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N3rdcore Selection - Aprile 2020

Uno spiraglio di luce su questa quarantena si sta dimostrando una buona occasione per mettere i piedi fuori di casa, ma certo è che non ci siamo affatto fermati nelle nostre passioni e quindi torniamo con la N3rdcore Selection. Vi abbiamo fatto attendere, ma non potevamo davvero rinunciare a raccontarvi alcune delle opere che ci hanno colpito di più nel mese scorso, al netto di tante uscite di grande calibro. Vediamo infatti comparire produzioni Netflix, vecchi marchi del passato che ritornano alla vita e serie apprezzate che continuano il loro corso senza sosta. Dai libri, ai film, ai videogiochi, siamo sicuri che tra le righe che seguiranno riuscirete a innamorarvi di qualcosa d'inaspettato.

Unorthodox - Felice Garofalo

Le piattaforme di streaming sono piene di serie e documentari che raccontano quanto sia difficile emanciparsi da una comunità religiosa soffocante: sia essa Scientology, la chiesa dei seguaci di Osho o i Testimoni di Geova, poco importa. L’assunto di partenza è sempre lo stesso, ossia la storia di una persona oppressa che, per un motivo qualsiasi, decide di allontanarsi dalla comunità in cui ha vissuto tutta la sua esistenza.

Segue il solito calvario fatto di abusi, inseguimenti, minacce, violenza psicologica e ricatti che prelude nel migliore dei casi a una tormentata e costante ricerca di normalità. Tutto questo accade anche in Unorthodox, miniserie in quattro episodi approdata su Netflix nel mese di marzo. In cosa differisce questa serie da tutte le altre che hanno un soggetto simile? Nell’incalzante ritmo che la anima, degno a tratti di un buon film d’azione, e nel claustrofobico senso di oppressione che lo spettatore subisce, quasi al pari di un horror di discreta fattura.

La regista, Maria Schrader, ha basato la mini serie sul libro di Deborah Feldman Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche, trasformando le puntate in un continuo andirivieni tra passato e presente, scavando nell’immobilismo della comunità ultra ortodossa chassidica di Brooklyn e alternandolo a inseguimenti e appostamenti al limite dell’ansiogeno. Le scene della comunità in questione sono quasi sempre girate in interni - molto affollati -, proprio per dare l’idea del controllo costante nascosto sotto l’apparente cura degli affiliati. I momenti in cui la protagonista, Esther "Esty" Shapiro, compie il suo doloroso percorso di emancipazione, al contrario, sono quasi sempre esterne: un espediente narrativo semplice ma efficace.

Una mini serie da guardare tutta d’un fiato, per poi lanciarsi nel making of (anche questo su Netflix) che in poco più di venti minuti riesce a dare un interessante punto vista dietro le quinte di una serie così d’impatto.

Star Wars: The Clone Wars - Lorenzo Fantoni

Ho sempre visto Clone Wars più per osmosi che fruendone direttamente, non avendo tempo né modo di recuperarla con calma rimanevo informato sui racconti di Anakin, Ahsoka Tano, Obi Wan e, sopresa, Darth Maul più per questione di lore che per vero interesse. In parte è colpa del fatto che l’arco narrativo della Guerra dei Cloni tutto sommato mi ha sempre attratto poco e si portava sul gobbo lo stigma della seconda trilogia che volevo tenere lontano, poi c’era lo stile grafico che non mi piaceva troppo e l’idea che tutto sommato fosse una roba per bambini (invece si sa che Star Wars è un prodotto per adulti no? No?).

Invecchiando si impara e col tempo mi sono rimesso lentamente in pari, evitando di ripetere lo stesso errore con Rebels (mi resta comunque difficile vedere una serie animata con questo stile, ma sopporto) e l’arrivo dell’ultima stagione di Clone Wars su Disney+ aveva decisamente il sapore della seconda occasione. Ecco perché in queste settimane ho fatto un po’ come si faceva da piccoli: sveglia, colazione e cartoni. Una sola puntata, senza esagerare, per iniziare la giornata senza le notifiche social come prima interazione col mondo.

L’ultima stagione di Clone Wars, che, ricordiamolo, è anche l’ultimo prodotto nato dalla mente di Lucas prima della vendita alla Disney, è solo l’ennesima passerella per le capacità narrative di Filoni che qua si trova perfettamente suo agio e ci ricorda come mai è l’uomo giusto per The Mandalorian. Alcuni episodi sembrano (e in parte sono) totalmente per i fatti loro, soprattutto quando si parla di Ashoka, ma tutto serve per condurti a un finale che si interseca in maniera perfetta con Episodio 3 e l’Ordine 66. E nonostante ormai sia tutto chiaro, nonostante il colpo di scena sia noto non perde un grammo della sua carica drammatica, spiegandoci i motivi della cieca obbedienza dei cloni, stuzzicandoci col progressivo mutamento di Anakin e offrendoci nel frattempo combattimenti spettacolari, un Maul in splendida forma e una chiusura tetra e drammatica, alla faccia del prodotto per bambini.

Se amate Star Wars già sapete che dovete recuperarla il prima possibile, ma ricordarlo non fa mai male, perché qua c’è probabilmente tutto ciò che vorreste da un film della saga, c’è passione, rispetto e capacità anche di prendersi qualche libertà, con un umorismo tenuto a bada con sapienza, nonostante il prodotto si presti molto più dei film. Ci sono anche i difetti gli stessi difetti, ma sono ampiamente controbilanciati da momenti epici ed emozionanti. Adesso però dateci una Ashoka all’altezza in The Mandalorian e nessuno si farà male.

