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Tre ragioni per amare e rileggere Emilio Salgari nel 2020

Il Caso Salgari – (1911-2020)

La mattina del 25 aprile 1911, Emilio Salgari uscì di casa per l’ultima volta, i figli lo videro salire su un tram più strano del solito e sparire per sempre. Coperto dai debiti verso le case editrici che aveva arricchito, umiliato dagli intellettuali che lo avrebbero rivalutato negli anni, perduto il sostegno della giovane moglie ricoverata in manicomio, si tolse la vita. Con gli occhi rivolti dove il sole si leva fece harakiri, come uno dei suoi personaggi, ma senza la nobiltà di Emilio di Roccabruna, signore di Ventimiglia, né la fierezza della “Tigre di Mompracem

Lo trovarono con la gola squarciata nel punto più alto di Valle San Martino, dove gli alberi e i cespugli si aprono su un crepaccio roccioso. Nella mano destra stringeva un rasoio affilato, nella tasche aveva cinquantasei lire d’argento e, accartocciati in fondo, la ricevuta di un pacco di manoscritti appena inviati e tre lettere scritte con la sua calligrafia minuta. Una ai figli, l’altra ai direttori dei quotidiani torinesi, l’ultima agli editori: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in un continua semi miseria vi chiedo che pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.”

Basterebbe questa premessa a giustificare un articolo su Emilio Salgari, nato a Verona il 21 agosto del 1862. Un uomo alto un metro e mezzo, tormentato da una fantasia sterminata, tale da rendergli impreciso il confine tra realtà e finzione, perseguitato da un cupo destino di suicidio e malattia ma segretamente pervaso da fremiti eroici ed esotiche utopie. Eppure non è che l’inizio.

Infatti, a circa 120 anni dalla sua scomparsa, di questo scrittore straordinariamente prolifico - più di 80 opere tra romanzi e racconti - di questo “viaggiatore recluso”, le cui gesta letterarie hanno ripercorso in lungo e largo l’atlante dell’Avventura: dalla Malesia alle Antille, dalla Russia al Far West; arredando i sogni estivi di molti ragazzi, lontani dall’aria viziata dei giorni di scuola, sappiamo sempre troppo poco. A partire dal suo nome, la cui corretta pronuncia è Emilio Salgàri e non Sàlgari, accentato sulla penultima, cognome fitonomo che deriva da una pianta, il “salgar”, con cui in veneto si indicano i salici.

Per molti aspetti Salgari è ancora oggi un autore misterioso

Un autore che tutti hanno letto durante l’infanzia ma che in pochi conoscono realmente fino in fondo. Per esempio, non molti sanno che fu il solo a intervistare il leggendario William F. Cody, aka Buffalo Bill nel 1890, in occasione dell’unica tappa italiana del suo spettacolo circense  "Wild, West, Show” a Verona; che fu il precursore della fantascienza in Italia (“Le Meraviglie del 2000”, 1907) che fu d’ispirazione per celebri rivoluzionari; ma soprattutto che fu l’unico, a dispetto dei suoi illustri e blasonati colleghi, quando l’Europa era all’apice della sua potenza, a resistere all’allettante fascino della letteratura d’ardimento colonialista, l’ unico a sfuggire all’imbrigliamento pedagogico fascista, l’unico a non schierarsi mai dalla parte dei vincitori ma sempre a fianco di eroi picareschi votati alla sconfitta.

 

Per questo motivo credo sia necessario ricodarlo, proprio in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, per dare la possibilità a una generazione di vecchi e nuovi lettori, di riscoprire la vivacità di una narrazione variegata e irresistibilmente attraente. Per farlo prenderemo in analisi tre caratteristiche della sua poetica che sottolineano l’influenza mediatica che la sua eredità letteraria ha esercitato e continua ad esercitare sul mondo della fiction letteraria, fumettistica e cinematografica.

1) Lo stile: la serialità e l’arte del remake

Nell’epoca postmoderna del pluralismo di stili, in cui l’orizzonte creativo dell’intrattenimento spesso coincide con un’azione di “seconda mano”, dove si sono azzerati i confini tra “cultura alta” e “cultura bassa” ma sopratuto dove il passato è un serbatoio di forme, modelli e figure con cui giocare liberamente ; sembra quanto mai attuale parlare di Emilio Salgari come nobile precursore di questo fenomeno, riconoscendogli il ruolo di scrittore pop e crossmediale

