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Black Mirror — Terza Stagione: Il Pagellone

La terza stagione di Black Mirror è stata annunciata dalla più bella e involontaria operazione di marketing virale che una serie così potesse sperare: un massiccio attacco DDOS che ha resto Netflix e la maggior parte dei siti che visitiamo ogni giorno inaccessibili per qualche ora. Un attacco che ha avuto successo anche grazie alle centinaia di dispositivi “smart” che abbiamo in casa e che sono più vulnerabili di uno sbronzo girato di schiena con le cuffie. Come sempre, ogni episodio racconta una storia completamente diversa che mescola distopia, nuove tecnologie, social network e dinamiche sociali in un grande murales con su scritto “Facciamo schifo e andrà sempre peggio”, il problema è che ormai Black Mirror è passato dalla fantascienza al documentario, tanto che non ho ben capito se è Charlie Brooker a ispirarsi alla realtà o viceversa. La cosa che più mi spaventa è anche la mia assenza di spavento. La realtà in cui viviamo mi ha quasi del tutto desensibilizzato a una sana paura del futuro.

Vabbe’, pagellone?


03X01 — Caduta Libera: Immagiate che Facebook acquisti TripAdvisor e ci permette di votare le persone attorno a noi, rendendo palese la divisione in classi sociali attraverso un numeretto e dandoci la possibilità di sfogare pregiudizi, scazzi e frustrazioni personali affibbiando un bell’uno al tizio che ci ha spintonati per strada e dando cinque a qualcuno di famoso che vogliamo impressionare, insomma esattamente come facciamo ora coi like. Una camionista che bestemmia avrà una stelletta, una coppia ipocrita e sorridente che sembra uscita dalla pubblicità di Tommy Hilfiger, e a cui daresti fuoco da dove prendono meglio, cinque. Più alto è il voto, maggiori sono i tuoi privilegi sociali, compresi il saltare le code e alloggi migliori. Il risultato è una sorta di paradiso ipocrita che sembra preso dal video di Black Hole Sun in cui lo smartphone diventa un’arma di pressione sociale. Un collettivo stallo alla messicana in cui tutti sorridono. La deriva dei social, la ragione a colpi di like e la modifica delle nostre dinamiche è forse uno dei temi più abusati della serie, ma i colori pastello, la finta risata di Bryce Dallas Howard, la leggerezza con cui viene progressivamente umiliata per motivi futili e il pensiero che potrebbe tranquillamente succedere sul serio fra qualche hanno la rende una delle puntata più angoscianti della serie. Peccato per quel finale liberatorio che trasforma l’offesa in liberta e che stride parecchio con tutto il resto. Ciò che ci viene mostrato è ciò che succede portando all’estremo la facilità di giudizio e il bisogno di essere accettati che viviamo in questi anni. Se la cosa vi fa paura, sappiate che in Cina la stanno già testando. Voto 9 anzi, cinque stelline.


03X02 — Giochi Pericolosi: I videogiochi che in qualche modo analizzano le reazioni dell’utente e si regolano di conseguenza non sono una novità. Qualche anno fa Left 4 Dead ti scagliava addosso orde di zombi se si rendeva conto che eri troppo prudente, ma in questo caso parliamo di cosa potrebbe succedere dando mano libera a personaggi come Hideo Kojima o Keiji Inafune in un mondo che sta cercando di farci giocare sempre di più con realtà aumentata e virtuale. Fra tutte le storie è probabilmente la più debole come ossatura, ma questo non vuol dire che non sia comunque girata e pensata con gran cura, soprattutto nei colpi di scena stile Inception della fine. Personalmente ho trovato lunga e inutile l’introduzione e fastidioso il protagonista. Mi è sfuggito anche quale vorrebbe essere il messaggio di fondo: chiamate vostra madre prima che sia tardi e un gioco vi frigga il cervello? Se vi dicono di spegnere il cellulare fatelo? Se sei una di quelle persone che viaggia tanto e se ne vanta meriti una pessima morte? Comunque ormai è solo questione di tempo prima che qualcuno muoia per lo spavento di un survival horror virtuale e quel qualcuno potrei essere io. Voto 7 Prossimamente in un articolo sui videogiochi violenti de Il Corriere


