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Dylan Dog Magazine 2020: il nuovo passato ha inizio

Il Dylan Dog Magazine 2020 si apre con un profetico “Siamo in trappola”, che apre la rassegna dei significativi prodotti orrorifici di quest’anno, intervallati al consueto distico di tavole di Bacilieri e Giusfredi dedicate a Susy e Merz, qui con le loro “horror paper doll”, con tanto di QR code per accedere ai contenuti speciali.

Il pezzo forte, naturalmente, è la storia lunga dell’albo, “Il cadetto”, sceneggiata da Paola Barbato per i disegni di Giulio Camagni. Abbandonato il continuum di Wickedford collegato al Bloch in pensione del precedente universo narrativo deflagrato col nuovo corso (in questi giorni, è in edicola il numero 403), il nuovo Magazine va a esplorare il rinnovato passato del personaggio, inserendo i primi tasselli del nuovo canone. La Barbato è un’autrice perfetta per iniziare, poiché già nello scorso universo narrativo è stata l’artefice del passato del protagonista, soprattutto attraverso il famoso numero 200, con l’introduzione del personaggio di Virgyl, il figlio di Bloch, e i retroscena del rapporto con Dylan Dog. Qui tutto viene rinnovato, dato che dal 401 in poi scopriamo come Dylan sia figlio adottivo reale di Bloch.

La Barbato è poi particolarmente brava nella caratterizzazione delle psicologie, ben aiutata dal segno pulito ed efficace di Camagni. Notiamo un Bloch più giovane, ancora lontano da un pieno equilibrio e accettazione di sé (cerca di contrastare, ad esempio, la sua ritrosia al sangue), ma già umano ed empatico (p.40) tranne che, nel paradosso del personaggio, con chi gli sta vicino (è freddo con Virgyl, ma anche in certo qual modo con Dylan). Il coroner che appare a p.41 è una citazione da quello di Montalbano, mentre le bamboline terrificanti che si associano all’azione del serial killer dell’albo ricordano certo un topos frequente dell’horror, ma viene anche in mente uno dei primi fumetti “inquietanti” italiani, “Pierino e il burattino” (1910) di Antonio Rubino, in cui il pestifero ragazzino cerca di ribellarsi di un terrificante pupazzo che ritorna però puntualmente a fine episodio.

La difficile indagine porta Bloch a reclutare alcuni cadetti, tra cui proprio il figlio adottivo Dylan Dog. Anche nel numero 200 Bloch si riscuoteva dal suo anaffettivo torpore – che condanna il figlio Virgyl – dopo l’arrivo di Dylan. Anche qui Dylan Dog si distingue per notevoli intuizioni e, quando vuole, accurata ricerca sul campo, che spesso non si traduce però fino in fondo in deduzioni razionali: il tratto fondante del personaggio nelle storie di stampo più giallistico, come questa. La Barbato, che ricorre relativamente poco alla detection story su Dylan, è comunque molto brava a giocare col lettore su questo piano: gli indizi che potrebbero condurre alla soluzione del caso sono presenti, e il lettore attento potrebbe coglierli (e può comunque apprezzarli in seconda lettura). Si tratta, aspetto meritorio per un fumetto, di indizi in gran parte visuali: e anche Camagni si conferma quindi bravo nel mostrare abbastanza senza mostrare troppo. La citazione shakespeariana dall'Amleto rispecchia curiosamente quella presente sul 403, a confermare un sottofondo di Dylan come "Italo Amleto".

La raffigurazione del rapporto disfunzionale di Bloch con Virgyl è molto efficace, e in qualche modo, per il lettore storico, sapere che siamo in una “realtà parallela” lo rende più drammatico: al cambiare dei fattori, non cambia comunque il destino del ragazzo. Cambia, invece, in questa storia, il destino di Bloch: da eterno ispettore in attesa della pensione a nuovo Sovraintendente, sostituendo il predecessore nero – costretto alle dimissioni dopo il fiasco in questo caso. Appare anche il reclutamento di Jenkins, come anticipato nel nuovo inizio del 401-402. Tutte le pedine sono al loro posto: con l’inizio della discesa negli inferi di Virgyl si chiude la storia.

Dopo il dossier dedicato al tema dei mostri (ci sono anche quattro pagine a colori del Daryl Zed disegnato da Mari) troviamo che anche la storia breve “I due padri” (titolo significativo), testi di Ostini per i disegni prestigiosissimi di Bacilieri, va a scavare nel passato del personaggio, in tricromia come da consuetudine sul Magazine.

Nel canone del personaggio, Dylan Dog di sei anni giungeva nella Londra odierna per incantamento (il celebre numero 100), per subire poi un lungo “periodo di latenza” fino ai 18 anni, quando entra in polizia. Qua e là nelle storie erano affiorati i genitori adottivi, mai pienamente sviluppati. Anche questo aspetto del suo passato viene completamente riscritto in questo nuovo ciclo post-meteora (vedi qui la sceneggiatura del 400, l'albo di svolta).

Già a p. 153 ci appaiono due citazioni: la Battersea Power Station sullo sfondo, cara ai Pink Floyd, e un cameo di “Italo” di Vincenzo Filosa, tra i migliori romanzi a fumetti degli ultimi anni. Anche il biglietto lasciato all’assistente sociale dell’orfanatrofio rimanda apertamente ai Pink Floyd (Rise and Shine).

Il giovanissimo Dylan tenta di rubare The Dark Side of the Moon da un negozio di dischi dal nome non casuale (p.155) gestito da Alistair Roome, un doppio anagrammatico di Alan Moore con una spruzzata di Crowley che – come il suo omologo del mondo reale, del resto – lo imprigiona in uno dei suoi incantesimi sulle note di Eclipse, dall’album medesimo, ovviamente (ed ecco fornita anche la colonna sonora della breve storia). Già entrando nel negozio, del resto, il manifesto di "Sonic Death" dei Sonic Youth era significativo di quanto il giovane Dylan andava a rischiare.

L’elegante stile di Bacilieri ha qui la possibilità di esprimersi al suo meglio in tavole di grande potenza visiva (158-163), con notevoli intuizioni psicanalitiche – la scala di p.162, intessuta nella catena del DNA, che guida Dylan da uno Xabaras lovecraftiano. Notare che nelle statue che vede Dylan appaiono, pietrificati, i personaggi significativi del suo futuro (appena abbozzati: vanno guardati con cura).

La liberazione di Dylan Dog dall’incubo avviene sulle note di “Breathe”, con l’intervento di un agente Bloch in tenuta onirica da 2001 Odissea nello spazio. Non è un caso: i Pink Floyd non collaborarono mai con Kubrick, risentendosi del fatto che non avesse proposto loro una collaborazione a 2001 – perfetta in teoria per le loro musica (vedi qui). Nel suo debriefing finale, Bloch (chiamato Sherlock Block, a p.171, con un blooper testuale) fornisce il classico spiegone finale: curioso che la ragazzina sottoposta all’elettroshock musicale prima di Dylan sia raffigurata nella posa del Solve et Coagula (174), specie dopo aver evocato Crowley. L’ultima pagina fornisce una rivelazione abbastanza ovvia per il lettore smaliziato, ma sempre molto gustosa da vedere. Una storia intrigante e ricca di dettagli (sicuramente avrò omesso qualcosa: il numero nell’insegna di p. 155, ad esempio, ha un significato?).

Insomma, un numero decisamente interessante, che rende il Magazine una lettura molto più preziosa per il lettore che non la “realtà parallela” di Wickedford delle precedenti edizioni.

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