D’altronde, in tempi non sospetti, dalle sue opere sono state tratte sia serie televisive di grande successo (da “Sandokan” il fortunato sceneggiato diretto da Sergio Sollima, fino al suo sfortunato sequelIl Ritorno di Sandokan) di Enzo G. Castellari del 1996); lungometraggi (da “Il Corsaro Nero” di Vitale Di Stefano del 1921 fino a “La Tigre è ancora viva, Sandokan alla Riscossa! del 1977, sempre ad opera di Sollima); Edizioni a fumetti (dai primi cicli salgariani apparsi nel 1937 per mano di Celsi e Albertarelli, passando per un inedito Sandokan realizzato da Hugo Pratt e Mino Milani per «Il Corriere dei Piccoli» nel 1971, fino ai recenti tributi , contenuti nel volume “Sandokan a Fumettidel 2009 ); persino cartoni animati ( da “All’ arrembaggio Sandokan!, una simpatica serie animata spagnola con animali antropomorfi realizzata nel 1994, a “Sandokan – La Tigre della Malesia, prodotta da RAI Fiction nel 1998).

I motivi di questo inaspettato successo su ogni tipo di media sono molteplici, alcuni dei quali trascendono anche la volontà dello stesso autore. Il più evidente è relativo alle caratteristiche intrinseche delle sue opere: una mole infinita di storie e suggestioni da cui poter attingere, a seconda delle proprie esigenze. Una vera e propria giungla in cui è cronologicamente difficile districarsi ma che, a distanza di tempo, è possibile suddividere in cicli narrativi coerenti e ben articolati, distinguendoli addirittura per ambientazioni storiche e geografiche.

Infatti si parte dal famoso “Ciclo dei pirati della Malesia” composto da 12 romanzi con protagonisti Sandokan, Yanez e i loro fidi “tigrotti”, che copre un notevole arco di tempo dal 1883 (Le Tigri Di Mompracem) fino al 1913 (La Rivincita di Yanez) per passare poi al Ciclo dei Corsari delle Antille (5 volumi), con protagonisti il Corsaro Nero e tutta la sua dinastia, per poi passare a più sobrie trilogie come il Ciclo dei Corsari delle Bermude e quello delle Avventure nel Far West, fino a cicli minori ma degni comunque di grande interesse come quello  Africano.

Emilio Salgari infatti è quello che gli americani oggi definirebbero uncompulsive writer”,uno scrittore coatto, una categoria a cui appartengono una serie di fortunati autori fiume”, molti di genere, che con gli utili dei copyright, guadagnati dalla trasposizione delle proprie opere, hanno assunto il ruolo di rockstar della letteratura, pensiamo al sempreverde Stephen King

Si tratta di scrittori che hanno saputo sfruttare il territorio della fiction, un territorio inesauribile della psiche, per flirtare con il pubblico che riempie le grandi sale. È possibile affermare che Salgari, involontariamente, sia stato l’antenato illustre di questi scrittori, sicuramente in Italia. Egli è stato il primo autore che tra la fine dell’Ottocento e del Novecento, in un panorama letterario aulico, dominato da Carducci, da Pascoli e, nella prosa da D’Annunzio, si è gettato a capofitto nei meandri della fiction, intuendone le potenzialità ancora inespresse.

In un’epoca senza televisione e ancora senza cinema, Salgari aveva compreso i tre elementi fondamentali di ogni narrazione: la velocità del ritmo, il senso dell’immagine e l’importanza del pubblico a cui ci si rivolge.

La velocità del ritmo era un’eredità della tradizione letteraria che aveva alle spalle, quella del  romanticismo nero e del feuiletton francese. Una forma di letteratura popolare, ignorata da quella ufficiale, che stava raccogliendo grandi consensi in tutta l’Europa. Si trattava di romanzi d’appendice, precursori dei racconti “pulp”dalle tinte forti, pubblicati a episodi sulle riviste e rivolti a al grande pubblico che dalle campagne si stava riversando nelle città. La fortuna del genere era quella di una lettura resa più agile, accattivante e spasmodica dall’attesa settimanale delle nuove puntate. Vi ricorda qualcosa?

Tra i tanti autori, Salgari aveva preso spunto soprattutto da un giovane collega d’oltralpe: Alexandre Dumas, da cui aveva imparato la composizione, il dosaggio degli effetti, la dilatazione delle storie in lunghe genealogie (il Ciclo dei 3 Moschettieri infatti è composto da tre voluminosi tomi).

Ma più di ogni altra cosa, aveva imparato un ingrediente segreto: l’effetto “vent’anni dopo”. Ovvero il gusto di tornare su certi luoghi, su certe trame, su certe situazioni, con la malinconia di chi si ritrova sul teatro di precedenti imprese, immergendo i propri lettori nel fascino della memoria.