03X03 — Zitto e Balla: Fondamentalmente l’arte del trolling applicata alla giustizia sociale. Anche qua il tema è abbastanza noto alla serie: vergogne private esposte al pubblico, invasione della privacy, sorveglianza sociale e il prezzo dei nostri errori. In questo caso tuttavia c’è un ulteriore livello di cattiveria, visto che fino all’ultimo pensiamo che sia solo un ragazzino che si vergogna a farsi vedere mentre si fa una sega, mentre di fatto stiamo guardando un giovane pedofilo disposto a qualunque cosa per uscirne pulito. Fra tutti gli episodi è probabilmente quello più cattivo, angosciante e privo di ogni via di scampo, ma questo lo scopriamo solo alla fine, quando la più classica delle Trollface ci svela che è tutto un crudele scherzo, una prolungata tortura anonima che ha coinvolto anche persone che avrebbero potuto chiedere aiuto alla polizia e che non hanno fatto niente di illegale, ma dato che viviamo in un era in cui compiere un crimine è l’ultimo dei problemi, hanno avuto troppa paura delle conseguenze. Anche se sono quelli con le colpe più grandi a pagare il conto più salato, tutti alla fine devono pagare, perché quando la tua vita finisce in mano a qualcuno che non conosci il lieto fine non esiste. D’altronde Bronn, qua nei panni di un uomo d’affari che ha voluto provare l’ebrezza di una prostituta ventenne lo dice chiaramente qual è il messaggio della puntata: “Non c’è cura per l’internet”. Voto 8 Da far vedere a tua figlia se non vuoi che mandi foto in giro


03X04 — San Junipero: Puntata totalmente fuori dagli schemi della serie per due motivi: per la maggior parte del tempo la tecnologia è assente e tutto finisce bene, anche se la gente muore. Probabilmente gli autori hanno pensato che a battere troppo il tasto del pessimismo prima o poi qualcuno si buttava di sotto. Puntata anche estremamente paracula, visto che gioca per tutto il tempo con l’estetica, la musica e i videogiochi anni ’80. Visto e considerato che lo spettatore medio di Black Mirror è un nerd sui 30, 40 anni il trucchetto è fin troppo facile, perché se citi i due finali di Bubble Bobble sai che lo apprezzerò, maledetto Charlie Brooker. Ma a noi onestamente non ce ne frega niente se per una volta vince la nostalgia facile, perché dopo le visioni paranoiche di mille futuri possibili in cui tutti finisce in merda per una volta ci va anche bene assistere a una storia d’amore ed eutanasia. Il cast è allegoricamente perfetto: Gugu Mbatha-Raw è il simbolo di una vita vissuta a pieno, senza rimpianti, con sfrontatezza e passione, Mackenzie Davis è l’amore che non conosce malizia, quella compagna di classe impacciata a cui batteva forte il cuore se qualcuno la guardava, che faceva tappezzeria nei balli solo perché era lei a scappare. Il resto è una riflessione sul ricordo, sul fine vita, sull’andare avanti, ma soprattutto sull’amore. Chiunque abbia avuto una relazione sa già che forse le protagoniste non si ameranno sempre alla follia per l’eternità, ma in questo momento non ci pensiamo, ci godiamo il momento, sperando che questa volta sia per sempre. A pensarci bene però questo è forse l’episodio più triste: questa tecnologia è la meno fattibile, i morti restano morti e l’oblio è ciò che ci aspetta. Solo Black Mirror poteva mettere il lieto fine nella tecnologia più irrealizabile della serie. Voto 8 Il paradiso può attendere


