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Banners of Ruin ci ricorda perché gli animali in salsa fantasy non annoiano mai

Da qualche anno a questa parte sta proliferando un genere particolare che mischia le meccaniche crudeli di Darkest Dungeon a quelle altrettanto sadiche dei giochi di carte. Slay the Spire, uno degli esponenti maggiori, è stato l'apripista per tale formula, riscuotendo un importante successo e accalappiando i giocatori con statistiche, fortuna, mazzi e sfide davvero difficili da superare.

Così, come di solito accade, sono nati diversi altri progetti che ne hanno preso la forma e l'hanno evoluta secondo le loro ispirazioni. In particolar modo, come testimonierò tra poco, è soprattutto l'artisticità a essere il maggior punto di divergenza, per via del fatto che comunque parliamo di giochi di carte e nessun progetto definibile come tale potrebbe vivere a lungo senza la bellezza delle figure.

Ed è dalla direzione artistica che il nuovo Banners of Ruin mi ha avvicinato fin dal primo contatto. Ammetto di avere un debole per le rappresentazioni fantasy al cui centro ci sono animali dal comportamento umano, specie se sono di così ottima fattura da ricordarmi l'altrettanto eccellente Armello. Volente o nolente, è un campo dove la creatività esce fuori soprattutto perchè le dinamiche tra le specie tracciano dei solchi precisi nella caratterizzazione dei personaggi, immaginando topoi come un fiero lupo che fa da guardia cittadina o una donnola versata nelle arti della furtività. Scenari riconoscibili, familiari, che però cambiano a seconda della penna di chi li immagina quanto basta per attirarci in nuove avventure.

Premetto fin da subito che il cammino di Banners of Ruin immaginato da MonteBearo è ancora lungi dall'essere completo, tuttavia quanto di quello che è già presente nell'accesso anticipato basta per capire le fondamenta del gioco e la qualità degli intenti. Alla base c'è il fantastico più classico della partita a ruoli, affibbiati a un manipolo di animali dalle diverse professioni e caratteristiche. Ognuno di loro ha un mazzo preciso con meccaniche particolari, le quali valorizzano il background "narrativo" e coinciliano il design estetico con le capacità del gruppo da costruire elemento per elemento. Per via di tale ragione, Banners of Ruin avrà partite sempre diverse, il che per me è solo un pretesto per andare a cercare tutti gli artwork inclusi nel titolo.

Non fraintendemi però: Banners of Ruin funziona benissimo come gioco, ha una gestione delle risorse ben studiata, punitivo quando serve, glorioso nelle rare occasioni e quel pizzico di brivido di ruolo quando bisogna scegliere il cammino da seguire dalla risma di tre carte che decide la storia di volta in volta. Ma il fascino del tratto artistico, l'iconografia delle carte e la gestione delle razze sono davvero il motivo maggiore con cui spendere le ore in Banners of Ruin, specialmente se si percepisce il grande amore per il fantasy che il team di MonteBearo vuole omaggiare.

Le note delle musiche sono uno dei primi indicatori della lettera di omaggi alle avventure vecchio stampo, ricche di toni leggiadri che cadono in gravosu tamburi durante le singolari Boss fight di gioco: l'apice della singola run e il momento in cui sarete costretti a testare il vostro mazzo. Accompagnati da una colonna sonora mai fuori forma, avrete a che fare con guerrieri veramente tosti capaci di tirar fuori la strategia innata di Banners of Ruin, forse un po' manchevole negli scontri considerati "da farming". Anche in questo caso al giocatore spetta scegliere quando e come affrontare il boss, entro un certo limite di tempo fisiologico.

In tutta onestà, e fugando ogni dubbio, Banners of Ruin meriterebbe il suo prezzo anche adesso, dimostrandosi molto più completo di altri giochi in accesso anticipato. C'è così tanta cura e voglia di portare un prodotto performante - comunque nel mezzo di un cammino già tracciato da altri - che è davvero difficile trovare appigli per non consigliarlo. Specialmente se, come me, di tanto in tanto volete rifarvi gli occhi con l'abilità di qualcuno che non vuole passare al 3D per riporre tutta la sua fede nel disegno digitale (e a mano). E il risultato, alla fine, parla davvero da solo.

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