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Breaking point: la salute mentale nello sport non è più un tabù

Sarebbe troppo facile paragonare il nuovo episodio di Untold, la serie di docufilm che Netflix ha dedicato al mondo dello sport, a quello che è probabilmente (dico probabilmente solo per una questione di pudore) uno dei capolavori più recenti della letteratura mondiale: sto parlando naturalmente di Infinite Jest, il libro che più di ogni altro ha segnato la storia personale e professionale di David Foster Wallace.

Ma, esattamente come il libro lo fa con le parole, anche la storia di Mardy Fish racconta per immagini quello che è uno degli aspetti più nascosti e spesso volutamente sepolti dello sport professionistico: vale a dire l'enorme peso nervoso che queste discipline esercitano sui talenti più promettenti, spesso costretti sin dalla più tenera età a sottostare a regimi militari di allenamento/addestramento in cui è bandita ogni forma di debolezza.


Facciamo un passo indietro e introduciamo i personaggi. Sullo sfondo del racconto c'è Roger Federer, che è senza dubbio il più grande tennista della storia: lo è per numero di titoli vinti su tutte le superfici, lo è per il suo stile di gioco, per i suoi colpi, per la capacità che ha avuto di cambiare ed evolvere nel corso di una carriera impressionante (che è agli sgoccioli ma non è ancora ufficialmente terminata). Guarda caso, anche David Foster Wallace ha raccontato Federer trasformandolo in un semidio quando per altro Roger non aveva ancora mostrato tutto quello che noi oggi sappiamo. Roger Federer, dunque, è il più grande tennista della storia: di fronte a lui sta per scendere in campo a Flushing Meadows negli ottavi di finale degli US Open, quarto torneo del Grande Slam, Mardy Fish. Che è il vero protagonista del racconto: americano, in quel momento numero uno nazionale, si accinge dopo un anno di vittorie a sfidare la supremazia di King Roger.

Quell'incontro, in realtà, non verrà mai disputato. Mardy, pochi minuti prima di dare il via alle danze, comunicherà alla Federazione statunitense che si ritira dal torneo: non perché abbia un problema fisico, è più in forma di quanto non sia mai stato nella sua vita, ma perché i suoi nervi hanno ceduto. Mardy, con coraggio, ammette che qualcosa non va: se ne va nel momento migliore della sua carriera perché è impossibile per lui sopportare un minuto di più sul campo da tennis, perché quello che quando era bambino era iniziato come un gioco si è trasformato in una tortura. Mardy ha improvvisamente capito che la sua battaglia per non mostrare debolezze in campo e fuori, che dura sin dall'adolescenza, è finita: ha preso una decisione, ha deciso di rompere la ruota del criceto e di affrontare i suoi demoni. Di fatto la sua carriera da professionista, iniziata nel 2000 a 19 anni, finirà lì.

Mardy Fish da quel momento in avanti inizierà a vivere la sua vera vita da adulto. Gli sarà diagnosticato un grave caso di ansia, si sottoporrà persino a un intervento chirurgico per correggere un problema cardiaco legato alla sua patologia, inizierà un complicato percorso di terapia per affrontare il problema. La pressione a cui è stato sottoposto per anni ha finito per farlo scoppiare: esattamente come accade tra le pagine di Infinite Jest, da ragazzo è stato in uno delle molte accademie per tennisti che ci sono in giro per il pianeta, luoghi in cui si gioca a tennis e nei ritagli di tempo si vive. Certo il racconto di DFW porta all'estremo una condizione che lo scrittore stesso, che per poco non è diventato tennista professionista, ha vissuto: quella di giovane promessa che deve a tutti i costi realizzare le aspettative che tutti ripongono nel suo talento.

C'è un altro tennista, uno dei più forti di sempre, che ha ammesso di aver provato qualcosa di simile nel corso della sua carriera proprio a causa delle aspettative e delle pressione subite sin da quando era un bambino: è Andre Agassi, pure lui atleta a stelle e strisce, ma lo ha fatto solo nella sua autobiografia (scritta da J.R. Moehringer) quando ormai le competizioni erano un ricordo del passato. Nel frattempo, si era costruito una seconda esistenza in compagnia di Steffi Graf e ora a quanto dice non soffre più le pene dell'inferno su un campo da tennis: ma non apriamo questo capitolo, altrimenti questo breve articolo si trasformerà in un attimo in Infinite Jest con mille note a piè di pagina.

La storia di Mady Fish, lo racconta bene il documentario Netflix, avrà una conclusione molto diversa dalla storia di Infinite Jest (e molto diversa anche da quella di Andre Agassi). Valeva la pena di essere raccontata, e valeva la pena sottolineare il coraggio avuto dal tennista statunitense che è stato il primo a scoperchiare una questione che è quanto mai attuale: basti pensare a quello che sta passando Naomi Osaka, multata dal torneo in cui stava giocando per essersi rifiutata semplicemente di presenziare alle conferenze stampa proprio a causa di un disagio psicologico (poi avrebbe spiegato di soffrire di depressione dal 2018). È senza ombra di dubbio il migliore dei capitoli fin qui rilasciati da Netflix in questa serie, tutta dedicata a fatti poco noti della storia dello sport: non perdetevi neppure l'episodio dedicato all'hockey e quello sul decathlon, sono la dimostrazione che Netflix può essere un ottimo palcoscenico per storie che valga la pena raccontare.

Fonte immagini: Netflix

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