Brian Azzarello ed Eduardo Risso tornano a lavorare insieme e ci portano sui Monti Appalachi in compagnia di Joe il Bello, uomo di fiducia del boss Joe Masseria di New York, per siglare un accordo con alcuni distillatori abusivi di whisky. Purtroppo per lui, Joe non se la dovrà vedere solo con i montanari che mal vedono un damerino di città, ma pure con un licantropo che si aggira per il paesino di Spine Bridge.
Azzarello sceglie gli anni '20 per approfondire un lato meno battuto del noir, quello delle zone rurali impoverite degli USA che videro un sacco di vita malavitosa darsi parecchio da fare durante il proibizionismo. Le collaborazioni tra gangster di città e famiglie criminali di campagna furono all'ordine del giorno, e per Azzarello si tratta di una buona occasione per mettere in scena le differenze nei modi di vivere e di intendere il crimine tra la grandeur della metropoli e il piccolo mondo della campagna. Differenze che, dato il genere narrativo scelto e l'autore che tira i fili della vicenda, non possono che venire appianate con robuste dosi di violenza. Grazie però al lavoro ricamato con attenzione sui personaggi e le loro caratterizzazioni, Azzarello riesce a dare una logica alle scelte violente che ci vengono mostrate, motivazioni che sono sì quasi sempre criminali ma comunque spinte da desideri coerenti con il carattere di chi le mette in atto. Anche quando si tratta di decisioni avventate o offuscate dall'alcol e dai numerosi colpi ricevuti alla testa, come nel caso del protagonista Joe il Bello: è lui a fare da punto di vista per calare il lettore nella storia mostrando sia i difficili rapporti con i suoi soci di NewYork, sia la perpetua stranezza e arretratezza degli Appalachi rurali, tra bianchi molto poveri e neri segregati.
La scarsa lucidità di Joe, il cui vizio dell'alcol viene sottolineato più volte, funziona anche per introdurre le atmosfere horrorifiche e la presenza del licantropo: una presenza che potrebbe essere solo una suggestione, aiutata dal non capire appieno le strane abitudini dei campagoli, ma che si palesa in maniera incontrovertibile col procedere della storia. Se la trama, complessa e ambigua quanto deve essere una vicenda dove tutti i personaggi sono criminali che pensano solo al proprio tornaconto personale, funziona bene nel miscelare elementi noir a quelli horror grazie a quanto Azzarello sceglie di raccontare di volta in volta, a rendere la serie un successo in questo mix di generi sono i disegni e i colori di Eduardo Risso.
Le capacità di Risso come disegnatore e come "compositore" di vignette e tavole non sono di certo una novità. Le pagine alternano gabbie rigide e cadenzate (ma mai noiose o dal ritmo sbagliato) ad altre in cui tutto esplode per dare modo alle scene di azione di essere dinamiche, concitate e complesse senza scadere nella confusione. Una menzione speciale però meritano i colori. Risso ha deciso di cimentarsi per la prima volta con la colorazione e direi che si tratta di una scelta felice dai risultati ancora più felici. In larga parte utilizza campiture di pochi colori per settare l'atmosfera delle scene e le emozioni provate dai personaggi: notti che possono essere blue spettrali o rosso sangue a seconda del tipo di minaccia, conversazioni dove il giallo degli Appalachi (che torna spesso, forse anche per sottolineare la presenza del whisky nella vicenda ma anche nel sangue e cervello di Joe) si mischia al blue tenue dei gangster di New York, oppure i verdi calmi delle foreste che spesso contrastano con il gore e la violenza che avviene in mezzo a loro. Colori netti come i neri delle chine che riescono a definire molto bene i cambi di scena e mood, ma senza risultare mai eccessivamente urlati o sparati in faccia.
Come sostenuto da Azzarello durante una masterclass tenutasi a Lucca Comics di cui vi abbiamo parlato qua, le sue sceneggiature tendono a essere molto essenziali nelle indicazioni, perché si fida delle capacità degli artisti con cui collabora. Leggendo Moonshine pare evidente che i due si intendano alla grande sin dai tempi di 100 Bullets, e che la somma delle parti sia maggiore dei singoli elementi. Un altro esempio di questo lo si può vedere nel modo in cui i due riescono a far uscire le emozioni e i caratteri dei personaggi. I dialoghi di Azzarello godono di un ritmo sempre al servizio della storia e della singola scena, hanno il giusto registro (ironico o drammatico) a seconda del singolo momento ma lavorano anche in maniera più sottile: utilizzando regitri lessicali e modi di parlare diversi riesce a definire il singolo personaggio e sottolinearne le differenze e i rapporti con gli altri. Da canto suo Risso è in grado di donare carattere e personalità ai singoli personaggi grazie alla recitazione dei corpi: posture e movenze sottolineano gli stati d'animo, anche nei momenti meno concitati (guardate Fat Tony che fa le valigie perché vorrebbe scappare, è un uomo che ha perso la sicurezza in sé) e di passaggio. Inoltre i volti di Risso, spesso sensuali e affascinanti, riescono a trasmettere paura, curiosità o sconfitta grazie a pochi tratti su occhi e bocca. La combinazione tra le capacità dei due autori rende quindi le scene di dialogo qualcosa di così efficace da renderle forse il vero fiore all'occhiello di questo team di artisti, a volte forse offuscato dalle scene di azione e di violenza con cui sembrano ormai associati.
Il primo volume mette parecchia carne al fuoco, parecchia carne la fa finire straziata male tra zanne e pallottole ma desta pure parecchia curiosità e voglia di vedere come procedere la vicenda, chiudendosi su di un punto di svolta parecchio critico per tutti i personaggi.
Edito negli USA da Image, qua da noi lo trovate per i tipi di Mondadori, nella collana Oscar INK.