Questa nuova graphic novel di Sergio Gerasi si apre con un titolo fortemente evocativo, “L’Aida”, che rimanda alla celebre opera verdiana messa in scena nel 1871, in Egitto, per celebrare la recente inaugurazione del Canale di Suez (al di là della dedica conclusiva dell'opera). La copertina, in cui abbiamo un primo assaggio dei meravigliosi colori di Valeria Brevigliero, ci mostra un’altra, ben più recente, opera d'arte collegata a Milano: “L.O.V.E.” (Libertà Odio Vendetta Eternità) di Maurizio Cattelan, esposta nel 2010 davanti a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa di Milano.
La fragile protagonista è prigioniera come l'Aida verdiana, ma ovviamente, in modo del tutto diverso: la sua cella è un mondo vuoto e scintillante che non riconosce come suo e che porta a dolorose patologie psichiche. Il suo sguardo diventa la chiave con cui osserviamo una Milano sospesa tra decadenza e spinte di riscatto, in cui la crudezza del declino postmoderno viene sferzata da Gerasi tramite lo sguardo sofferente e acuto della ragazza.
Il segno di Gerasi è al solito sottile, nervoso, vibrante, con una capacità raffinata di scavo psicologico accompagnato volutamente a una certa sarcastica caricaturalità teatrale nella resa delle pose e delle espressioni dei personaggi. Per quanto in questo lavoro autoriale, come già nel valido "In inverno le mie mani sapevano di mandarino" (2014), Gerasi segua una ricerca più personale, si potranno leggere anche echi del notevole Dylan Dog 404, e ancor più quelli di Mercurio Loi, dove similmente il suo segno era accompagnato da un uso raffinato del colore.
E il colore (come detto, di Valeria Brevigliero) ha una importanza fondamentale in questa storia. La trama infatti, brillante e ricca di idee e invenzioni, presenta anche aspetti piuttosto duri, che l’eleganza del segno di Gerasi sa smussare con quel filo di impagabile ironia di cui abbiamo detto. Il colore, invece, ci colpisce per la sua estrema ricchezza espressiva, cogliendo contrastivamente questa Milano allucinata nelle minime sfumature luministiche del giorno e della notte, evidenziandone la bellezza che rimane, nonostante tutto.
Un elemento che si interseca alla narrazione, perché la giovane Aida spesso si toglie gli occhiali per osservare il suo mondo solo nella pura estetica meravigliose del colore, senza forme (e la cosa si riflette nella rappresentazione visiva delle tavole, come ad esempio in 60-61). Una menzione merita anche il lettering, di Vanessa Nascimbene per Officine Bolzoni, che si sposano adeguatamente al segno del racconto, con balloon in forma di rettangolo smussato dal contorno nervoso e caratteri piccoli, in stampatello minuscolo.
Stupisce anche l’apparente preveggenza dimostrata da Gerasi, che mette in scena un Virus in grado di mettere in crisi il precario equilibrio di questo mondo che dietro una insicura arroganza vincente cela debolezze e assenza di senso. In questo caso il Virus non è chiaramente quello del Covid, ma il nome di un collettivo di giovani artisti antagonisti che utilizzano la loro arte per interventi di guerriglia culturale urbana (e qui i chiarisce il rimando in cover a Cattelan, tra l’altro). Con le loro operazioni “virali” evidenziano le contraddizioni della società, a partire dalla darsena milanese invasa da cuori di plastica, in un'operazione che ricorda un po’ quella dei neo-futuristi nel 2008, in Piazza di Spagna, con migliaia di palline colorate. Operazioni “virali” (nel senso social-mediatico del tempo, oggi espropriato di nuovo dal ben più terribile significato medico originario) che rompono il muro di annoiata indifferenza e spingono a ragionare perlomeno Aida, che si avvicina a quel mondo e tramite l’arte recupera una possibile ricerca di senso.
Come riflette Gerasi nell’intervista di Repubblica, il virus reale, il Covid, ha accentuato ulteriormente i problemi di dipendenza da una realtà virtuale (Netflix, Instagram) che egli evidenzia nell’opera, con riferimenti anche alle teorie di Luciano Floridi sull’Onlife e spesso fa capolino la figura di Vittorio Sgarbi, con lievi modifiche al nome, a commentare le varie operazioni artistiche del gruppo (se non l'avete ancora letta, fatevi un favore e regalatevi la meravigliosa analisi su Sgarbi di Cristiano Saccoccia). Al tema del difficile rapporto famigliare si affianca così anche quello delle relazioni con i pari: e se a volte c’è un rischio di sovraccarico retorico, va riconosciuto a Gerasi di non essere acritico nemmeno verso questi giovani ribelli antisistema, pur visti in una luce positiva.
Sempre su Repubblica, Gerasi evoca tra le sue fonti fumettistiche De Crecy, Chomet, Pedrosa (che però cerca di non seguire in modo diretto nel suo lavoro autoriale), mentre l’intervistatore Nicola Barone evoca Alberto Savinio per certi inserti fantastico-allucinatori. Invece, come modelli letterari per quest’opera Gerasi specifica il "Barone rampante" di Calvino, "Pastorale americana" di Roth e "l’Odio" di Kassovitz, ritenendo però profondamente diverso il risultato.
In effetti, di ognuno di questi romanzi può rimanere qualcosa: l’uso allegorico del fantastico da Calvino, il racconto di un contrasto generazionale sostanzialmente insanabile da Roth, la ribellione urbana da Kassovitz. Personalmente, nelle operazioni volte a decostruire il reale ci leggiamo anche qualcosa di "Fight Club" di Palahniuk, con meno violenza e più tecnologia, e a tratti ci avviciniamo quasi un prolungato episodio di "Black Mirror" di Brooker dedicato all’arte futuribile (specialmente nel finale, che mi ha ricordato il Christmas Special).
Ma "L'Aida", appunto, è più di una somma di citazioni e con nessuna ha un debito determinante. Grazie, anche, al forte specifico fumettistico, che offre ottime soluzioni al tema della visione che attraversa a più livelli tutta l’opera (come la protagonista, fotografa, vede sé, vede il mondo esterno, vede l’arte). Notevoli in particolare le tavole in cui i corpi vengono impietosamente sezionati, come sushi, dal frammentarsi della griglia (p.103), o si scompongono in simmetrie a sezione centrale come una moderna e terribile pala d’altare medioevale (p. 123).
Un fumetto, quindi, potente e coraggioso per la ricchezza, maturità e complessità di temi trattati, che nel finale si apre anche cautamente a una flebile speranza. Ritorna, con una ottima chiusa circolare, L.O.V.E. di Cattelan evocata in cover, con una evoluzione significativa che offre questa pars costruens conclusiva. Certo, tramite l’arte i Virus di Gerasi mettono in scena ricerca di libertà, odio e desiderio di vendetta verso la società che li incatena, e infine la tensione all'eternità tramite la potenza gesto artistico. Ma anche, alla fine, amore.