La serie tv Snowpiercer parte dalle medesime premesse del film del 2013 di Bong Joon-ho, a sua volta tratto dalla graphic novel di Jacques Lob e Jean-Michel Charlier. L'operazione di ampliamento della storia ha totalmente senso, visto che il precedente adattamento conteneva una quantità succosissima di spunti non elaborati, ora liberi di svilupparsi su un tempo iper dilatato di dieci episodi da una quarantina di minuti ciascuno. Troppi? Probabilmente sì, come è già emerso dai primi cinque episodi che abbiamo visto in anteprima.
Le premesse, dicevamo. Apocalisse via ghiaccio: la Terra devastata dal riscaldamento globale viene bombardata di ghiacchio per tentare di abbassare le temperature, ma l'esperimento sfugge di mano e viene a crearsi una nuova glaciazione che riduce l'umanità a una manciata di sopravvissuti. Tra questi, l'élite dei più ricchi, che sovvenziona la costruzione di un treno incredibile a movimento perpetuo che gira il pianeta e tiene in vita quel che resta del genere umano. Oltre ai ricconi, riescono a salire sul treno anche alcuni coraggiosi senza biglietto, che verranno rinchiusi nella coda in condizioni di povertà e degrado assoluti.
Sullo Snowpiercer viene infatti ricreato alla perfezione il sistema socioeconomico pre-apocalisse, con una rigida suddivisione in classi e una spiccata predilezione per l'immobilismo. Alla base della piramide c'è la coda, dove risiedono i senza biglietto, coloro che semplicemente si sono rifiutati di morire e hanno assaltato l'ultimo vagone ritrovandosi con meno prestigio e rispetto degli animali da macello o degli ortaggi. Più avanti c'è la terza classe, sede dello staff di manovalanza e dell' ex bordello, il Nightcar. Segue la seconda classe, con i lavoratori più nobili e i quadri intermedi. Il treno culmina con la prima classe, lussuosa bolla di privilegio in mezzo al nulla, che coerentemente vive gravando sulle spalle della massa.
Tra coda e terza classe risiede infatti il 70% dell'intera popolazione dello Snowpiercer. Un'intuizione brillante che ha introdotto la serie è la sporadica ma possibile permeabilità tra le classi. Quelle più basse ovviamente. Se un abitante della coda riesce a non guardarsi indietro e ad aderire ai metodi della testa, può salire di livello e unirsi alla terza classe, rimanendo tra i disgraziati ma tornando quanto meno a vivere come un essere umano. Tra gli oppressi viene quindi ricreata la proverbiale guerra tra poveri, la competitività fittizia volta a mettere l'uno contro l'altro soggetti altrimenti tentati di fare squadra per riconoscere il vero oppressore.
L'atmosfera claustrofobica e scura del film viene riprodotta dalla serie tv soltanto in parte, poiché si rinuncia allo sprint esplosivo della battaglia in favore di uno stratagemma narrativo perfetto per introdurre lentamente i vari ambienti del treno: la detective story. Uno degli abitanti della coda era infatti un poliziotto della omicidi e viene "assunto" dall'invisibile Mr Wilford (il creatore dello Snowpiercer) per trovare il colpevole di un delitto avvenuto a bordo. Con Layton, scopriamo quindi la struttura interna di questo microcosmo su rotaie, andando ad approfondire molti degli spunti che il film aveva lasciato in sospeso.
Risulta però fin troppo palese che le indagini sull'assassinio sono soltanto un pretesto per esplorare i vagoni e alternare il racconto di testa e coda, e quando l'investigazione giunge alla sua organica fine, rimane l'impressione di aver assistito a un trucco nascosto in maniera sommaria. Nel frattempo i personaggi hanno comunque guadagnato in spessore e il vero mistero rimane un nodo centrale dello show, che presumibilmente ha ancora diversa carne da mettere al fuoco, dato che la stagione è composta di dieci episodi, oltre ad aver già confermato la seconda. Nella sua prima metà, Snowpiercer porta quindi a casa risultati altalenanti, ma ha dalla sua uno scenario di interesse sempre notevole e un sacco di tempo per aggiustare il tiro, per tornare al lavoro intrigante delle prime tre puntate.
Quello che è già possibile rimpiangere della precedente versione della storia è senza dubbio il pathos, l'angoscia e la sensazione di tragedia imminente che dava il film di Joon-ho, poi ribaltato alla grande nel finale. Gli oppressi della serie sembrano invece (convenientemente) orientati alla rivoluzione a lungo termine, quella fatta di infiltrati, contatti e lento accumulo di informazioni. Sono due opposti modi di fare la rivoluzione, entrambi validi, ma dall'impatto visivo e narrativo senza dubbio molto diverso.