Dieci anni fa, il 18 dicembre 2009, usciva nelle sale statunitensi Avatar - decimo lungometraggio del regista James Cameron. Il film fu preceduto da un'intensa campagna pubblicitaria, quasi interamente basata sulla tecnologia con il registra di origini canadesi aveva girato il film, contribuendo così a creare un nuovo standard per il 3D.
Come avviene per questo genere di pietre miliari - che vi sia piaciuto o no, poco importa, il suo impatto sul cinema l'ha avuto - ognuno di noi ricorda dov'era quando l'ha visto la prima volta, la reazione sua o degli amici e l'effetto che ebbero la storia e gli effetti speciali.
La redazione di Nerdcore ha quindi tirato fuori dal cilindro quattro esperienze di chi ha visto Avatar al cinema, per omaggiare questo film e il suo regista.
Alessandro - Alla scoperta del 3D
Il mio ricordo di Avatar è sostanzialmente legato alla scoperta del 3D, che comunque già era una roba comune.
Quando ancora esistevano i negozi di noleggio, non facevo altro che volere Spy Kids 3D giusto per mettermi gli occhiali e vedere tutti gli effetti prendere vita direttamente dallo schermo di casa mia. Niente di eccezionale, però era quel piccolo tocco magico che tutto sommato valeva il prezzo dell’affitto del DVD.
Con Avatar e la sua prima visione al cinema è come se fossi tornato indietro a quando spalancavo la bocca davanti agli effetti speciali di Spy Kids, ma con una sorpresa triplicata. Per quanto ne concerne, non credo ci sia un altro film altrettanto visionario che sia stato in grado di gestire così bene la tecnologia 3D, e se ci fosse non avrebbe dietro la mente di Cameron e la capacità che ha avuto nel creare un mondo vivo, complesso e intrigante.
Rivedendo Avatar oggi, senza 3D, ammetto che la magia è un po’ svanita. Sarà che la tecnologia si è evoluta talmente tanto da far impallidire la computer grafica del film e alcuni punti narrativi non proprio brillanti vengono fuori da sotto i lustrini. Tuttavia, per quanto possa invecchiare, Avatar rimarrà per sempre la bandiera più alta di quello che fu il 3D, ormai anch’esso fuori dal suo tempo.
Davide - Quei maledetti occhiali appannati
Non ricordo un granché di Avatar, perché anche se lo vidi due volte al cinema quando uscì non l'h0 mai più rivisto. E il motivo per cui lo vidi due volte in sala è prettamente tecnico: porto gli occhiali da vista. Li porto più o meno dal 1983 quindi come ogni occhialuto so quali sono le situazioni in cui danno davvero fastidio: s'appannano mentre cucini, s'appannano quando entri esci dai luoghi chiusi d'inverno, s'appannano se fai sesso, sono fastidiosi se vuoi leggere o guardare la tv poggiando la testa di fianco sul cuscino, se piove e non hai l'ombrello è meglio l'offuscamento da miopia che quello da pioggia sulle lenti. Al cinema, invece, non mi avevano mai dato problemi. Anzi, è grazie agli occhiali se mi son sempre potuto godere i film anche dall'ultima fila.
Poi è uscito Avatar. In 3D. In 3D vero verissimo verace veramente. Per cui dovevi indossare per forza gli occhiali 3D, quelli veri verissimi veraci veramente, non quelli di cartone e pellicola colorata. Gli occhiali 3D del cinema in cui andai erano gli XPAND, praticamente occhiali da sub grossi, rossi, pesanti e troppo larghi per un qualsiasi cranio umano. Non solo erano scomodi da soli, ma io dovevo metterli portando i miei occhiali da vista. Dopo una vita da quattrocchi finalmente passavo di livello diventano un octocchi. Comodissimi. Due ore a spostarli di continuo per trovare una posizione minimamente comoda per cui non mi scivolassero e mi permettessero di godermi il 3D del film. Due ore con il collo bloccato fisso fermo ferocemente fuso alla poltrona per evitare che mi cadessero gli XPAND portandosi dietro la montatura di quelli da vista. Un modo molto rilassante per godersi un film. Infatti ci riprovai una settimana dopo, cambiando sala.In quell'altro cinema avevano altri occhiali 3D, questa volta leggeri, una sorta di Rayban da nerd leggerissimi, che mi calzavano tutto sommato bene anche sopra la montatura. Miracolo, pensai
mentre li provavo durante i trailer. Poi iniziò il film. Gli occhiali erano una merda, l'effetto 3D appena percettibile, le bestemmie che tirai invece in molte dimensioni.
