Lo scontro con Xabaras avviato nello scorso albo trova qui un suo primo compimento, come potevamo attenderci, e si chiude così, in questo 402, una lunghissima fase di "albi evento" ad alta attenzione mediatica che parte dalla scorsa Lucca e arriva fino ad ora. Il matrimonio del 399, che di fatto chiudeva il ciclo della meteora. Il celebrativo del 400, trionfo del postmoderno nel segno di Stano. E il reboot del 401, con la potenza delle tavole di Roi chiamato a dare il suo segno a questo doppio "nuovo numero 1" di un universo alternativo.
Quattro storie sceneggiate dal curatore Roberto Recchioni, che firma del resto tutto questo primo ciclo in stretta continuity, fino al 406, garantendo così una notevole coerenza a questo passaggio determinante, e imprimendo la sua raffinata scrittura su queste nuove origini del personaggio. Ora si continua con questo "Tramonto rosso", albo che riprende il titolo di una nota storia texiana, e che evoca nella composizione della cover di Gigi Cavenago la locandina del film di Dellamorte Dellamore.
La storia, come noto a chi ha letto il 401, continua quella già avviata ne "L'alba nera": ritroviamo quindi i disegni di Corrado Roi ad accompagnare l'apertura dell'albo, con la quadrupla di una New Scotland Yard resa più simile a quella reale (in generale, tutto questo nuovo inizio ci porta in una Londra molto più vicina a quella reale, e questo non sarà l'unico esempio).
La conversazione iniziale tra Rania e Tyron ci presenta l'evoluzione della trama (ormai divergente dal numero 1 storico, che viene qui riscritto), presenta le psicologie dei personaggi, e definisce meglio anche il passato di Dylan, che viene lasciato trapelare anche nel dialogo tra lui e Sybil. Tra le altre cose, viene incastonato un elemento già apparso in tempi recenti, quello della sua giovanile adesione alla musica punk, trattata da Barbara Baraldi al 364.
Sotto il profilo formale, oltre all'uso frequente di un'alternanza di tavole di impianto verticale e orizzontale (fin da questo primo dialogo), colpisce l'interessante adozione della griglia a nove vignette, quella resa iconica da Alan Moore su "Watchmen" e spesso utilizzata da Recchioni nei suoi lavori. Qui - come già nel 401, dove però era forse meno frequente - appare usata per rapide schermaglie di dialogo brillante, una caratteristica resa qui evidente da un numero parzialmente più ricco di testo - benché asciugato e veloce - del precedente, che dava maggior spazio a scene quasi mute. Assieme, è ovvio, alla griglia tradizionale (9) oppure a una tavola 2X2 (10), più "larga" nelle vignette ma di impianto comunque tradizionale.
L'invito al cinema di Sybil, anche qui, introduce un luogo londinese reale, creando una nuova mappatura, più realistica, dell'immaginario londinese dylaniato. Se in Sclavi in fondo la Londra di Dylan era quasi una Pavia dell'immaginario, una cittadina quasi più italiana che inglese immersa nella nebbia da Pianura Padana, quella di Recchioni è una Londra concreta, ancorata a landmark reali precisi. La visita al Prince Charles, che è un rimando ad una autentica cultura minoritaria, di elitismo nerd se vogliamo, diventa anche il contesto per un dialogo sardonico di Dylan (14) contro i "finti nerd" divenuti legione, dal sapore anche, in parte, metatestuale. Tavola 16 invece diviene il rimando a Freewheelin Bob Dylan, iconico albo del cantautore richiamato in parte dal nome del personaggio (in realtà, ispirato nel nome a Dylan Thomas).
La bella sequenza muta 18-19 fornisce, specie nella seconda tavola, spunto per soluzioni di grande eleganza: ricorda certi montaggi - con altra funzione - di Roi nel recente adattamento dell'Apocalisse su testi di Castelli..
Il flashback che ci riporta al passato di Dylan guardiano di cimitero, che riprende il suo modello in Dellamorte (da cui viene anche il nuovo assistente Gnaghi) è affidato al segno essenziale e pulitissimo di Francesco Dossena. Appare qui una caratteristica apparsa già al 399 e al 400, e sporadicamente in qualche albo precedente del nuovo corso di Recchioni. Ovvero, l'adozione di una pluralità di disegnatori sullo stesso albo, all'interno di una rinnovata attenzione alla potenza visuale del segno. I disegnatori - classici e nuovi - messi in campo per questo primo ciclo del Dylan rinnovato vanno nella direzione di un segno artistico, spesso di sintesi, con interpretazioni forti - ed efficaci - del personaggio. Un tratto che accentua una scelta ricorrente del nuovo corso, resa evidente anche dal recente Color Fest, nel suo ambito specifico.