Il senso dell’immagine invece era merito di un limite di Salgari. Infatti se è vero che amava farsi chiamare Capitano” dai suoi conoscenti, sognando paesi lontani e avventure marinaresche, in realta la sua unica “avventura” era stata una modesta crociera sull’Adriatico. Soffrendo dunque di un complesso d’ inferiorità” di fronte ai blasonati colleghi internazionali del calibro di Conrad, Kipling e London, spiriti inquieti per cui viaggiare e scrivere era la stessa cosa, Salgari divenne, per antitesi, un “viaggiatore recluso”.

Per cercare le immagini che voleva suggerire, divenne un fornicatore maniacale di archivi, biblioteche, schedando minuziosamente qualsiasi dettaglio storico, geografico, antropologico. Non inventava nulla, se non era strettamente necessario, e quando succedeva battezzava i suoi personaggi con nomi di cose di luoghi che avessero almeno una chance fonetica di veridicità. Sebbene la sua geografia fosse spesso priva di concretezza, motivo per cui la sua opera fu a lungo ghettizzata a livello accademico, le incaute simulazioni gli offrirono il vantaggio di un massimo grado di libertà.

Infatti, nonostante la fretta e l’approssimazione, dettati dai ritmi di lavoro, il linguaggio di Salgari rimane estremamente evocativo, capace di entrare di diritto nell’immaginario collettivo, come se ti trattasse di un effetto speciale”. Un’iperbole in cui le parole perdono il proprio senso concreto e si trasformano in puro suono e suggestione. La componente visiva prende il sopravvento provocando nei lettori un piacere ed un interesse che lo avvincono, come si trattasse di un sogno ad occhi aperti. Tutti ricordano la jungla insidiosa di Tremal- Naik, gli aspri scogli di Mompracem, i kriss dalla lama serpeggiante, gli agili prahos, i thugs sanguinari….Indiana Jones e il tempio maledetto.

È “l’Effetto Salgari”, effetto in grado di rivisitare la tradizione narrativa, frantumandola la struttura per mescolarne i brandelli con altri riferimenti, ottenuti da altre fonti. Potremmo definirla un’estetica del rifacimento, inteso però non come pigro riproposizione di qualcosa di già visto, ma come briosa rivisitazione, colta rilettura, ludica reinterpretazione.

Sotto questa prospettiva Salgari è un poeta del remake”, egli va dove già è stato qualcun altro, insegue etnografi, cronisti, scrittori del suo stesso tipo, portando sempre con sé la fresca disponibilità di un entusiasmo onnivoro, quello del suo pubblico, che vive e sogna attraverso le sue parole. Salgari comprende perfettamente la necessita di spalancare spazi, altrimenti inaccessibili al nuovo pubblico delle grandi città, un pubblico giovane affamato di fantasia, pronto a sottrarsi alla monotonia di un’esistenza statica ma che per farlo ha bisogno di protagonisti in cui identificarsi. Protagonisti dunque di estrazione popolare, di facile riabilitazione e con grandi aspirazioni, in una parola sola: pirati!

2) I protagonisti: “gli ultimi gentiluomini di fortuna”

Tra tutte le figure letterarie cui l’industria dell’intrattenimento ha attinto, nel corso dei secoli, stabilendo un rapporto di continuità tra generazioni di pubblici differenti, sicuramente una delle più longeve rimane quella dell’uomo della filibusta e dell’universo avventuroso in cui esso viene avvolto e di cui si avvolge. Come tutti sanno chi battezzò queste figure a livello letterario, siglando il loro successo, fu Robert Lous Stevenson nel suo romanzo L’ Isola del Tesoro nel 1883, divenuto, a pieno titolo, uno dei titoli più celebri della narrativa per ragazzi e non solo.

Quello che si ignora, invece, è se Emilio Salgari abbia mai letto le gesta di Long John Silver, per trarne ispirazione per i protagonisti delle sue opere. Quello che è certo è che Salgari si documentò a riguardo. Egli non attinse direttamente dall’opera fondamentale Storia degli avventurieri, filibustieri e bucanieri che si sono distinti nelle Indie”,scritta nel 1687 dal pirata, scrittore e storico francese A.O. Exquemelin, bensì da opere derivate da questa come La Storia dei Filibustieri dell’Archenolz” del 1820 e da I Filibustieri” di J. Trousset”, edita da Sonzogno nel 1880.

Salgari, in qualità di letterato popolare, intuisce le potenzialità metaforiche e la carica simbolica che la figura del pirata, intrisa di ferocia e lealtà, poteva esercitare sul proprio pubblico giovane e conosce come soddisfare queste aspettative. Comprende come le loro avventure, riflettano la mancanza di integrazione degli emarginati e dei perdenti della società e come l’utopia dell’”Altrove”, del viaggio e dell’avventura possano risarcirli. Un destino nel quale l’autore non può che immedesimarsi al punto che i pirati diventano per tutta la vita il suo doppio,  in grado di riscattarlo da una realtà di imprese mancate e prosaiche debolezze.