Felice - Ossessione
Il passaggio dalla fase studentesca a quella lavorativa, per me, si è riassunta in sostanza in una grande mancanza di tempo: poco tempo per fare le cose che mi appassionavano, perché il lavoro si prendeva una buona fetta della giornata.
Nel 2009 lavoravo già da qualche anno e quindi mi ero dato un metodo: dare delle priorità alle cose che vedevo in giro e che volevo approfondire, selezionando con attenzione.
Che c’entra questo con Avatar?
Ho sempre amato la magia del cinema in senso lato, dalla visione in sala fino alla scrittura per il cinema, la musica, agli stili dei grandi registi. Quando uscì Avatar mi colpì molto il battage pubblicitario dedicato al nuovo tipo di 3D che avrebbe rivoluzionato il settore ( non fu così, perlomeno non esattamente, anche se fu un grande passo in avanti ). Mi incuriosì così tanto che mi appassionai al dietro le quinte della lavorazione, scoprendo che il buon James Cameron aveva creato un altro progetto che – nel bene o nel male – aveva fatto la storia del cinema.
E da quel momento in poi, per i mesi successivi la mia ossessione furono le tecniche per girare i film in 3D, con buona pace di chi mi è stato vicino.
Francesco - Avatarcord
Quando guardai Avatar la prima volta non capivo un cazzo.
Nel senso, mi piacevano ancora i film più che il cinema.
Avevo la patente da circa 6 mesi e non avevo ancora acquisito quella sana prassi che a cadenza settimanale mi spinge ad andare al cinema da solo.
Il cinema, all’epoca, per me era ancora una convenzione sociale, un luogo di incontro come un altro, tempo speso con altri per passare la serata. Non ancora un credo religioso, quell’esperienza personale che se non selezioni accuratamente il tuo accompagnatore finisci per rovinarla.
Avatar lo andammo a vedere in massa, probabilmente perché Cameron era ancora presentato come regista di Titanic. Saremmo stati una ventina, al cinema teatro della città, quello della fine dell’Ottocento che così male cozzava con l’idea di futuro proposta dalla visione in 3D del film con i suoi richiami liberty, la cupola affrescata, le sue poltroncine rosse.
Nel 2009 ero una che badava poco alla forma, non la ritenevo funzione fondante, portatrice di una forza propria capace di reggere tutto il film.
Cosicché Avatar mi disse poco, pochissimo, ero tutto stordito dall’infantile semplificazione “Pocahontas spaziale” chiazzata di animismo. Inoltre era lungo, lunghissimo per una visione in 3D, su quelle poltroncine disposte in file troppo strette, con quegli orribili occhialetti in plastica usa e getta che scurivano troppo l’immagine.
Uscì dal cinema con un’esplosione di cheratite da lenti a contatto e l’occhio destro di una vaga sfumatura tra il fucsia e il Kano di Mortal Combat.
Anni dopo, sarà stato il 2011, diedi al film una seconda chance quando fu il primo film che scaricai in alta definizione (l’alta definizione dell’epoca era il 1080p) per guardalo dal mio Macbook Pro 13” nuovo fiammante. E fu tutta un’altra storia.
Il mezzo è il messaggio e la forma dipende dal mezzo, in questo caso una volta alleggeritomi dal peso del 3D il mondo di Avatar mi si aprì davanti.