Alle 6.45 suona la sveglia per andare a lavoro. Cerco lo smartphone con gli occhi ancora chiusi mentre Vitas ripete il suo ritornello – è il tono della mia sveglia, sì–, chiedendomi mentalmente perché non posso semplicemente girarmi dall’altro lato e continuare a dormire. Preparo le ultime cose da mettere in valigia, chiudo a chiave l’appartamento a Milano e volo (si fa per dire) in provincia di Pavia. Vivo e lavoro lì. Saluto i colleghi, non prendo il caffè e mi metto subito all’opera. Pausa pranzo. Chiacchiere in corridoio. Riunioni lunghissime. Straordinari. Cena con i colleghi. Dormire. Repeat.
In una di queste mattine ove il sole splendeva, la vita era splendida ma io c’avevo da fare su Facebook, mi ritrovo sul feed nome e sinossi di una nuova serie su Netflix; Aggretsuko (Aggressive Retsuko), leggo, è insoddisfatta della sua vita personale e lavorativa e sfoga le sue frustrazioni al karaoke. Death metal, per la precisione. È la mia serie – pensai, avendo passato i miei anni migliori ad essere arrabbiata col mondo ascoltando i Dimmu Borgir.
Aggressive Retsuko è un personaggio della Sanrio, casa produttrice che ha dato i natali al più odiato/amato (in base ai gusti personali) simbolo kawaii per eccellenza della pop culture giapponese, Hello Kitty.
So cosa state pensando: infatti la prima reazione all'impatto con il nuovo titolo del servizio di streaming è un sonoro “cosa cazzo sta succedendo?”, mentre la seconda è il cercare di trovare il nesso tra il gattino bianco su sfondo prevalentemente rosa e un panda rosso che canta in growl “muori per sempre bastardo”.
Per tal motivo, eseguirò un piccolo flashback narrativo.
Hello Kitty nasce nel 1974 per mano della disegnatrice Yuko Shimizu. Il personaggio creato dall’autrice frequenta la terza elementare, ha una sorella gemella e rappresenta l’innocenza, la purezza, l’infanzia: Kitty White (questo il suo nome), è disegnata senza bocca quasi a voler rappresentare il mondo dentro di noi, quello che da piccoli raramente comunichiamo a parole e da grandi rimane custodito al nostro interno. È figlia di un generazione con valori semplici e sebbene il suo successo planetario l’abbia fatta arrivare su letteralmente qualsiasi cosa di vendibile al pubblico privandola forse della sua storia, Hello Kitty rimane un simbolo candido, che simboleggia al meglio parola e fenomeno kawaii.
Retsuko, invece, è una millennial all’anagrafe ma figlia di un’altra corrente di casa Sanrio, il 2015. È un panda rosso, ha 25 anni, single e del segno dello scorpione, lavora nel reparto contabilità di una grande azienda giapponese. Praticamente, un paio di livelli di spessore aggiuntivi rispetto all’iconica gattina e soprattutto un periodo storico un po' più complesso. Ed è per questo che qualsiasi lavoro si faccia, sentiamo subito un’affinità con la giovane ben prima di premere play. Ma ce n’è anche un altro, ovvero la presenza della parola “insoddisfazione” nella sinossi della serie.
Aggretsuko spicca tra i personaggi della Sanrio proprio per questo e viene scelta da Netflix per permetterle di raccontare una storia ora più che mai attuale; si trasforma quindi da anime con puntate da tre minuti ciascuna per un totale di 100 episodi andati in onda dal 2016 al 2018 ad una vera e propria serie di tutto rispetto prodotta dal servizio di streaming: 10 episodi da 15 minuti, che ci mostrano uno spaccato di vita. La sua, la nostra di riflesso.
Anche se dal punto di vista femminile possiamo prendere le cose mostrateci su schermo ben più letteralmente grazie ad un ben rappresentato sciovinismo maschile, chiunque può rivedersi in Retsuko sin dal primo momento, dai dialoghi interiori “conto fino a 10 e poi divento un’impiegata modello” alle insicurezze dovute all’età e al mondo circostante, dalle regole non scritte della società all'accumulo compulsivo di frustrazioni per mantenere un apparente equilibrio.
Se per molti sembrerà una banalità guardare Aggretsuko per via dei soliti pregiudizi attaccati addosso alle opere animate, ancora considerate prodotto per bambini o di puro intrattenimento, all'atto pratico ricorrere a un anime per mostrare uno spaccato su 'come funzioniamo in società' si rivela essere la soluzione ideale. Il cartone animato riesce a rappresentare perfettamente su schermo la nostra coscienza sotto forma di vocina nella testa, così come utilizzare l'escamotage di una sala karaoke per sfogarsi cantando in growl. Non è un caso che Retsuko usi il death metal come arma contro l'inevitabile frustrazione della vita da millennial single, al verde e con una vita sociale praticamente inesistente; non si tratta di urlo disperato come verrebbe da pensare ma una tecnica vocale che fa 'parlare la pancia' – sede ufficiale delle nostre ansie, della rabbia e dell'insoddisfazione – attraverso il diaframma, amplificandone il suono attraverso la gola.
Retsuko è una di noi, e dopo un po' di minuti non ci accorgeremo nemmeno di star guardando un panda, un maiale, un gatto ed una iena, ma ritroveremo somiglianze con i nostri capi, i nostri colleghi, determinate situazioni della vita di tutti i giorni. La vedremo barcamenarsi tra una routine fatta di lavoro e poco tempo libero, la necessità di incastrarsi nel puzzle complesso delle regole non scritte dell'essere umano, che indipendentemente dalla cultura d'appartenenza si ritroverà a dover far fronte alle aspettative della società.
La serie di Netflix raggiunge l'obiettivo: ci intrattiene con un prodotto ironico, raccontato dentro e fuori metafore e con una forte amarezza di fondo. Il messaggio più importante che Aggretsuko porta con sé è l'importanza e nello stesso tempo l'incapacità di essere sé stessi pur ritrovandosi in un'epoca in cui l'amplificazione della comunicazione ci ha permesso di arrivare virtualmente ovunque e a chiunque si voglia.
L'obbligo sociale che sentiamo nel dover rappresentare qualcosa, dall'impiegata modello alla donna in un'età fertile, dalla fidanzata modello all'amica posata; standard che ognuno di noi crea nella propria mente, frutto di statistiche personali e basati fortemente sulle nostre insicurezze. Ed è quando riusciamo a sollevare questo velo e lasciamo entrare qualcuno nelle nostre stanze karaoke segrete, che ci accorgiamo che essere noi stessi è l'unica cosa che possiamo fare per renderci la vita più facile, per permettere agli altri di approcciarci in maniera più genuina. Ma soprattutto, è quando scopriamo che anche coloro che vediamo come 'irraggiungibili' o modelli di vita sono esseri umani esattamente come noi, che le pressioni si fanno più leggere; ed a quel punto è un attimo, affinché ci si ritrovi attorno ad un tavolo, col microfono in mano. Fino alla prossima frustrazione.