Da una parte c’è Sandokan: il sanguigno pirata bornese, l’instancabile e superoistica “Tigre della Malesia“, pronta a ruggire come la sua bandiera, dagli scogli di Mompracem, contro il colonialismo inglese. Sempre in compagnia del carismatico sidekick: Yanez de Gomera e di un esercito d tigrotti”, amici fedeli pronti a battersi per un ideale superiore.

Mentre dall’altra Emilio di Roccabruna ovvero il nichilista Corsaro Nero: un nobile rinnegato, amareggiato dalla vita, che scandaglia, taciturno, le regioni dell’inconscio, consumato da una sete di vendetta che non ammette tregua. Il primo accompagnerà lo scrittore negli anni brucianti della giovinezza, mentre al secondo spetterà traghettarlo lugubremente, sul suo cupo vascello, verso quello ineluttabile della morte.

Due lati della stessa medaglia che a ben vedere contribuiscono, con le dovute differenze, a costruire la grammatica dell’eroe/antieroe moderno, da Zorro al Batman : un giustiziere costretto dal destino a errare in cerca di giustizia/vendetta, verso l’immancabile resa dei conti. Un itinerario che lo costringe ad agire al di fuori della legalità, disobbedendo all’ordine costituito, per reclamare a pieni polmoni i valori superiori della libertà e dell’uguaglianza. Valori messi a repentaglio, inevitabilmente, dal villain di turno.

Nel caso di Salgari: l’inglese Lord James Brooke, il Leopardo di Sarawak” e il fiammingo Duca Wan Guld, che servono a mettere in moto la macchina dell’azione e a tenere alta la tensione narrativa ed emotiva. È un’epica elementare, in cui ogni dettaglio rimanda a un’idea dicotomica di coraggio-viltà, fedeltà-vendetta, vittoria-sconfitta. Un’etica facile da assimilare per i lettori di ogni età.

La cosmogonia salgariana è un affresco enorme, che da un romanzo all’altro si si arricchisce geograficamente di luoghi sempre più lontani, spostando i confini dell’avventura sempre più in là. Un universo popolato da una “corte” di personaggi maggiori e minori, collegati a quelli principali (gli amori: la “Perla di Labuan”per Sandokan e Honorata Wan Guld, per il Corsaro Nero; gli amici: Yanez/Tremal Naik, Sambigliong a un lato, Carmous, Wan Stilller dall’altro; fino agli eredi: Yolanda la figlia del Corsaro Nero) che modificano l’andamento modulare e ripetitivo delle storie, all’interno di un ciclo in cui i protagonisti stessi diventano, a turno, comprimari.

Salgari ambisce a creare un racconto infinito, in cui tutti i suoi personaggi possano vivere la loro avventura, maturando la propria identità, prima di lasciare il posto a quelli che verranno dopo.

Contrariamene ai pirati classici di Stevenson, più aderenti ad una realtà storica precisa, i personaggi di Emilio Salgari sembrano già assomigliare di più a dei moderni gentiluomini di fortuna”, per metà pirati per metà bohemienne, esseri sperduti nella lontananza, apolidi ma cosmopoliti, segnati da un profondo disagio esistenziale, da un profondo senso dell’onore e da una propria morale che si scontra con leggi comuni. Archetipi che non possono non richiamare alla mente, altri  illustri “fratelli della costa” di altrettanta fama, come Corto Maltese di Hugo Pratt, così simile a Yanez, e Capitan Harlock di Leiji Matsumoto, epigono spaziale del Corsaro Nero.

3) L’ambientazione: il sogno della lontananza e il mito dell’Altrove

Il fondamento concettuale dell’Avventura, risiede nella predisposizione del protagonista a cogliere qualunque suggestione agisca da richiamo per andare via, per superare chiusure, per eludere gabbie, per evadere da ogni prigione. Per fare in modo che ciò sia reso possibile, tutti gli eroi, compresi quelli salgariani, sono aperti al prodursi dell’evento non programmato.

Il viaggio dunque, diventa la condizione necessaria e l’autentico viatico dell’ avventura, che non si realizza in luoghi confortevoli e conosciuti ma in luoghi ignoti e lontani, affinché i protagonisti possano sfidare i propri limiti e il narratore sfumarne i contorni, rendendoli universali.