Better Call Saul 5 - Francesco Tanzillo

Non sono mai stato un grande fan di Breaking Bad. Ci arrivai tardi, lo vidi discontinuamente in streaming, quando lo streaming ancora non mi piaceva, ai tempi di Megavideo. Una serie di circostanze me lo fecero trovare indigesto, sopravvalutato anche per le prime stagioni. A riparlare di quei tempi lontani, sembra di riferirsi anche ad un’altra persona. Fatto sta che alla fine qualcosa di buono ce lo trovai, nella costruzione dei personaggi, negli intrecci delle trame, in quel crescendo inevitabile che inizia quando tutti i nodi della trama vengono al pettine.

Ci trovai abbastanza di buono da interessarmi immediatamente alla serie spin-off su Saul Goodman, Better call Saul, dallo slogan che ha reso iconico il personaggio interpretato da un istrionico Bob Odenkirk. Una cosa è certa, Better Call Saul mi ha conquistato subito. La parabola discendente (o ascendente, dipende dai punti di vista) che ha portato Jimmy McGill a diventare Saul Goodman prende tutti i punti forti di Breaking Bad e li apparecchia con maggiore consapevolezza per risultare anche ad un primo sguardo, una serie più omogenea dal punto di vista della qualità media degli episodi. Arrivati alla quinta di sei stagioni ecco di nuovo rifare capolino il crescendo che mi ha reso attraente la serie a marchio Vince Gilligan.

I nodi che vengono al pettine: tutte le trame che partono lontanissime che iniziano a convergere in un unico punto, molto probabilmente con esiti drammatici. Vince Gillian prende gli elementi del legal drama e ci fa un po’ quel che vuole per portarci nuovamente nel New Mexico così caldo e soleggiato eppure così nero. Ad impreziosire questa penultima stagione, un terzetto di episodi conclusivo semplicemente memorabile.

Avrai i miei occhi - Cristiano Saccoccia

Avrai i miei occhi è il nuovo romanzo della professoressa Nicoletta Vallorani, veterana della fantascienza “difficile”, ardua da incasellare nelle etichette editoriali e commerciali. Viene stampato da Zona42, coraggiosa casa editrice specializzata in fantascienza e che ama le sfide.Un velo di cadaveri drappeggia le periferie di una Milano fantascientifica, traslata in un futuro non troppo lontano. Cadaveri di donne, cavie, cloni o chissà cos'altro?

Un'epopea moderna e distopica, un matrimonio (in)felice tra noir e fantascienza per dipingere con le pennellate della critica sociale la nostra comunità. Un racconto che educa e scuote il lettore, che lo proietta dentro il femminismo moderno attanagliato dai femminicidi e dalla devastazione della coscienza.

Sakura Wars - Alessandro Palladino

Il ritorno di Sakura Wars è stato preso con un misto di emozioni dalla comunità giocante, ma dal canto mio non posso dire di non essermene innamorato. Rivedere il nome forgiato da Red Entertainment riprodotto con questa qualità, coinvolgendo un numero di famosissimi artisti enorme, non può che farmi contento quasi quanto lo fanno le note delle stesse canzoni di un tempo. Sono troppo giovane per aver potuto godere del debutto della serie (che qui in occidente non è quasi mai arrivata), ma la produzione animata è riuscita quantomeno a incantarmi con il suo fascino vecchia scuola, fondendo l'epoca Taisho con lo steampunk e le comedy romance. Non è sbagliato dire che Sakura Wars è stato il precursore di tanti JRPG con componenti sociali, come Persona.

Purtroppo però il gioco perde l'animo strategico, si focalizza su un'azione dove le orde la fanno da padrone e tutto sommato punta tutto al pubblico a cui piace il fattore anime, condito dalla scelta della propria waifu preferita tra le 5 eroine del gioco. Eppure, tra i molti difetti osservabili, Sakura Wars stupisce per la sua esecuzione amorevole, osservando estrema cura nel rispettare la tradizione senza rinunciare alla modernità dei giorni nostri. Il che, a mio giudizio, è davvero la migliore opzione che si potesse pensare per il marchio.

Daymare: 1998 - Stefano Cappuccelli

Figlio acquisito della buona tradizione survival horror Made in Japan, Daymare 1998 dei nostrani Invader Studios è un diamante grezzo di cui andare assolutamente fieri. Nato nella provincia romana, Daymare 1998 è il risultato della passione di un gruppo di ragazzi cresciuti a pane e Shinji Mikami; non a caso il progetto nacque dalla tesorizzazione che il team acquisì dallo sviluppo in 3D della demo in Unreal Engine 4 di Resident Evil 2. Dopo un viaggio (quasi spirituale) a Osaka negli studi di Capcom, Invader Studios si concretizzò fino alle fattezze qualitative oggi osservabili.

Un survival horror dall’anima quasi old school, arricchito da notevoli features e da una meravigliosa gestione dei tempi di azione e suspence. L’ascendente genetico con lo storico franchise di Capcom è tangibile, tuttavia Daymare 1998 ci tiene a evidenziare un’estetica e una sostanza propria, riuscendo in pieno a immergere il giocatore in un’esperienza horror originale. Una piaga virale comincia inesorabilmente a consumare la ridente cittadina di Keen Sight, che ci ritroveremo a percorrere con diversi protagonisti volutamente diversi fra loro. Questo influirà sul nostro approccio dinamico, costringendoci a ponderare al meglio la nostra strategia di gioco.

Daymare 1998 non è esente da difetti, ciononostante, forse colto da una vena di romanticismo campanilista, non posso non considerare la fattura e l’estro di un team che ci ricorda che siamo tutt’altro che pizza e mandolino.

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