Nelle ultime settimane il mondo degli streamer è stato scosso da una challenge piuttosto particolare all’interno del mondo Pokémon, la Kaizo Ironmon, che altro non è che una randomizzazione del gioco farcita da una serie infinita (davvero, son tante) di regole autoimposte che vanno a rendere ogni partita, essenzialmente, al limite del giocabile al punto che anche uscire fuori dall’iconico laboratorio del professore su Rosso Fuoco o battere Vera sui titoli di terza generazione è un’impresa impossibile.
Nonostante questo tipo di challenge possa sembrare estremamente ripetitiva, frustrante e poco accattivante è, invece, fresca, interessante e a dir poco divertente sia da guardare sia da giocare, che siate dei content creator che vogliono seguire l’ultima follia del momento o che siate comodamente seduti a casa.
Il motivo è presto detto: giocare la versione randomizzata di un titolo è estremamente piacevole, interessante e, soprattutto, soddisfacente. Ma per capire bene il perché è bene prima chiedersi come funzioni una randomizzazione.
Una randomizzazione, in maniera molto generica, consiste nel randomizzare un qualche aspetto di un gioco così da risultare differente in ogni partita, imprevedibile e, proprio per questo, accattivante.
Generalmente si parla di oggetti randomizzati, nemici, mappe e via discorrendo: insomma, ogni elemento di un dato titolo può essere randomizzato generando esperienze differenti a seconda della tipologia di randomizzazione che si effettua.
Ad esempio è possibile giocare un titolo come Dark Souls randomizzando solo ed esclusivamente i boss (generando situazioni surreali in cui Gwyn è il boss del tutorial), o rende casuali anche gli oggetti trovati, o entrambi o… insomma, avete capito l’antifona: è possibile giocare con il proprio set di regole di randomizzazione.
C’è, però, un comune denominatore a tutto questo genere di sfide: la randomizzazione deve essere completabile, non è possibile generare una versione del titolo in cui un oggetto obbligatorio per proseguire sia bloccato in un momento successivo al suo utilizzo obbligato.
Questo particolare tipo di logica è la parte più complessa da sviluppare per randomizzare un dato titolo: chi si occupa di programmare queste mod, infatti, deve avere una profonda conoscenza del titolo in questione non solo nel suo gameplay nudo e crudo ma anche delle sue più profonde meccaniche per far sì che ogni partita seppur randomizzata sia comunque dominata da una certa logica di fondo.
Ora a seconda dei videogiochi su cui una randomizzazione viene applicata esistono, a loro volta, differenti tipi di logica che possono rendere una partita più o meno difficile: all’interno di un gioco di Zelda, ad esempio, si possono randomizzare gli oggetti seguendo una logica “normale” o seguendo una logica “complessa” che necessità dell’utilizzo di “trick” particolari nel gameplay per saltare più lontano o accedere ad una data area in modo poco convenzionale.
O ancora, è possibile giocare randomizzazioni, come quella di Kingdom Hearts II, che modificano completamente l’esperienza di gioco in termini di obiettivi (in questo caso specifico giochiamo in un Hub centrale da cui accedere ai vari mondi. Il mondo finale sarà accessibile solo dopo aver trovato tre Prove in giro per i livelli).
Insomma, parliamo di un mondo così profondo e vario che potremmo stare ore a parlare di una singola mod per un singolo gioco per esplorarne le caratteristiche più intrinseche, ma non è questo il caso un po’ perché non conosco così bene tutte le randomizzazioni esistenti e un po’ perché non è questo il punto dello scritto.
Ci concentriamo, però, su una particolare randomizer (che sto giocando in ogni momento libero delle mie giornate), quella su The Legend of Zelda Oracle of Seasons, sia perché sto iniziando a farmi le ossa sia perché è funzionale al punto centrale del discorso: perché ogni titolo dovrebbe fornire una modalità del genere di default.
Oracle of Seasons fa parte di un duo di titoli per Game Boy Color molto particolare: si tratta di due giochi che vivono in “simbiosi”, la cui storia di uno continua nell’altro e viceversa attraverso delle partite “linkate” tramite codici o il classico cavetto per comunicare tra Game Boy.
Per un motivo o per un altro (un giorno mi convincerò a scriverci un pezzo) sono due fra i titoli a cui sono più affezionato nella vita, nonché i miei due capitoli della serie preferiti, nonché due fra i videogiochi che più conosco poiché li rigioco, entrambi sia nella versione base che quella “linked”, una volta l’anno.
