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Come MDK2 segnò il mio ingresso nel ventunesimo secolo

Quando ripenso al mio primo computer, uno dei ricordi più cari è la scoperta di avere già un gioco pre-installato senza che nessuno nella mia famiglia lo sapesse. Ero piccolo ed era il periodo in cui i computer iniziavano a essere una presenza essenziale nelle case di tutto il mondo, cosa che ci portò a comprare una di quelle scatolone con Windows Millenium Edition. Posizionammo il tutto in salotto e io, che avevo 6 anni, guardavo mio padre traccheggiare con quelle diavolerie elettroniche senza che ne capissi nulla. Oggi è l’esatto contrario, ma non divaghiamo.

Arrivati finalmente all’accensione e connessi alla rete tramite il grandissimo rumore ormai dimenticato, la prima cosa che il mio piccolo me fece era cercare qualcosa su Dragon Ball e trovai un bel sito dove due gif di Goku e Vegeta si scontravano in un infinito loop di onde energetiche. Ai tempi lo trovai grandioso e ci rimasi ore, quasi come se fosse una rivelazione biblica stampata su pixel colorati. Il che, onestamente, lo è se si immagina il primo impatto della scoperta dei computer nelle famiglie di tutto il mondo, per la nostra in particolare era come avere una lampada magica super costosa e dagli strani suoni o un oracolo da consultare con le diverse domande che crescevano nella nostra mente.

Dopo un approccio incerto e guidato, iniziai a utilizzare il PC da solo ma senza usufruire della rete, non sapendo come si potesse fare. Esplorai così i programmi che già c’erano all’interno del disco rigido e scoprii che esisteva un’area “giochi”, luogo in cui avrei chiaramente soddisfatto i miei più reconditi desideri di bambino. Avevo già vissuto il flipper in tutte le sue forme e i giochi di carte non erano esattamente un’attrattiva specialmente se potevo andare da mia nonna a due passi da casa e tirare fuori i mazzi Modiano.

Ed è tra un Solitario e un Campo minato che trovai il videogioco che fece scattare davvero il mio amore per il PC: MDK2. Non sono così vecchio da aver giocato il primo e a sei anni della narrativa mi fregava meno di zero, ma bastò l’introduzione fatta a fumetti e dalla voce radiofonica prettamente americana per non farmi più togliere gli occhi di dosso dallo schermo. Capivo essenzialmente che c’erano dei mostri alieni da combattere e un uomo dallo strano cappello doveva fronteggiarli insieme a uno scienziato pazzo e a un cane armato fino ai denti, con quattro braccia e perfino fumatore. “Figata, continuo subito” pensai, probabilmente incurante del doppiaggio italiano al limite dell’accettabile. Ma se abbiamo apprezzato Half Life 2 e il suo storico “Si Svegli”, non possiamo davvero sindacare più nulla.

In un breve dialogo dove si festeggiava la respinta invasione precedente, si viene a scoprire che gli alieni in realtà sono ancora vivi e una gigantesca astronave mineraria stava radendo al suolo Edmonton proprio mentre i protagonisti brindavano. Kurt e la sua tuta a molla dal design straordinario si precipitano letteralmente sul veicolo nemico, irrompendo nella sua corazza e atterrando grazie a un paracadute costituito da quattro fili in barba a qualsiasi legge fisica. Ma nessuno si faceva domande a quell’epoca e già il tutorial mi teneva impegnato con l’ostilità dei comandi di gioco, tanto che nelle prime partite ci rimanevo bloccato per via della dannatissima visione da cecchino, uno degli errori più madornali di MDK2 nell’ottica da sparatutto.

