Site icon N3rdcore

Perché Ruspadana non è satira ma Call of Salveenee sì?

Infuria la polemica intorno a “Ruspadana”, gioco per mobile comparso ieri su Apple Store. Controlla una ruspa in pixel art e investi quanti più immigrati possibile nel giro di un minuto. O nelle parole degli autori: “difendi la tua patria [...] ripulisci le strade [...] goditi le Alpi”.

Ad aprire la diga è un twitter di Frankie Hi-Nrg, che riecheggia per la rete e si moltiplica, fino a trasformarsi in una pioggia di segnalazioni indignate ad Apple. Nel giro di un giorno l’App scompare dallo store, l’account Twitter del gioco anche. Gli autori fanno in tempo a lasciare un commento: “è satira”.

Sulla questione ci sarebbe molto da dire (a partire dalla caccia all’uomo lanciata con dubbio gusto ed eccessiva fretta da Paolo Attivissimo). Ma diamo per buone le intenzioni degli autori (che in un momento successivo le riconfermano a Repubblica) e andiamo a guardare il gioco. In effetti non c’è granché: pixel-art a scorrimento, un timer e un punteggio. Tanti uomini neri da abbattere. Non sarà razzismo (lo salva da questa etichetta l’intento, dandolo per buono) ma qualcosa non funziona e avvertiamo a pelle che di satira non si possa parlare.

Ma in effetti, perché? Un ipotetico avvocato del diavolo potrebbe invitarci a spostare lo sguardo verso Call of Salveeenee - Alla ricerca dei Marò. Sviluppato da Marco Guzzo su Unreal Engine 4, il gioco vede protagonista Salvini e altri personaggi della scena politica italiana. L’obiettivo? Salvare i Marò dalla propria prigionia. Gli ostacoli? Gli immigrati. Da sconfiggere come? Ma lanciando ruspe, si capisce. Da un punto di vista meramente descrittivo, il gioco potrebbe essere riassunto in maniera simile a Ruspadana: usa una ruspa per abbattere gli immigrati e vinci il gioco. Tuttavia, a differenza di Ruspadana, il suo valore satirico è stato riconosciuto fin da subito (Zanzare e militari presumibilmente confusi a parte).

C’è un punto che accomuna entrambi gli esempi, e in generale ogni altro prodotto satirico (vero o presunto): il giudizio arriva dalla pancia. Quando si parla di comicità (satira compresa), sappiamo cosa funziona e cosa non funziona - e lo sappiamo a pelle, senza bisogno di analisi critiche. A dirla tutta, se dovessimo spiegare analiticamente perché qualcosa funziona, saremmo un po’ in difficoltà. Il che però non significa che le nostre reazioni calino per volontà divina dall’Iperuranio: esiste un insieme di regole della comicità che intuiamo senza necessariamente capirle, difficili da decodificare ma comunque esistenti.

Regole di cui nemmeno gli autori talvolta sono consapevoli, come dimostra chiaramente Ruspadana. Per la satira la questione è forse ancora più complessa: se il funzionamento della comicità non satirica dipende in una certa misura dal gusto personale, la satira non solo può essere ricevuta con maggiore o minore apprezzamento ma necessita di alcuni elementi minimi per poter essere qualificata come tale. Per questo confrontare Ruspadana con il suo miglior “fratello maggiore” può essere utile per individuare qualcuno di questi elementi (e così evitare scivoloni futuri).

In effetti, al di là della sinossi del nostro ipotetico avvocato del diavolo, Call of Salveenee è un gioco molto diverso e si caratterizza per la maggiore ampiezza dei contenuti. Ma soprattutto, e qui sta la differenza fondamentale con Ruspadana, ha un bersaglio. Salvini innanzitutto, ma non solo: negli ultimi aggiornamenti i personaggi giocanti sono diversi e ciascuno combatte attraverso le proprie personali demagogie, dalla ruspa di Salvini agli 80 euro di Renzi. Dal power-up attraverso i post su Facebook ai punti-vittoria quantificabili in “like”, l’ampiezza dei contenuti di Call of Salveenee diventa veicolo di satira in quanto punta a ridicolizzare un certo tipo di populismo. E fa del gioco una satira riuscita. Si potrebbe fare un discorso identico per Marò Slug, che dileggia la retorica sull’eroismo dei Marò e li trasforma nei protagonisti di Metal Slug.

È proprio l’esistenza di un bersaglio meritevole di sberleffo, non solo dichiarato ma individuabile attraverso i contenuti del prodotto satirico, a distinguere la satira dal pessimo gusto. È una delle tante lezioni tratte da Mentana a Elm Street, magistrale decodifica scritta da Daniele Luttazzi di quel inespresso “codice satirico” di cui si è già detto. Si spiega così non solo perché alcune vignette di Charlie Hebdo suscitano più sdegno che apprezzamento (oscillando tra l’esplicita derisione della vittima e il cinismo non satirico) ma anche perché Ruspadana non funziona.

La pochezza dei contenuti del gioco rende impossibile trovarci quella satira dichiarata; come la vignetta di Charlie Hebdo di cui sopra, oscilla fra la derisione delle vittime e il cinismo senza bersaglio, a favore della semplice ripresa (decontestualizzata) di un topos fin troppo noto, la ruspa che uccide l’immigrato (un po’ come se al posto di Marò Slug avessimo avuto un gioco a scorrimento dove anonimi membri della marina militare fanno esplodere pescherecci). Sbattuta su una schermata a scorrimento, questa immagine diventa normalizzazione di una violenza che potrebbe non disturbare solo se totalmente assurda (come ad esempio quella di Super Botte e Bamba Turbo II).

Purtroppo la violenza di Ruspadana è tutt’altro che assurda ma fa parte di una retorica (politica prima e popolare poi) troppo vicina alla realtà da poter essere liquidata con un sorriso. A dirla tutta qualcuno che difende la tesi satirica c’è, ma - guarda caso - lo si trova fra i sostenitori dichiarati di quel “bersaglio mancato” che il gioco non riesce a deridere come vorrebbe. A conferma del fatto che “satira”, per chi è in malafede, diventa una scusa. Il paravento dietro cui celare un obiettivo ben diverso - non una critica della violenza, ma il tentativo di legittimarla. D’altronde il detto ce lo ricorda: scherzando si può dire tutto. Anche la verità.

 

Exit mobile version