C’è una ragazza al tavolo di un bar. Ha i capelli rossi e un sorriso perfetto. Sogno di conoscerla, stupirla, uscirci, avere una vita con lei. Cerco il coraggio o il momento giusto per darle il mio numero, lo trovo, mi parla, le parlo.
Charlie Kaufman ha una debolezza particolare per la dimensione strettamente astratta della vita umana. È chiaro, lo sappiamo, lo sanno tutti: l’idea stessa di raccontare per immagini quanto di più buio e segreto si celi nella nostra mente è sì una bella sfida di sceneggiatura, ma pure il marchio di fabbrica della sua produzione, l’ambizione cruciale su cui si basa gran parte delle sue pellicole. Synecdoche, New York vi dice niente? Eternal Sunshine of the Spotless Mind? Essere John Malkovich? Dai, quello dove da una porticina dietro una fotocopiatrice al piano sette e mezzo di un palazzo si poteva entrare per quindici minuti nella mente di un’altra persona? Insomma, ci siamo capiti.
Alla luce di tutto questo non desta particolare sorpresa scoprire il timbro del suo nuovo lavoro, da poco disponibile su Netflix: Sto pensando di finirla qui è prima di tutto un romanzo, una sorta di thriller psicologico immerso in qualche metro e mezzo di neve con cui il suo autore, Iain Reid, si è conquistato un bel po’ di fama internazionale; e in secondo luogo un altro modo, forse il più diretto di tutti, con cui Kaufman decide di raccontarci il suo punto di vista sulla vita, sul mondo e sul tempo, sulle dinamiche tra le relazioni umane, le occasioni mancate e le occasioni colte.
Cerco il coraggio o il momento giusto per darle il mio numero, lo trovo, mi parla, le parlo. Ci conosciamo, mi piace, le piaccio, usciamo insieme una volta, due, tre, cinque, andiamo al cinema, al mare, a letto.
Lucy e Jake, qui interpretati in modo incredibile da Jessie Buckley e Jesse Plemons, stanno insieme da poco, saranno sei settimane, forse sette. Si sono conosciuti in un pub e lui ha trovato il coraggio o il momento giusto per darle il suo numero, e da lì è successo tutto. Ora, in macchina nel mezzo di una bufera di neve, si preparano a portare le cose a un livello successivo, a dare al rapporto una nuova maturazione, sigillata da quella che è la Prova Finale delle Relazioni Serie, cioè la cena con i futuri suoceri, quindi lei che conosce i genitori di lui.
Sembra tutto perfetto, certo, fin quando (a dire il vero molto presto) non si insinua nella mente di Louise il seme del dubbio, il cuore del problema, l’incertezza che dà il titolo al racconto: I’m thinking of ending things, sto pensando di finirla qui, di mettere un punto a una relazione che non può avere futuro, per non lasciarci in balia di quella condanna tutta umana di quando è il tempo a decidere per noi.
E dopo un primo atto trascorso in macchina, tra battutine, dialoghi incalzanti, poesie e l’idea di una complicità forse un po’ acerba ma apparentemente solida, è l’arrivo a casa della famiglia di Jake a scombinare le carte in tavola, cambiando definitivamente il ritmo
della narrazione.
Andiamo al cinema, al mare, a letto. Un mese è solo un mese ma ci sembra un anno, due, dieci, decidiamo di avere una storia seria, una relazione tra persone adulte che sanno quello che vogliono, la invito a conoscere i miei, sale in macchina, fuori nevica, partiamo.
È a questo punto che si avverte la dimensione surreale del nuovo lavoro di Kaufman: la visita dai suoceri non è una semplice visita dai suoceri, ma si trasforma rapidamente in un viaggio segreto dentro la mente e le possibilità, diventando quasi un’esperienza sensoriale, un percorso di scoperta e risposte frammentarie, ma soprattutto di domande, ipotesi, dubbi, dove il tempo diventa liquido e si sgretola ogni certezza. Quando siamo entrati qui? E chi sono queste persone? Quand’è che si cena? Di cosa parliamo? Stiamo davvero giocando con un cane già morto? Ancora, come si sono conosciuti Lucia e Jake? Ed è davvero possibile che il quadro di un paesaggio comunichi sensazioni umane, che ci faccia sentire tristi, o felici, o arrabbiati, o delusi?
Nevica, partiamo, arriviamo a casa dei miei. Mamma, papà, questa è Louise, la mia ragazza; Lucy, questi sono i miei genitori, mia madre e mio padre, adesso entriamo che si cena. Fa’ come se fossi a casa tua, anzi, no, adesso questa è casa tua, puoi servirla tu la cena, mia madre non si può più muovere bene come la prima volta che sei stata qui, devi scusarla, e a proposito, mamma, ti ho mai raccontato di quando io e Lucia ci siamo conosciuti? Me lo ricordo, aspetta, mi sembra quasi di essere di nuovo lì, c’è una ragazza al tavolo di un bar.
Sto pensando di finirla qui è un racconto sui dubbi e le incertezze della vita umana, che fin dal titolo e in tantissimi modi diversi ci mette in testa una sola cosa, l’unica domanda a cui valga la pena dare una risposta.
Ma né Reid e né Kaufman sembrano avere intenzione di svelarcela, ed è chiaro da subito che saremo noi, da questo lato dello schermo, a doverla scoprire per noi stessi, in un percorso condiviso ma dall’esito imprevedibile.
Jake e Lucy sono una coppia come tante altre, e la loro storia è la storia di milioni di persone, dei loro sogni, decisioni, attese e debolezze. Chiudi gli occhi per un secondo e sono già passati vent’anni, il futuro è diventato presente e poi, senza neanche darti il tempo di rendertene conto, subito passato, per centinaia di migliaia di volte, senza che nessuno abbia potuto farci niente. È semplicemente così che funziona la vita.
E tu allo specchio ti riconosci? Hai fatto scelte di cui sei fiero? Hai dato il tuo numero alle persone giuste? L’hai finita qui quando era il momento di finirla? Sei riuscito a sfuggire alla condanna? E sei davvero chi da bambino avresti voluto diventare? O almeno, nella migliore delle ipotesi, ci somigli anche solo un po’?
C’è una ragazza al tavolo di un bar. Ha i capelli rossi e un sorriso perfetto. Sogno di conoscerla, stupirla, uscire con lei, avere una vita con lei. Cerco il coraggio o il momento giusto per darle il mio numero, non lo trovo.