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Essere o non essere il cattivo: il "caso Joel" in The Last of Us

joel

A chiudere un mese dedicato interamente ai villain, spazio a The Last of Us, recentemente tornato alle luci della ribalta grazie al nuovo trailer con annessa release date del secondo capitolo, atteso ormai spasmodicamente per il prossimo 20 febbraio 2020. Poco tempo fa, una piccola scia di notizie si era fatta strada fino a conquistare una piccola parte di quegli stessi riflettori, riguardante un’intervista a Troy Baker, l’attore che interpreta Joel.

Le dichiarazioni sono state le seguenti: “Si presume che Joel sia l’eroe di The Last of Us, ma tutti sono l’eroe della propria storia. Credo fermamente che David”, tignoso cattivo del primo capitolo, nella sezione invernale di gioco, “ritenga di fare ciò che è giusto per la sua gente, per cui rappresenta un eroe”. Per giunta, argomenta: “Non credo, invece, che Joel si consideri un eroe. Se proprio dovesse etichettarsi, penso che si definirebbe più un cattivo. Direbbe di essere un tizio che cerca di sopravvivere un giorno alla volta, senza dover salvare qualcuno o rovinare i piani di qualcun altro”.

Il fandom, che non sapeva di starsi scaldando per il trailer rilasciato di lì a poco, si è quindi interrogato sulla sua figura. L’amato Joel è visto dal suo interprete come “un personaggio che sta da entrambe le parti” e che anzi, se dovesse, si direbbe più villain che hero. È un cambio netto di prospettiva. Ma corrisponde a verità? Cosa ci dice la narrativa, più delle dichiarazioni (in ogni caso suggestive e ficcanti) dell’interprete?

“Non è tanto chi sei, quanto quello che fai, che ti qualifica”

Prima di tutto, un po’ di terminologia base. Dal latino villanus discende villain: in italiano, genericamente, il cattivo. Non si tratta di mero antagonista, con il quale vige il classico rapporto indice-dita dell’insiemistica per cui non tutti gli antagonisti sono villain ma tutti i villain sono antagonisti. L’antagonista è un qualsiasi personaggio che, buono o cattivo, incarna una posizione contrastante (anche di poco) con quella del protagonista, riguardo alla domanda fondamentale che la storia pone allo spettatore. Vale la pena morire per amore? Se il protagonista pensa di sì, chiunque pensi di no è un antagonista. Ma nella storia, queste posizioni possono cambiare, sovvertirsi persino, per cui un antagonista può trasformarsi in coprotagonista e viceversa. Il villain, no.

Il cattivo è, per definizione, un ruolo a parte, maligno e opposto all’eroe. Anticamente, il villanus era colui che lavorava alla Villa, non possedendo quindi stato nobiliare né la grazia che gli veniva associata. Col tempo, il termine si è trasformato inglobando ogni genere di nefandezza, fino al proverbiale “gioco di mano, gioco da villano”.

Arrivando fino a Propp, studioso di narratologia e insostituibile coniatore delle 31 funzioni tipiche di ogni fiaba, per estensione sovrapponibili alla maggior parte delle storie moderne, il villain è uno dei ruoli presenti in ogni storia. ATTENZIONE: si parla specificatamente di ruolo, non di personaggio. Più personaggi possono assumere un ruolo durante la stessa storia laddove si macchino di azioni reprobe quali violenze o inganni all’eroe o alla sua cerchia familiare-amicale-affettiva. In estrema sintesi: l’opposizione che definisce relativamente l’antagonista, rispetto al protagonista, calata sul piano più oggettivo del bene-male, trasforma il primo ne “Il villain” e il secondo ne “L’eroe”. E, da questo punto di vista, la questione può risolversi piuttosto rapidamente.

“Ognuno è l’eroe della propria storia”

Dice Troy Baker. E ha ragione, ma proprio per questo non possiamo definire Joel come IL cattivo. The Last of Us è (per larga parte) la sua storia, che lui vive trasformandosi al suo interno molto più di Ellie, impegnata su un percorso di formazione. Il protagonista è sempre colui che, nei tre atti della narrazione, cambia maggiormente. Per questo è Rose, e non Jack, la protagonista di Titanic. Joel è protagonista, almeno inizialmente mosso da buone intenzioni. Si macchia di crimini, sì, ma solo per sopravvivere in un mondo dove la legge è più morta dei non-morti.

