Avevo 9 anni quando Grand Theft Auto: Vice City uscì sul mercato ma io ancora non lo sapevo e non lo avrei mai saputo fino a quando, qualche anno più tardi, non mi scoprii la custodia del disco per PC sotto la carta di un regalo ricevuto per non so bene cosa.
Non fu il mio primo GTA, ma fu il primo che provai a “completare seriamente”: la mia passata esperienza con il terzo capitolo (il mio “battesimo del sangue” per la serie, un po’ come per tanti altri) non era stato altro che uno scrivere continuo di trucchi sulla tastiera per fare esplodere cose e vedere morire la gente.
Vice City invece rappresentò una piccola svolta per il me bambino: fu uno dei primi giochi davvero “miei”, fu uno dei primi titoli che i miei mi regalarono senza comprarlo da una delle tante bancherelle con dischi masterizzati e fu anche uno dei primi (fra tanti) fallimenti della mia storia videoludica.
Sì, è vero che è stato il primo GTA a cui provai a dedicarmi “seriamente” ma è anche vero che non riuscii mai a finire quel videogioco portandomi dietro, negli anni, una di quelle ferite che periodicamente provavo a leccarmi per sanare ma che (anche nel momento in cui scrivo) non ho mai superato. Ebbene sì, non ho ancora mai visto come finisce la storia di Tommy Vercetti e soci e, come è già spesso accaduto, ho deciso di riprendere il mano la sua avventura e provare a scoprire cosa succede dopo aver ucciso Diaz ed aver preso possesso del suo enorme villone.
Il motivo principale che risiede dietro questa mia grossa sconfitta videoludica è da ricercare all’interno di una missione, una di quelle che è unanimemente riconosciuta come una fra le più frustranti: Demolition Man (o il Demolitore, come ho appreso qualche giorno prima della scrittura di questo pezzo).
Per chi non avesse mai giocato Vice City (o non la ricordasse) è una delle prime missioni che il gioco di offre: la prendiamo da tale Avery Carrington che ci richiede di far esplodere un palazzo in costruzione mediante il piazzamento di 4 cariche esplosive in circa 7 minuti. Il problema? Dovremo farlo con un elicottero radiocomandato.
Ora, l’elicottero in questione, per chi gioca da tastiera, è gestito dal seguente schema di controlli: W, S rispettivamente per salire e scendere di quota, Q, E per ruotare, rispettivamente, a sinistra e a destra e il 9 sul tastierino numerico per inclinarsi in avanti. Chiunque abbia pensato ad un simile settaggio credo non si sia soffermato sulla missione per i 7 minuti necessari a completarla.
Posizionare queste 4 cariche è un inferno: poliziotti che sparano facendo esplodere l’elicottero, operai che ci inseguono per rompere tutto, le bombe da andare a recuperare, una alla volta, fuori dall’edificio e, dulcis in fundo, il tutorial non skippabile che dobbiamo sorbirci all’inizio di ogni tentativo.
Ho perso il conto delle volte in cui ho provato a completare questa missione e anche se oggi leggo sull’internet che si tratta di una missione facoltativa ho questo ricordo, probabilmente distorto, ben stampato in testa di quella maledetta A sulla mappa come unico luogo per proseguire dopo il casino combinato alla villa di Diaz.
Demolition Man ha rappresentato per anni e anni la mia dannata balena bianca videoludica, il fallimento sui fallimenti: non mi importa di non aver mai preso tutte le stelle di Mario 64, di non essere mai riuscito a vedere come finisce Tombi o di non aver mai capito come diamine si supera la sala con il pavimento pieno di lettere su Tomb Raider IV. Demolition Man ha sempre rappresentato quello che, nella mia vita, ho sempre visto con occhio più critico, il fallimento per cui ho sempre provato vergogna.
Ma se vi racconto questa storia è perché qualche giorno fa, riprovando a concludere Grand Theft Auto: Vice City, sono riuscito a completare questa maledetta sequenza di gioco. Dopo 19 anni circa ho finito Demolition Man e mi sono sentito… normale.
“Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu che insensato cerchi lei!” scriveva Melville in uno degli ultimi dialoghi fra Achab e il suo equipaggio sottolineando, in qualche modo, l’insensatezza di quello scontro e l’ossessione, più che il bisogno, del riuscire a sconfiggere quel “demone bianco” che perseguita il capitano del Pequod.
Demolition Man è stato il mio Moby Dick: un Leviatano bianco che credevo si prendesse gioco di me e della mia incapacità nel riuscire a domarlo. La mia dannata balena che vedevo soffiare all’orizzonte in ogni momento in cui il nome del gioco veniva a galla.
Era sempre li, la dannata, ad aspettarmi al varco per ricordarmi quanto inutili fossero i miei sforzi e quanto incapace potessi essere io con quello stramaledetto videogioco. E oggi, invece? Adesso che sono riuscito a gustarmi la cutscene del palazzo distrutto che accompagna la fine della missione cosa mi rimane?
Dopo quell’attimo di ebrezza nel riuscire, dopo quasi vent’anni, a premere 0 sul tastierino numerico per sganciare l’ultima delle quattro bombe come mi sento? Esattamente, e stranamente, come prima. Come se non lo avessi mai fatto e anzi… ho quasi nostalgia della mia piccola e gigantesca balena bianca.
A Maggio 2021 ho soddisfatto il ragazzino impotente dei miei ricordi ma, a conti fatti, mi sento solo di aver perso tempo nell’inseguire il finale di una missione che, forse, mi aspettavo più spettacolare.
Ma morta una balena se ne fa un’altra e adesso ho bisogno di scoprire cosa si cela nel finale di GTA Vice City.