03X05 — Gli uomini e il fuoco: Forse la puntata in cui il metaforone e più palese e spiegato di tutte: un soldato efficiente non è quello con l’arma più grossa, ma con la coscienza più piccola, quello che spersonalizza così tanto il nemico da non vederlo più neppure come un essere umano. Tuttavia, anche il condizionamento mentale più efficiente non riesce a impedire traumi psicologici post bellici che consegnano alla società individui danneggiati e difficili da reinserire. La soluzione? Un sistema di realtà aumentata che visualizza gli umani come mostri indegni di alcuna pietà, che ti impedisce di sentirne le parole ed elimina l’odore del sangue. Il resto del mondo non deve fare altro che stare al gioco e far credere ai soldati che è tutto così. Se la cosa vi ha fatto salire il Chomsky il motivo è abbastanza semplice: per fare una buona guerra il nemico dev’essere spersonalizzato, svestito di ogni umanità, dev’essere una bestia del quale non capisci la lingua e della quale non ti interessano le motivazioni, se non per il fatto che sicuramente vuole solo ucciderti. Ogni riferimento a persone di religione musulmana è chiaramente voluto. Ma non è finita qua, perché quando il nostro eroe si rende conto degli orrori ha partecipato in maniera inconsapevole viene incarcerato per evitare che parli, un po’ come Chelsea Manning e quando torna a casa si trova di fronte a un luogo ormai privo di vita, distrutto, come l’esistenza di molti soldati, ma a lui che gli frega, tanto si è fatto rimettere nel sistema e vede una bella ragazza che lo aspetta. Buoni personaggi, tra i quali un sempre ottimo Michael Kelly, non male la regia sui toni freddi, che fa ottime cose con un set chiaramente poverissimo e recuperato in qualche sobborgo post-industriale fuori Londra. Voto 7 I mostri siamo noi


03x06 — Odio Universale: Sapete qual è la vera moneta di internet? L’indignazione. Il nostro potere npon è deciso dal numero di persone che ci seguono, ma da quante ne facciamo arrabbiare quando apriamo bocca. Per tutto l’episodio non ho potuto fare a meno di pensare quanto avessi sbagliato nel mettere alla gogna gli imbecilli che postavano stronzate post terremoto, non tanto per una questione del dargli visibilità, ma perché alla fine ero soltanto l’ennesima scimmia urlatrice in un baccano generale che non aggiungeva né toglieva niente al dibattito. Fondamentalmente la puntata ci racconta di cosa succederebbe se potessimo uccidere Selvaggia Lucarelli, se i suoi fan potessero uccidere quelli che hanno dato della zoccola a Tiziana Cantone, se avessimo potere su quelli che ci spoilerano Game of Thrones, sulla moglie di Renzi che si permette di non fare lezione per una cena con Obama, su Adinolfi, gli antivaccinisti, su chiunque secondo noi semplicemente se lo merita. Perché tanto è facile trovare qualcuno che fa una stronzata, la mette su internet e sbaglia al 100% no? E non parliamo magari di cose veramente gravi, magari è una dichiarazione sbagliata, magari è un foto poco opportuna, non basta tanto per scatenarci. Quando il direttore de Il Resto del Carlino è stato licenziato per la questione delle “cicciottelle” chi non ha provato un piacevole brivido di potere che gli ha anche messo un po’ di paura? In fondo che c’è di male quando ci auguriamo che qualcuno muoia o venga sottoposto a qualche forma di tortura medievale? Per noi sono solo parole su internet, mica stiamo veramente uccidendo nessuno no? Mica siamo quei bulli che se la prendono con un ragazzino gay, noi siamo nel giusto, la nostra indignazione è legittima. Che importa se qualcuno perde il lavoro, passa mesi in analisi o magari si ammazza? Che importa se qualcuno legge tutte quelle minacce di morte e pensa che bisogna passare ai fatti? Detto questo la detective con i capelli scuri aveva un accento gallesescozzese così fastidioso e accentuato che l’avrei strozzata. Voto 9 I mosti siamo noi, parte 2

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