e vantare una vita propria sullo schermo senza il bisogno di ulteriori suggestioni.

E poi sì, c’è Chris Hemsworth, il vero mattatore (l’ho scritto davvero?) di questo Furiosa, il deus ex machina che permette di tenere insieme le tante parti disomogenee di questo film, grazie ad un umorismo cupo e nonsense completamente fuori scala. No, nel caso ve lo stesse chiedendo, non è lo stesso Hemsworth del Thor corpulento di Endgame e Guardiani della Galassia 3, che faceva leva (in modo grottesco, almeno per me) su una comicità e una fisicità al limite dello slapstick – e anche un po’ fuori tempo massimo, se vogliamo.

Il Dementus di Hemsworth è brutale, ma al tempo stesso tenero; è disgustoso, ma sempre con la battuta giusta nel momento giusto. Il nuovo villain di questo capitolo è la sintesi perfetta di questo Furiosa: A Mad Max Saga: imperfetto, sporco, travolgente, violento, rock.

Se in termini puramente cinematografici la nuova opera di Miller è uno dei momenti più ghiotti da attendere per gli appassionati del cinema di genere, un modo per rifarsi gli occhi con la grandiosità dell’immagine cinematografica caratterizzata da una straordinaria (pre)potenza, è forse nel suo intento di farsi “storia delle origini” dell’Imperatrice Furiosa a fallire in modo violento, a causa delle tante discrepanze con il personaggio di Fury Road.

Furiosa meritava un trattamento differente, meno paternalistico, meno stereotipato, meno convenzionale – perché è ciò che ci era stato promesso nella pellicola del 2015.

O forse è solo colpa mia ad aver nutrito più speranze in lei di quanto avrei dovuto.

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