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One Punch Man 2: meno azione e più riflessione

One Punch Man 2 si è finalmente “concluso”, per quanto la sua fine sia stata decisamente più che amara. Dire che sia finito sul più bello è un eufemismo e l’incompiutezza della trama, che di fatto non ha avuto niente da dire dal lato più shonen, è stata fonte di molto malcontento tra gli appassionati.

Le aspettative sul ritorno di One Punch Man erano estremamente alte dopo una prima stagione di una qualità indiscussa, ricca di momenti da pelle d’oca e di animazioni tanto dinamiche quanto dettagliate e ispirate. Yusuke Murata e One del resto hanno una chimica straordinaria e il duo funziona proprio perché sembrano spesso essere agli antipodi a livello stilistico e filosofico. Il loro marchio vive di contraddizioni ed esagerazione, a prescindere da quale stagione o arco narrativo si decida di prendere in esame.

Eppure la seconda venuta di Saitama sui nostri schermi ha nettamente smorzato il tono e il prestigio con cui gli appassionati guardavano la produzione TV, a partire da quando fu annunciato il cambio di studio d’animazione. E alla fine i timori erano fondati, considerando che i momenti visivamente memorabili si contano sulle dita di una singola mano, mentre in precedenza ogni episodio della prima serie si presentava come uno spettacolo per gli occhi.

Oltre alle diverse ed estranee mani sulla lavorazione tecnica, il diverso ritmo di One Punch Man 2 non è solamente dovuto alla sostituzione dei precedenti animatori, ma anche a uno strettissimo cambio di tono che rende la seconda stagione quasi più ponderata che combattiva. Nelle prime avventure di Saitama, lo scopo dello show era quello di farci comprendere più o meno il mondo degli eroi e darci un’idea ben precisa di quanto forte fosse veramente il nostro pelatone, ponendolo in situazioni drammatiche tipiche degli eroi giapponesi e degli stereotipi del genere. Abbiamo anche conosciuto Genos, il cammino del protagonist, alcuni importanti comprimari e il sentimento generale dei cattivi del mondo, oltre a capire i ranghi dei supereroi e le dinamiche della società che li governa.

Un quadro che a primo impatto può apparirci come semplice sfondo della storia di un tizio che uccide tutto con un pugno solo, ma che più avanti cambia più volte prospettiva e ci parla di un altro simbolo attribuibile a Saitama, ovvero quello di essere l’emblema del cambiamento sociale per quanto riguarda la vita dei giustizieri e dei mostri. Per fare questo però, bisognava per forza accostare un elemento profondo all’estrema semplicità di ragionamento di Saitama, il quale fa l’eroe per hobby e difficilmente si cura delle minacce in maniera seria o autorevole, né ci ha mai riflettuto fino a quando non c’è stato un dialogo specifico con King.

E quindi il nostro eroe dalla tutina gialla viene scalzato via dal minutaggio della serie per farlo apparire in brevissime apparizioni. Le puntate con Saitama vertono unicamente su di lui che gioca ai videogame o va a bighellonare a un inutile torneo di arti marziali che vede il suo clou con l’invasione dei mostri. In quest’ultima istanza, per esempio, il grosso della narrazione è affidato a un nuovo personaggio che si bulla della sua forza e abilità fino a quando non viene disintegrato da uno dei tenenti della Società dei Mostri e inizia a gridare aiuto come un bambino davanti all’uomo nero. Viene aiutato dagli unici due eroi presenti al momento dell’attacco nonostante nessuno dei due abbia chance di vincere, ma è proprio questo spirito di sacrificio e altruismo a sottolineare a noi spettatori cosa dovrebbe essere un eroe, a prescindere dal rango che possiede.