Se Roi usa un segno essenziale, puntuto, ma soffuso di un ampio ricorso alla mezzatinta, qui invece Dossena usa un tratto reso ancor più aguzzo dall'adozione di un nitido contrasto di bianchi e neri, che contrasta (con una sua eleganza) coi bordi arrotondati delle vignette, tipico di una narrazione in flashback bonelliana (ma qui, impreziositi da un segno di contorno lievemente irregolare, che si presta meglio a dar l'idea di diafani dagherrotipi sbiaditi). La Buffalora dello Sclavi dei romanzi si esplicita come Undead, in una connessione del resto evidente. "Nemmeno la morte conosce la pace... nemmeno in provincia".
Nel viaggio in treno che segue non avviene l'incontro con Xabaras delle origini: come si è ormai capito e come sarà apertamente esplicitato, siamo in una direzione parallela dove però alcuni elementi hanno condotto la storia su un binario differente (col tempo, credo, si potrebbero ricostruire le deviazioni primigenie e stabilirne le conseguenze, che credo emergerebbero piuttosto coerenti).
Invece, ritorna il ragionamento sulla Fisica Fantastica introdotto da Ghost nel numero 399, qui applicato ai telefoni cellulari.
L'apparizione di Groucho (tav. 35) risulta particolarmente toccante, e precisa l'impressione che la sua assenza sia stata determinante nel Dylan più cupo che stiamo vedendo. Torna anche la griglia a nove (tav. 36), usata qui anche sul flashback.
Ad ogni ritorno al presente, naturalmente, ritornano i disegni di Corrado Roi, che confermano l'eccezionale lavoro del numero precedente, soprattutto quando l'arrivo a Undead gli offre il destro per sequenze particolarmente impressionanti sotto il profilo visivo (quelle degli scontri con gli zombie nel paesino inglese, ovviamente, ma anche la corsa in bicicletta, resa con un magnifico contrasto chiaroscurale). La sequenza 44-47 è tutta da assaporare. Al consueto taglio orizzontale della tavola bonelliana si alternano tavole di impostazione verticale che rendono bene l'avanzare nel dedalo delle viuzze nel regno di Xabaras.
Tornano a Undead altre icone dell'immaginario dylaniato, che iniziano così la loro risignificazione, per ora ancora lasciata tra le righe: la Morte (già apparsa nel flashback di Dossena), il Galeone, con una splash page potentissima e poi numerose apparizioni in vignette quadruple o comunque larghe; e il Nessuno di Storia di Nessuno, cosa del resto coerente con il tema delle realtà parallele che là veniva teorizzato dallo Xabaras psicanalista (come pure il tema del galeone).
Lo Xabaras che appare conferma l'impressione sopra le righe del 401: la risata isterica, che quasi ricorda il recente "Joker" di Phoenix, il bacio con Nessuno. Xabaras è dunque qui un villain spiazzante e potente che - come già quello sclaviano - ha un sentore della struttura ricorsiva dei multiversi in cui come tutti è intrappolato, e cerca di sfuggirvi (ma, naturalmente, il multiverso ha una sua resilienza che anche per lui è difficile sfidare).
Una nota "esoterica" che non so se sia sovrainterpretativa: Xabaras è anagramma di Abraxas, demone gnostico, già come citazione sclaviana (che Bilotta, ne "Il pianeta dei morti", ha esplicitato, dandovi anche un senso narrativo). Ora, in Borges e in Hesse, tra gli altri, si allude come si debba conoscere il nome del daimon di un cielo per valicarlo, e Abraxas nasca come sintesi di tale mnemotecnica: il nome del demone del cielo più alto, per valicarli tutti (vedere qui, dove in conclusione forse si cita enigmaticamente anche, con ogni probabilità, proprio lo Xabaras dylaniato). Xabaras, più cosciente degli altri dell'esistenza dei multiversi, ne è una sorta di (anche non del tutto consapevole) guardiano/portale?
E, con Jack, fa il suo trionfale ritorno lo splatter, riapparso talvolta nel Rinascimento Dylaniato di Recchioni, ma sapientemente centellinato come un Barolo invecchiato di ottima annata (o il suo equivalente vampirico, se vogliamo). E anche il "Continua", che ormai ci attendiamo dati questi presupposti, produce del lettore un sottile brivido, in attesa della promessa festa esoterica di sangue (che già qui è resa più succosa dal maggior realismo che aleggia nella storia, con le sue ambientazioni dettagliate). E ci lascia con una certa ansia di attesa del 403, che si dichiara ironicamente "Ordinaria amministrazione". Dopo la chiusura di questa sontuosa ouverture, entriamo nell'attività "quotidiana" del personaggio. Ma niente è più come prima, e tutto lascia presagire che anche i prossimi passi ci conducano in questa scalena dimensione alternativa ben lontani da ogni rassicurante serialità old style.