“Il futuro in bilico” è un saggio molto interessante, edito dalla Meltemi e scritto da una giovane e brillante ricercatrice in Storia Contemporanea, Elisabetta Di Minico, che opera nel gruppo di ricerca HISTOPIA coordinato dall'Università Autonoma di Madrid, dove lavora prevalentemente sui temi della distopia, del controllo e della violenza. Il saggio in questione quindi è una sintesi della sua tesi di dottorato, che l’autrice ha anche presentato in università prestigiose come Harvard University, University of Cambridge, University College Cork e così via.
Si tratta di una riflessione sui concetti di utopia e, soprattutto, distopia: due macro-temi che, come evidente, abbracciano l’intero genere fantascientifico (e le sue radici nel pensiero antico e rinascimentale, chiaramente, specie per quanto concerne l’utopia). La prospettiva è condotta dalla Di Minici con uno sguardo ad ampio raggio, abbraccando la storia, la letteratura, la filosofia, la sociologia e la psicologia.
Parliamo di temi che sono stati spesso affrontati, ma ciò che rende molto interessante il volume è l’approccio dell’autrice, a un tempo stesso rigoroso e accessibile, adatto anche dal lettore mediamente colto che voglia approfondire tali tematiche, o per avvicinarsi al genere o, più probabilmente, per sistematizzare la sua visione delle cose.
Del resto è interessante che l’accademia, per tramite di nuovi studiosi come la Di Minici, vada sempre più considerando degni di interesse e approfondimento storico sia media solitamente meno considerati (l’autrice inserisce nel suo lavoro anche un significativo capitolo dedicato ai più celebri fumetti distopici) sia a un genere, quello fantascientifico, molto meno riconosciuto di quanto meriterebbe. Certo, l’avvio di questo sdoganamento è remoto, a partire probabilmente da “Apocalittici e integrati” (1964) di Umberto Eco che – non solo a livello italiano – rese degna d’indagine la cultura popolare. Però le conseguenze di quegli studi molto citati sono state, forse, meno pervasive di quanto avrebbero meritato: questo (al di là dei diversi metodi d’approccio rispetto a quelli poi adottati da Eco, di tipo semiotico) invece è un ottimo esempio al proposito.
A impreziosire il saggio vi sono anche le illustrazioni originali di undici fumettisti italiani e stranieri: Bryan Talbot, Gary Erskine, David Messina, Grazia La Padula, Arianna Florean, Francesco Biagini, Manuel Bracchi, Claudia Ianniciello, Marika Cresta, Annapaola Martello e Dario Tallarico, che aggiungono un commento per immagini - spesso brillante - al testo.
Il punto di forza dell'opera è la sistematicità della visione e dell’indagine. Ne sottolineo solo alcuni snodi (per ovvie ragioni di dimensioni e profondità del testo, non è nemmeno da considerare una sintesi). L’opera si avvia con una dettagliata ricostruzione della nascita dell’Utopia che, dopo alcuni punti fondanti condivisi, come Platone, Tommaso Moro, e poi la rivoluzione scientifica (con Bacone, Campanella e molti altri), identifica un passaggio interessante nel punto in cui l’utopia passa da essere un “luogo altro” a divenire un “tempo altro”, con “L’anno 2440” (1771) dell’illuminista Louis-Sébastien Mercier, dove l’utopia si proietta nel futuro. È significativo che ciò avvenga con l’illuminismo all’apice della sua potenza, poco prima di ispirare le grandi rivoluzioni che cambieranno la storia: in esso infatti ha la sua incubazione l’idea di progresso che segnerà (e segna tuttora) i secoli futuri.
Nell’Ottocento, tutto questo si legherà all’utopia socialista, espressa in opere sia saggistiche che di narrativa filosofica; ma anche – specie nel mondo anglosassone – a utopie capitalistiche. Dal contrasto tra queste – in particolare, tra il socialista Morris e Bellamy – va a maturare a fine secolo l’humus per una piena distopia, intesa appunto come polemica contro le idee dell’avversario e non piana esposizione delle proprie. L’autrice quindi, pur trattandone, ridimensiona forse in parte l’importanza usualmente attribuita ai "Viaggi di Gulliver" (1726) di Swift dove, in chiave ancora, è chiaro, pre-fantascientifica, appaiono molte anti-utopie: in particolare, nel viaggio a Laputa viene rovesciata l’utopia scientifica della New Atlantis di Bacone, che conteneva gli ideali della Royal Society of Science.
L’argomentazione è comunque indubbiamente stringente e, del resto, l’opera di Swift rimane a suo modo isolata, non avendone altre di pari livello negli anni immediatamente successivi. Invece, la distopia che nasce dalla crisi del passaggio al Novecento (dove all’ottimismo ingenuo dei positivisti si associano ormai visioni critiche e problematiche, ad esempio quelle di naturalismo e verismo in letteratura) forma in effetti un nuovo canone piuttosto coeso, che l’autrice studia con attenzione.
Il secondo capitolo del lavoro indaga dunque questo filone distopico, tramite l’esame di un canone di opere prominenti: il taglio della Di Minico evidenzia il tema del controllo come elemento accomunante del filone distopico, in parallelo all’emergere dei totalitarismi che offriranno la loro terribile ispirazione, diretta o indiretta, alla fantascienza. L’autrice affianca l’esame di opere note con la proposta di opere molto meno conosciute di cui illustra con efficacia l’importanza, includendo anche opere di stampo fumettistico.
Gli ultimi due capitoli si occupano dei due volti principali della distopia: quello più noto ed esplicito, di tipo totalitario, con un controllo evidente e palese, e quello più subdolo, strisciante, dei “poteri suadenti”, di una distopia che non si rivela immediatamente come tale, ma esercita il suo dominio in modo indiretto, mantenendo all’apparenza i caratteri della democrazia ma svuotandola di significato dall’interno.
Insomma, un saggio decisamente interessante sia per quanto ci dice sulla distopia e sulle sue ramificazioni storiche, sia soprattutto per la sua capacità di evidenziare i collegamenti col mondo reale, di cui i mondi distopici della fantascienza costituiscono un monito o una profezia. È ormai usuale, per gli appassionati di fantascienza, ripetersi “questa situazione sembra una puntata di Black Mirror”, citando il più recente e fortunato telefilm di fantascienza distopica.
Il saggio della Di Minico ci dà una conferma accademica che il nostro senso di deja vu è perfettamente fondato. Il futuro che abbiamo tanto sognato ormai è qui: ma non è detto che sia quello che ci aspettavamo