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Westworld 3, episodio 6: robottoni di Schrödinger

Dopo una quinta puntata piuttosto dimenticabile, Westworld 3 si rimette in carreggiata con episodio 6, "Decoherence". Provando a cercare il significato di questa bizzarra parola, decoerenza, mi sono imbattuta in una sfilza di spiegazioni scientifiche che mi hanno procurato mal di testa.

C'entra il gatto di Schrödinger, credo. Dal poco che ho compreso, la decoerenza parrebbe essere una conseguenza della sovrapposizione di stati presenti in fisica quantistica, una condizione di imprescindibile simbiosi tra particelle e ambiente, di cui non esiste equivalente nella fisica classica, quella macroscopica. In attesa di un parere competente a riguardo, procediamo col poco che abbiamo appreso.

L'idea della sovrapposizione, o esistenza simultanea, di più stati non isolabili dall'ambiente circostante ci basta per aprire al grande macrotema dell'episodio, il concetto di identità e il suo essere prodotto di tutte le scelte del nostro passato. A introdurre in scivolata l'argomento ci pensa William, che ritroviamo nella struttura di cura dove stanno tentando di "aggiustarlo", appartemente con lo stesso metodo sperimentato su Caleb. La nuova terapia che affronta William, dopo aver fatto un delizioso discorso sull'entropia e sulla nostra missione di morte cosmica, lo costringe a confrontarsi, letteralmente, con tutte le sue passate versioni di sé.

C'è quindi William bambinio, quello che si innamorò di Dolores, il Man in Black, l'uomo d'affari e il disastro umano del suo presente, che quindi non è soltanto il punto di arrivo di un percorso evolutivo, ma la somma di diverse versioni dello stesso uomo, individuate in un preciso momento nel tempo, un po' come un backup. Messo di fronte ai suoi molti Io, William di nuovo si interroga sul suo ruolo nello svolgimento della vita. Gli è capitata o l'ha scelta? È libero e colpevole, o predestinato e innocente? La risposta non ci è ancora stata rivelata, ma pare che William, dopo aver assassinato tutte le proiezioni del suo passato, abbia avuto un'epifania.

Sul gioco di copie di sé e salvataggi, scorrono anche le parallele storyline di Maeve e di Charlottores. Proprio all'inizio dell'episodio, Serac parla a Maeve dicendole che gli host sono fortunati, perché non hanno passato, soltanto eterno presente, poiché tutte le informazioni e le versioni di loro stessi rimangono a disposizione nelle loro menti per sempre.

Penso che Serac dica un branco di boiate, ma sarà che lo odio, quindi sono di parte. In ogni caso, credo che il presente sia necessariamente determinato dalla presenza del passato. Se non esiste confine tra un momento concluso, e uno in svolgimento, come possiamo distinguere ciò che sta ancora accadendo da ciò che ci lasciamo alle spalle? Cosa è veramente considerabile passato? Qualcosa che è irreversibile? Magari insostituibile? In questo caso gli host avrebbero effettivamente meno passato, ma non nessun passato, perché anche loro posso essere distrutti in maniera definitiva.

Anche gli host devono fronteggiare le consegenze delle proprie scelte, come fa notare una vecchia versione di Dolores alla versione attuale di Maeve. Umani e host si stanno lentamente e violentemente sovrapponendo, condividendo i dilemmi filosofici ma anche la sempreverde paura della morte, della scomparsa, biologica o meccanica che sia.

Il popolo degli androidi è infatti sull'orlo dell'estinzione, mentre invece Serac e il suo buon Rehoboam stanno riportando il futuro della predeterminazione al suo iniziale allineamento. Solo due episodi ci rimangono per Westworld 3, e all'orizzonte ci sono una Maeve e una Charlottores super incazzate perché hanno appena perso affetti e alleati.

Io dico: lasciamo fare tutto al robottone Riot Control, così, solo un'idea... In ogni caso, sono felice che la stagione si stia liberando dell'iniziale focus sulle simulazioni e si stia addentrando a pieno del caos illeggibile delle menti. Microscopico e macroscopico, c'entrerà mica di nuovo il gatto?

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