Nello scontro, infatti, i due eroi vengono trattati come non all’altezza della minaccia presente, deridendoli sia in quel drammatico frangente che durante il torneo stesso. Nessuno dei due è un Classe S e, come tutti sanno, se sei al di sotto di tale nomina è come se in realtà neanche esistessi o fossi buono solamente a raccogliere i gattini sugli alberi. Un concetto che vediamo portato avanti fino allo stremo, con Saitama che ha il compito narrativo di dimostrare che in realtà è una classificazione futile e cieca nei confronti dei veri valori che un eroe dovrebbe rappresentare. Lo stesso effetto di rottura ce l’hanno i due eroi improvvisati del torneo, i quali se ne infischiano altamente e sacrificano la propria incolumità anche solo per tentare di far scappare il tizio che li ha battuti e derisi.

Naturalmente vengono spazzati via in un secondo e il nostro amico, spaventato, comprende che l’unico modo per salvare la propria pelle – scappando - è quello di affidarsi agli eroi che potesse sentire le sue grida di disperazione, gli stessi che trovava sciocchi e devoti a una causa futile quanto l’altruismo. In una scena con un monologo quasi all’opposto di quello di Spatent Rider contro il Re dei Mari, arriva Saitama e salva la situazione senza troppi problemi. E qui la potenza, alla fine, non risiede in quello che dice o fa l’eroe, bensì nel lungo pensiero interiore del lottatore di arti marziali nei suoi presunti ultimi istanti di vita. Ed è così che va nella seconda stagione: gli altri riflettono e Saitama mette il punto con un cazzotto, come succede quando King riflette sulle sue menzogne o quando Genos cerca di capire quale strada intraprendere come eroe di Classe S. Non che il pattern della prima serie fosse differente, ma nei nuovi episodi questo è ancora più marcato per via dell’assenza di Saitama dal ruolo di “protagonista” delle puntate, mentre in precedenza era sempre il fulcro della trama e delle vicissitudini (perfino negli episodi dove il Re dei Mari distruggeva la città).

Ma se è pur vero che il nostro eroe pelato capitalizza solamente alcuni ragionamenti, il vero protagonista della seconda stagione è Garou: l’uomo che ha voluto passare dalla parte dei mostri. Lui è senza ombra di dubbio uno dei personaggi migliori di One Punch Man, e lo è principalmente perché è l’elemento che fa mettere in discussione a noi spettatori le stesse dialettiche e ideologie dello show. Quando vediamo i mostri pensiamo subito a ucciderli, è una prassi logica che ormai siamo abituati a fare e che negli anni è stata già sfruttata in opere come Undertale o La Mia Vita da Slime. In quella di One i mostri appaiono spesso ferali e privi di buone intenzioni, eppure se vi fermate un attimo a ragionare noterete che effettivamente la maggior parte di essi non è mossa da pura malvagità, o comunque non nasce come tale.

Vi ricordate il primissimo mostro che abbiamo visto nell’anime (o nel manga)? Quello violaceo a forma di namecciano? Ecco, quello lì non stava distruggendo la città perché godeva nel vedere le persone morire sotto le macerie, bensì lo faceva perché era un emissario della Natura e si era anche stufato di vedere cumuli di rifiuti e inquinamento sul nostro verde pianeta. È come se Greta Thunberg prendesse degli steroidi e iniziasse ad attaccare chi danneggia palesemente il pianeta. Potremmo darle torto? Stiamo andando verso l’estinzione e quello che facciamo, di tutta risposta, è abbattere il guardiano della natura che è venuto a darci una lezione. Eppure questo succede perché nel mondo di OPM un mostro va subito ucciso e non si può fermarsi ad ascoltato.

