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Atypical – Raccontare (anche) la diversità senza retorica

Nel 2017 è approdata su Netflix una serie prodotta proprio dalla piattaforma di streaming più famosa al mondo: all’apparenza sembrava l’ennesimo racconto delle (dis)avventure di una famiglia della media borghesia statunitense, ma già dai primi minuti, questo piccolo gioiello ha dimostrato di saper essere molto di più.

Atypical vede protagonista la famiglia Gardner, composta dal padre Doug – un paramedico –, la madre Elsa – casalinga –, il primogenito Sam – che noi conosciamo all’ultimo anno del liceo –, e la secondogenita Casey – più piccola di un paio di anni rispetto al fratello maggiore, che frequenta la stessa scuola in cui è un talento dell’atletica leggera.
Tutto nella norma, direte voi. E invece no, perché Sam è affetto dalla Sindrome di Asperger, un disturbo dello sviluppo molto vicino all’autismo che impone al  ragazzo una routine molto serrata, che prevede un’esposizione minima ai rapporti sociali (e alla folla o ai rumori in generale), un supporto molto presente
da parte della famiglia e, in generale, una serie di paracaduti che servono a fornirgli la giusta sicurezza per vivere la quotidianità nella maniera più vicina possibile a quella di chiunque altro.

Per darvi un’idea più precisa di cosa voglia dire questa sindrome, vi basti sapere che a chi è affetto dall’Asperger, anche delle azioni semplici come dormire fuori casa, fare la spesa o scegliere dei vestiti nuovi possono diventare ostacoli insormontabili.

Il cinema e la tv hanno già affrontato le tematiche legate alla diversità in generale e all’autismo in particolare in tantissime pellicole – alcune delle quali molto intense. La rappresentazione della persona affetta da Sindrome di Asperger non sempre è stata fedele alla realtà dei fatti, anche per sottostare alle esigenze di copione imposte dal ritmo di un film. Spesso, proprio per questo, gli aspetti più difficili legati alla Sindrome sono stati edulcorati o resi al minimo, esaltando al
contempo l’intelligenza delle persone in questione, facendone, in sostanza, dei geni problematici.
Il mio piccolo genio o The accountant vanno in questo senso: ottimi film dal punto di vista narrativo, un po’ meno per quanto riguarda l’aspetto del realismo.

Anche sul piccolo schermo, la tendenza non è stata diversa: basta prendere in esame la serie The big bang theory, il cui innegabile successo e la cui qualità (almeno nelle prime stagioni) sono fuor di dubbio. Anche nel caso in questione, la rappresentazione dell’Asperger tiene conto solo degli aspetti che a un primo approccio potrebbero essere divertenti: Sheldon ha un suo punto del divano dove sedersi ogni volta, pretende che la sua routine venga rispettata da tutti, riduce gli imprevisti al minimo e così via.

Sul fronte opposto, invece, vanno evidenziati quei film e quelle serie tv che hanno dato una visione corretta – con tutte le difficoltà, i momenti bui e gli ostacoli – che una diversità come questa comporta, seppur a livelli diversi.
In prima battuta non è possibile non citare Rain Man, film del 1988 diretto da Barry Levinson che vede protagonisti Tom Cruise e Dustin Hoffman, che impersonano rispettivamente il fratello minore e maggiore. Quest’ultimo soffre di una grave forma di autismo che lo spinge a isolarsi dal mondo esterno, con cui comunica con un linguaggio e un codice tutto suo.

Il film non lesina sulle crisi che ha Raymond – questo il nome del personaggio interpretato da Hoffman – durante il viaggio che compie insieme al fratello. L’opera di Levinson ha avuto diversi riconoscimenti a livello internazionale, tra cui quattro Oscar, due Golden Globe,
un Orso d’oro e due David di Donatello.

I momenti difficili di questa sindrome nelle serie tv sono spesso ignorati o raccontati in una maniera piuttosto semplicistica.

Community è un altro esempio di rappresentazione piuttosto corretta della Sindrome di Asperger. Lo show, della durata di sei stagioni, ha tra i suoi protagonisti Abed Nadir, uno studente di filmografia di origini palestinesi e polacche, grande appassionato di serie tv. Abed manifesta alcuni dei classici sintomi che la sindrome si porta appresso: difficoltà relazionali, inespressività del volto, scarsa manifestazione dell’empatia. Nonostante questo, gli sceneggiatori non fanno mai un espresso riferimento all’autismo, nel corso della serie ed è stato solo il pubblico – nel corso della messa in onda di Community – a evidenziare la cosa.

Più di recente – nel 2016 – è stato un documentario a riportare l’attenzione sul tema. Life, Animated (disponibile su Rai Play cliccando qui), candidato agli Oscar nel 2017 come miglior documentario, segue la storia di Owen, un ragazzo affetto da autismo che riesce a comunicare con il mondo esterno solo grazie ai cartoni animati della Disney.

Attraverso il linguaggio dei classici Disney, Owen trova, infatti, un canale comunicativo con la famiglia prima e con il mondo poi, riuscendo anche ad arrivare a diplomarsi. Un traguardo semplice per la maggior parte delle persone ma che può essere irraggiungibile per chi ha ricevuto una diagnosi come quella che Owen ha avuto all’età di tre anni. Life, Animated ha l’innegabile pregio di narrare gli eventi accaduti a Owen e alla sua famiglia senza alcun filtro, facendo arrivare allo spettatore sia le gioie dei piccoli ostacoli faticosamente superati sia il dolore delle difficoltà quotidiane.

L’approccio di Atypical trae la sua forza proprio dalla rappresentazione veritiera (per quanto possibile in uno show televisivo) della sindrome di Asperger.
Sam, infatti, si sforza di compiere delle azioni che lo aiutino a compiere i passi necessari alla naturale evoluzione dall’adolescenza all’età adulta: uscire con una ragazza, dormire a casa di un amico, scegliere l’università e così via. Il tono di Atypical è – quasi – sempre scanzonato, rispondendo alle esigenze di una commedia familiare.

Nonostante questo aspetto, però, non mancano le scene di crisi di Sam, che spesso deflagrano sullo schermo riportando lo spettatore alla realtà dei fatti: l’autismo è una sindrome molto complicata, con scarsissima conoscenza da parte del pubblico e pochissima formazione sull’argomento anche da parte degli specialisti.

Atypical non fa sconti.

Atypical non fa sconti, quando si tratta di narrare i momenti più difficili della sindrome di Asperger, sia quando impattano direttamente su di lui (le cosiddette crisi a cui il ragazzo inevitabilmente va incontro), sia quando riguardano il modo in cui la sua famiglia – o gli amici – devono rapportarsi a lui.

Proprio le scene in questione, tra modalità buffe con cui la sorella Casey o l’amico Zahid trovano il modo di entrare in contatto con Sam o la difficoltà di accettazione del problema rappresentato magnificamente dal comportamento del padre Doug, sono tra le più intense e toccanti di tutte e due le stagioni.
E ci dicono, quindi, che rappresentare un problema così grande in maniera veritiera ma anche piacevole da seguire e vedere è possibile.

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