Certo, se considerassimo la storia dal punto di vista di David e del suo clan, Joel potrebbe avvicinarsi alla figura proppiana del villain, in quanto causa di vittime ingenti tra i suoi ranghi e inseguito, trovato e perseguito in un momento successivo. Ma il nodo è che The Last of Us è il racconto del dolore di Joel, del suo volervi porre rimedio. Seppure partendo da principi relativi (protagonista-antagonista), il medium determina col proprio narrare chi riveste oggettivamente il ruolo di eroe e chi quello di cattivo. Tant’è che, alla fine, è Ellie a combattere David e i suoi, non Joel. David è il villain della ragazza, non del suo tutore (ridotto in fin di vita). Il villain contrapposto a Joel è un altro, e molto più grande…

“Il problema non è il problema ma il tuo atteggiamento rispetto al problema”

Quante volte avete sentito dire che in un certo film di zombie, ma anche in The Walking Dead, “non sono gli zombie il vero problema, ma il genere umano”? Ebbene, The Last of Us è il perfetto trionfo di questo principio. Questo deriva anche, e soprattutto, dall’estrema ambiguità nel cuore di Joel. Il suo obiettivo dichiarato, dopo il prologo, è quello di proteggere Ellie, miracolosa eccezione al virus, per poter trovare una cura, ma il suo vero obiettivo è un altro, ovvero di ritrovare in lei la figlia persa prematuramente e ingiustamente.

E quando, per salvare il genere umano, gli viene richiesto di sacrificare, stavolta consapevolmente, anche Ellie, è troppo: Joel si rifiuta e fa una strage, pur di salvarla. Gli esseri umani gli hanno tolto la figlia biologica, gli esseri umani vogliono sottrargli la figlia adottiva. Sono loro, quindi, il suo villain. Con buona pace degli zombie che infatti, progredendo nell’avventura, perdono sempre più di importanza e carica orrorifica. Al loro posto, uomini folli, violenti e disperati, non infetti ma capaci di peggio. Un virus si può curare, ma non la dis-Umanità.

“O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo”

Chiuso il discorso sul villain, però, possiamo far rientrare dalla finestra la questione morale. In fondo, potrebbe essere che Joel sia un antieroe: altro termine dall’origine semantica sensibilmente diversa dall’accezione moderna à la Walter White & Frank Underwood, inizialmente l’antieroe era un eroe privo delle sue qualità più tipicamente positive. Don Chisciotte, tanto per fare un esempio, o Deadpool. Oggi, specialmente in videogiochi e serie (oltre a Breaking Bad e House of Cards, Dexter, lo stesso “cugino” di The Last of Us, The Walking Dead, etc.), spopola la figura del protagonista spietato che non obbedisce alle regole della moralità, o vi contravviene piuttosto frequentemente e magari senza rimpianto alcuno.

Joel potrebbe, alla luce della sua scelta finale, essere annoverato tra le figure degli antieroi. E qui, davvero, si entra nel campo della speculazione filosofica e della soggettività morale. La narrativa però è così puntuale ed efficace in questo caso da far empatizzare tutti, ma proprio tutti, con la decisione di non lasciar morire Ellie, nonostante la sua esplicita volontà di sacrificarsi. Per un attimo, viene quasi il dubbio che si tratti di una scelta lasciata davvero al giocatore. Non ci sarebbe, in ogni caso, niente da fare: siamo con Joel persino quando, come un genitore che presume di sapere cos’è meglio per la figlia, le rifila una menzogna spudorata. E forse, per questo, non lo ascriviamo alla categoria di antieroe. Anche perché, una volta raggiunto l’obiettivo di salvare Ellie, fintanto che lei è al sicuro (perciò, la necessità di mentirle), la sua bussola morale torna a farsi regolare.

Ma, ciò detto, niente impedirebbe che in The Last of Us Part II proprio Joel si trasformi, stavolta fino in fondo, in autentico villain per la nuova e cresciuta Ellie, promossa al ruolo di eroina e protagonista solitaria. Il come e il perché lo lasciamo decidere a Naughty Dog, sperando di non scoprirlo anzitempo in un altro trailer fin troppo generoso. Di sicuro, non esistono molte cose più spaventose del confrontarsi con la figura paterna. Che si tratti di Edipo, Amleto o Skywalker: è un passato che ritorna per metterci alla prova, mostrandoci con la forza di un esercito e il carisma del nostro volto quanto ciò che siamo stati possa diventare, col tempo, tutto ciò che non vorremmo mai essere.

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