Da questa dinamica cieca nasce Garou, l’unico che fin da piccolo ha colto l’estrema ingiustizia della giustizia degli eroi. Eppure, siccome è così che va il mondo, è stato soppresso da chiunque non la pensasse come lui, emarginandolo e punendolo ogni volta che provava a dire “e se gli eroi non avessero sempre e comunque ragione?”. Bullismo, mortificazione sociale, abbandono, una vita distrutta solo perché qualcuno la pensava diversamente e perciò bisognava emarginarlo. Per loro era un mostro, per quelli come lui vige la regola che se ti piacciono i mostri allora puoi anche rimanerci per tutta la vita, un po’ come quando si cerca di combattere il razzismo e ci viene risposto “ospitali a casa tua se ti piacciono tanto” e altre bestialità indicibili. Uno schifo che nasce proprio dalla società eroico-centrica di One Punch Man e che nel tentativo di debellare i mostri non fa altro che aumentare le diseguaglianze sociali tra le due fazioni e sedimentare la cattiveria di queste creature costantemente cacciate.

E come potersi liberare di questa piaga col mantello? Eradicando ogni singolo eroe tra i più forti esistenti. Questo perché, come sottolineato prima, il classismo del mondo supereroistico ha fatto sì che il convergere elitario dell’associazione abbia abbassato i controlli sulle classi più basse, centrando tutta la gerarchia su pochi individui che si occupano di gestire le minacce più grosse. Senza di loro, il resto degli eroi –essendo ignorati per tutto il tempo senza un vero e proprio programma di crescita- si ritroverebbero allo sbaraglio senza uno scopo, incapaci di gestire i pericoli che la continua lotta di forza ha esponenzialmente ingigantito negli anni. Lo stesso obiettivo ce l’ha anche la Società dei Mostri: un inedito movimento di ribellione organizzata contro gli eroi o chiunque non scelga di diventare un mostro.

Essendo “cattivi” era un po’ scontato che prendessero la direzione “o noi o contro di noi”, tuttavia non possiamo ignorare il fatto che evidentemente non deve essere proprio piacevole sapere che un appartenente della nostra razza muoia ogni giorno anche solo per apparire in pubblico. Soprattutto quando si è convinti che il proprio organismo sia quello che merita di essere dominante, pensiero comunque comune a entrambe le parti. Garou però, per quanto sia nominato come cacciatore di eroi, è invece più moderato.

A lui non interessa uccidere chiunque gli capiti a tiro e non vuole combattere gli eroi in senso stretto, vuole solo dimostrare che il sistema non funziona e per farlo bisognare tagliare la testa che comanda. Fisiologico, necessario, eppure ingiusto e ci pensate bene. Conoscendo la sua storia è impossibile non sentirsi quasi in pena, nonostante ci siano ottimi comprimari ad andargli contro di volta in volta. È perfino buono con i bambini e il suo lato più umano è quasi sempre sotto i riflettori, che volete di più?

E infatti, per ora, con Saitama sembra esserci un rapporto perfettamente neutrale. Ognuno di loro continua a fare quello che vuole e non c’è mai uno scontro aperto, semmai ci sono situazioni ridicole in cui si inciampano a vicenda. E anche questo è un simbolo di come ci sia bisogno di far maturare la visione di Garou in parallelo a quella della Società dei Mostri, regalandoci i migliori momenti della crisi dell’associazione degli eroi.

One Punch Man 2 è quindi lontano perfino dall’ombra della prima serie, nei ritmi e nella caratterizzazione del suo cast. Ma, se proprio vogliamo discernere le qualità positive, possiamo sicuramente affermare che c’è stato qualcosa che ci hanno voluto raccontare, un qualcosa che ci allontana dai combattimenti – e infatti ce ne sono non pochi in attesa della seconda parte – per spiegarci quali cambiamenti sociali sta per vivere il mondo di OPM. Saitama è solo uno dei tanti protagonisti di questa serie, lasciando che il suo potere sia la scintilla per la fiamma del cambiamento che arde in altri cuori oltre il suo. Il risultato è quindi controverso, dall’impatto innegabile e dalle conseguenze che chi legge il manga può spoilerarci in qualsiasi momento. Una cosa è sicura però: ci vorrà ben più di un pugno per risolvere la guerra con la società dei mostri e per abbattere il sistema obsoleto della gerarchia degli eroi.

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