Il potere di attrazione di altri orizzonti è tanto più forte, quanto l’oggetto del desiderio è distante, questo spiega il successo tributato da sempre ai racconti di viaggio, in quanto connessi metaforicamente alla crescita spirituale dell’individuo; non importa che siano di andata o di ritorno, ne che siano essi reali o prodotti di finzione letteraria.

L’importante è che leggendoli si accetti l’invito, inespresso ma continuamente presente, ad allontanarsi dalle proprie abitudini, per confrontarsi con la diversità.

Salgari, in questo senso, dialoga intensamente con i concetti di esotismo e di orientalismo, propri del suo tempo, un’epoca segnata dalle torbide contraddizioni di un imperialismo dilagante e di un colonialismo senza freni, ma differenza di altri scrittori (Kipling, su tutti) non si schiera mai né dalla parte dei vincitori”, né di che ne decanta le gesta. Egli preferisce piuttosto disertare le dittature culturali e concentrarsi dall’altro lato della barricata, quello lasciato in ombra dalla Storia, restituendo ai malesi, agli indiani, agli africani, una propria dignità e la possibilità di un confronto, almeno sulla carta, con i propri oppressori.

E’ vero Salgari, per colpa o per fortuna della sua geografia di qualità fantastica,  esotizza ma esotizza senza giudicare, osserva da lontano l’oggetto della sua narrazione, per restituirlo intatto al suo lettore nella sua complessa diversità, senza corromperlo. Preferisce valorizzare le differenze, che non chiedono di essere semplificate o annullate, bensì di essere problematizzate, lasciando al proprio pubblico la libertà di contestualizzarle.

 

Salgari, a modo suo, similarmente ad altri scrittori d’avventura, come Tolkien e in particolar modo Robert E. Howard, mette in luce un forte passione per unaltrove” sconosciuto, che lascia trasparire la volontà di immaginare luoghi in cui onore, coraggio e idealismo, possano trovare ancora un senso, ed attraverso i temi del lontano” e del diverso” trovino spazio valori che ci parlano di rispetto per l’umanità in tutte le sue forme, forti dell’assenza di razzismo, disprezzo e commiserazione.

Un “Altrove” che, ancora oggi, dovunque si collochi, in un’isola che non c’è , in una terra di mezzo, in una galassia lontana, lontana, per quanto esotico lo si rappresenti, non è mai un alibi per pigri, una pallida scenografia ma un esercizio mentale che impegna severamente una prefigurazione propedeutica nei confronti dell’utopia. Perché “L’Altrove” consente di spostare la propria ottica appesantita ed opacizzata, verso la contemplazione di nuove prospettive, è la coscienza di un’alternativa, il concetto stesso di libertà. È la propensione verso gli orizzonti innumerevoli e comunque aperti dell’avventura.

Conclusioni: l’influenza culturale di Emilio Salgari

Forse è per la forza di questi tre motivi elencati o forse per molti altri, che ancora ci sfuggono, che il nostro tormentato e snobbato forzato della penna”offre ancora oggi spunti innovativi di grandi interesse. Basti pensare alla recente pubblicazione nel 2016 del manoscritto: Alla conquista della Luna, una raccolta di inediti racconti fantascientifici di Salgari, in cui riflette sui vantaggi e sui pericoli delle ambizioni umane nello spazio. Proprio in questi anni in cui abbiamo scoperto l’esistenza di un sistema solare con sette pianeti simili alla Terra.

Oppure l’attenzione sbalorditiva nei suoi confronti, dimostrata all’estero, dopo la sua scomparsa, grazie alle numerose traduzioni delle sue opere (inglese, spagnolo portoghese, francese, russo, tedesco). Attenzioni testimoniate nel 2011 dal pastiche letterario: Ritornano le Tigri della Malesia”, seguito ideale del ciclo dei pirati malesi, scritto da Paco Ignacio Taibo II, il più grande scrittore messicano vivente. Il quale ci rivela che in America Latina, un giovane Ernesto Guevara  leggeva le traduzioni clandestine di Salgari, mentre il nonno anarchico di Sepulveda organizzava in Cile pubbliche letture sovversive della saga di Sandokan.

In un sondaggio, effettuato tra i giovani lettori italiani, poco tempo dopo la sua morte, all’inizio del XX secolo, molti spiegarono perché lo leggessero di nascosto, disobbediendo agli ordini dei genitori e degli insegnanti. La risposta fu unanime: “Scalda la testa, eccita i nervi, accende la fantasia!”. Forse allora è vero, Salgari rimarrà sempre e solo uno scrittore per ragazzi, si. Per eterni, inguaribili e irriducibili ragazzi. E va benissimo  cosi.

 

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