Li conosco così bene che quando li gioco lo faccio con il “pilota automatico” al punto che spesso mi sono chiesto come funzionano le speedrun su questi due titoli.
Purtroppo sia Oracle of Seasons che Oracle of Age hanno delle speedrun molto matematiche che prevedono azioni particolari per modificare un byte all’interno della memoria di gioco che governa gli eventi randomici del gioco: in soldoni ogni colpo di spada, ogni transizione etc aumenta o diminuisce di un certo numero questo valore che, a sua volta, genera eventi casuali come i drop dei nemici.
Conoscendo questi numeri e come essi vengono manipolati è possibile, essenzialmente, accedere a degli anelli (la cosa più casuale nel gioco) molto forti subito e quindi avere poter procedere molto spediti nell’avventura.
Insomma, conosco molto bene il gioco ma non al punto da voler memorizzare queste informazioni ma, come spesso accade in questi casi, chiusa una porta si apre un portone.
Il mondo delle speedrun (che non mi stancherò mai di promuovere) ad un certo punto del ciclo vitale di un videogioco potrebbe stancare: le azioni da eseguire son sempre quelle e prima o dopo subentra la noia, a meno che non si possa giocare una versione sempre differente di un gioco.
E in effetti i maggiori utilizzatori di randomizer sono proprio gli speedrunner che si cimentano in gare settimanali sulle randomizzazioni della qualunque (nell’ultimo periodo ho goduto di un paio di gare su randomizzazioni di Winnie the Pooh per intenderci) e da questo ad arrivare alle randomizzazioni di Oracle of Seasons il passo è stato breve.
Perché questo titolo e non il suo fratellino però. È presto detto: Seasons è meno tecnico di Age e rappresenta un punto di ingresso in questo mondo più “semplice” per chi ci si approccia.
Perché sì, giocare un titolo di cui si conosce vita, morte e miracoli attraverso una randomizzazione è un’impresa decisamente ardua: si deve pensare fuori dagli schemi, vengono generati implicitamente nuovi puzzle e, se si vuole giocare in tempi ragionevoli, è necessario avere anche una capacità di pensiero molto veloce (attualmente, mentre scrivo, in circa tre ore sono in grado di completare il titolo).
Come si fa, ad esempio, a gestire il gioco senza una spada per uno, due o tre dungeon? Come posso attraversare un lago se non ho le pinne?
Ecco, anche conoscendo molto bene i due titoli, ho imparato qualcosa di nuovo ed estremamente interessante grazie a queste modalità, come ad esempio il fatto che il bastone delle stagioni danneggia un tipo particolare di nemico.
Non solo, spesso l’essere bloccato in un punto ti porta a pensare in modo completamente strampalato e fare tuoi dei trucchi che fanno parte di una logica molto differente e più complessa (esistono le modalità difficili per questo tipo di randomizzazione) come l’utilizzo di una bomba per saltare più lontano.
E, ancora, vista la natura dei due titoli è possibile giocare una randomizzazione (la mia preferita) che inserisce oggetti di Ages in Seasons generando delle situazioni “anomale” di una bellezza rara: come posso utilizzare il gancio-scambio (non accessibile in Seasons vanilla) per proseguire nell’avventura?
Insomma, è chiaro dove voglio arrivare. Se in prima battuta una randomizzazione può sembrare (e per certi versi lo è) uno stravolgimento di un’opera, basta qualche partita per accorgersi che invece l’opera ne esce esaltata (a patto di non attivare randomizzazioni di qualunque genere che rendono il gioco solo una grande buffonata per il content).
Proprio per la natura “logica” di una randomizzazione, il titolo finale ne risulta arricchito: esperienze sempre nuove, puzzle particolari, nuovi approcci… in poche parole, longevità infinita.
È a dir poco esaltante la prospettiva di poter avere una modalità del genere integrata all’interno di un gioco in maniera nativa, un po’ perché si tratta di un modo per vivere determinate meccaniche a 360 gradi (o esplorarne meglio alcune che, spesso e volentieri, in determinati generi lasciamo indietro in favore di altro), un po’ perché è schifosamente divertente cimentarsi in challenge del genere.
Chissà, ultimamente sono tanti i videogiochi che hanno implementato modalità per gli speedrunner, sognare non costa niente.
Fidatevi, una prova non costa nulla e se necessitate d’aiuto internet è pieno di community di appassionati pronti a darvi una mano (ho avuto il piacere di chiacchierare di una run in cui ero completamente bloccato con uno fra i migliori speedrunner di Seasons al mondo) perché di giocatori appassionati c’è sempre un gran bisogno.