Eppure quello strano gioco mi prendeva per la sua filosofia comprensibile anche a un bambino, per quella sequenza d’atterraggio così moderna che perfino oggi continua a essere riutilizzata in diversi giochi. E poi il feeling dello sparo era eccellente, con tanto di valanga di bossoli che toccavano il suolo, capace di farti incantare anche solo a sparare con quella sorta di mitragliatrice versione dark del cannone di Megaman. Andando avanti nell’esplorazione della nave MDK2 si rivelava però essere anche qualcosa di lontano dagli sparatutto e più vicino ai platformer che hanno costituito la nostra infanzia, richiedendo al giocatore di saltare su piattaforme mobili, risolvere puzzle ambientali e affrontare qualche nemico di quando in quando. E su questo ero già ferrato con il dannatissimo Croc, il mio primo incubo nei confronti di elevazioni e salti.

Il tutto era gestito con la giusta dose di humor, elemento vincente del titolo sviluppato da BioWare e più volte ripreso anche in futuro, specialmente quando si tratta di guardare altri progetti dello stesso genere. Ma MDK2 aveva quell’anima speciale, l’esagerazione che distingueva ogni aspetto dei personaggi e del mondo di gioco. Insomma già Max faceva ridere di per sé, ma era la svogliatezza di Kurt il vero aggancio comico, ben lontano dall’essere un supereroe americano dagli alti valori morali. Se poi si aggiungono alieni dall’aspetto ridicolo che ti ostacolano in modi “creativi”, allora il cocktail per del bel divertimento è servito nonostante un cane con il sigaro in bocca e una mitragliatrice nella zampa non sia l’immagine perfetta per un bambino. Naturalmente me ne infischiavo e andavo avanti, battendo livello dopo livello tra non poche difficoltà.

Le stesse che incontrò anche il team di sviluppo, trovandosi di fronte a tantissimi progetti e senza la più pallida idea che il piccolo MDK diventasse un fenomeno così richiesto da dover produrre il seguito. La gestazione veloce si avverte in ogni livello, nonostante qualche idea geniale come la possibilità di usare tutti e tre i protagonisti in sezioni molto diverse tra loro. Futuristico come elemento di gameplay, ma non abbastanza da dare spessore all’operazione e alle sue idee poco pratiche dal punto di vista ludico. E poi, insomma, con i lavori sul Baldur’s Gate non si può davvero biasimarli se il loro spirito non era proprio verso il seguito alla mano.

Al netto del suo travagliato parto, MDK2 oggi rimane avvolto da un manto nostalgico che nasconde i suoi difetti più grandi. Come i miei occhi da bambino vedevano allora, oggi per me il valore affettivo è così grande da potermelo far apprezzare anche dopo tutti questi anni e un mio disgusto viscerale verso la retrò-mania. Ciononostante, quando si tratta di un qualcosa che influenza così tanto il tuo vissuto, ti ritrovi ad andare contro le tue stesse convinzioni pur di strapparti un sorriso in onore dei tempi andati, lo stesso che si delinea ogni volta che vedo quel buffo casco a punta senza alcuna spiegazione logica, accompagnatore di numerosi pomeriggi decisamente lontani dai compiti e dal dovere dello studio.

Ecco, se dovessi definire il fenomeno di MDK2 è esattamente quel gioco che volente o nolente ti fa capire che forse non hai davvero voglia di studiare, la tentazione suprema che i genitori tentano di combattere con il buon vecchio “prima il dovere e poi il piacere” che non ho mai ascoltato più di tanto, errando su tutta la linea ma comunque studiando quanto bastava. Almeno credo. MDK2 era proprio il mio primo piacere fuori dalla sfera fisica dei giocattoli di Small Soldiers, quello che mi ha portato alla scoperta del PC e che mi ha raccontato un’invasione aliena tramite un numero bassissimo di poligoni, capace di non farmi annoiare anche dopo numerose ore di fallimenti nel tutorial neanche fosse un precursore di Dark Souls. Non credo si possa davvero chiedere di meglio come inizio del secolo e come primissimo approccio al mondo informatico, marchiato così tanto a fuoco da essere la mia unica ancora mnemonica verso un’infanzia che giorno dopo giorno fatico a ricordare lucidamente.

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