Dieci anni fa, il 6 marzo 2009, usciva nelle sale cinematografiche il film di Watchmen. Diretto da Zack Snyder, adattava sul grande schermo il fumetto di Alan Moore e Dave Gibbons, pilastro centrale – accanto al Dark Knight di Frank Miller, uscito lo stesso anno – della decostruzione del supereroe, nel lontano 1986, vincendo anche il Premio Hugo per la fantascienza.
L'adattamento filmico ebbe una gestazione difficile: acquisiti i diritti già nel 1987, sulla scorta dell'immediato successo dell'opera, si iniziò a lavorare concretamente al film verso la fine del 2005. Con gli anni 2000 si era avuta una rinascita del genere supereroico, e le opere di Alan Moore erano state oggetto di molteplici adattamenti, tutti molto infedeli, poco apprezzati dalla critica e ancor più dal geniale, ma giustamente esigente, autore originale. La Lega dei Gentiluomini Straordinari nel 1999, From Hell nel 2001, V for Vendetta nel 2005, anno in cui viene portato al cinema anche il personaggio di Constantine. Watchmen, l'opera più nota, era anche probabilmente la più difficile per la sua inevitabile natura corale , ed era rimasta per ultima tra le opere più note e più spendibili sullo schermo (per certi versi, gli Incredibili della Pixar, di Brad Bird, uscito nel 2004, aveva però ripreso liberamente molti temi di Watchmen, con anche numerose strizzate d'occhio - il tema del mantello, ad esempio).
Alan Moore ha disconosciuto, come noto, tutti gli adattamenti cinematografici delle sue opere, questo incluso, che è stato invece apprezzato da Dave Gibbons: ma si tratta con ogni probabilità del tradimento meno vistoso. In effetti, nonostante le infedeltà (di cui diremo) appare sorprendente che nel ristretto spazio dei 162 minuti tutto sommato canonici del film - il director’s cut comunque raggiunge i 215 - si sia riusciti a dare perlomeno un’idea del complesso universo alternativo creato da Moore e illustrato con raffinata minuzia da Gibbons.
Il regista, Zack Snyder, dopo l'esordio nell'horror zombie di Dawn of the dead nel 2004, si era imposto nell'adattamento fumettistico portando sul grande schermo "300" (2006), tratto dall'opera di Frank Miller. Un adattamento in questo caso molto fedele, nei limiti ovviamente del cambio di medium, sulla scia di Sin City di Rodriguez, che aveva ripreso filmicamente lo stilema delle silhouette adottato da Miller in questi fumetti. Anche in seguito, e a tutt'oggi, Snyder resterà regista di blockbuster supereroici legati all'universo DC, tra alti e bassi, senza però più affrontare opere "autoriali" tratte dalla scuderia della grande casa americana.
In questo caso, il lavoro era però molto diverso: nella sostanza l’adattamento di Watchmen è una missione impossibile, molto oltre la normale dose di infedeltà nel passaggio tra media diversi. A un primo livello, più semplice, c’è la mole di informazioni di contorno inserite nel fumetto da Moore tramite vasti inserti testuali: non sequenze di narrazione veri e propri, ma materiali provenienti da questo mondo alternativo in cui, nel 1938, i supereroi sono apparsi davvero.
Gli inserti separano i vari capitoli della storia e, pur non modificando drasticamente la trama principale, trasformano invece l’esperienza di lettura fumettistica, almeno quella del lettore più accorto, che è spinto ad indagare su eventuali sfumature di significato celate al loro interno, come un sottopagato stagista del “New Frontiersman” o anche solo per il piacere di cogliere qualche ulteriore dettaglio dell’intricato universo narrativo. Ma l’elemento cruciale è un altro, strettamente connesso, questo, alle tavole di sviluppo del fumetto. Moore non si limita a usare la sua rigorosa griglia fumettistica a nove vignette per narrare, magistralmente, una storia; ma trova il modo di sviluppare, pressoché in ogni tavola, un continuo “controcanto” tra immagine e testo : associati essi producono sempre un primo significato letterale, che porta avanti la storia, e un secondo significato “ironico”, di secondo livello, che va a creare a volte una riflessione metalinguistica sul medium, a volte approfondisce sottilmente la psicologia di un personaggio.
Inoltre, molte volte la sfumatura di significato nasce da minuziosi dettagli celati in uno sfondo, dal ripetersi di certi particolari (scritte sui muri, pubblicità, figure di sfondo ricorrenti...), da una simmetria visiva. Emblematico in questo il capitolo “fearful symmetry” che dispone, al suo interno, le tavole che lo compongono in modo perfettamente simmetrico, summa di tutte le “terribili simmetrie” che compongono il fumetto sotto il profilo sia formale che tematico. Difficilissimo, naturalmente, trasporre questo nella dimensione filmica: la lettura del “secondo livello” richiede infatti una lettura (o rilettura) della tavola lenta e accurata, che viene consentita dalla “sequenzialità giustapposta” del fumetto ma non da quella del film. Il film di Snyder – anche, per certi versi, comprensibilmente – nemmeno però ci prova, concentrandosi su una “fedeltà infedele” alla lettera del film e alla sua resa sufficientemente dinamica da poter attrarre anche un pubblico più generico.
La modifica più vistosa è quella del finale, dove il piano cervellotico della falsa invasione aliena viene sostituito da una mega-bomba, in una semplificazione della trama che ha l'effetto di un sensibile bathos (l'opposto della climax). Il fumetto chiude infatti l'ultimo capitolo con un colpo di scena che è anche un crescendo di - terrificante - spettacolarità visiva. Qui invece la soluzione di chiusura è molto più semplice, e se tecnicamente funziona nel chiudere la storia, fa perdere il senso della grandiosa macchinazione trasformandola nel più classico dei piani da villain (resta l'originalità del colpevole e delle sue motivazioni).
Nel complesso, il film dunque funziona sotto il profilo dell’intrattenimento, senza falsare nemmeno troppo i personaggi e le vicende. Tuttavia, la decostruzione del supereroe non passa: o non, almeno, nella misura in cui è centrale in Watchmen più che in ogni altra opera del periodo. Al primo livello della trama Moore aveva saputo aggiungere stratificazioni complesse: si può leggere in sottotraccia almeno un livello politico (la riflessione sulla guerra fredda al suo ultimo apice, prima di sfaldarsi con la caduta del comunismo), un livello psicologico (l'analisi del rapporto tra inetto e superuomo nella stessa persona, condotta con una profondità attribuita, prima, alla sola letteratura o, al massimo, al fumetto realistico, da Un contratto con Dio di Eisner in giù), e un inevitabile livello meta-fumettistico . Il perfetto incastro di questi elementi creava un labirinto di sensi affascinante, che qui inevitabilmente svanisce: ne restano al limite cenni che, slegati dalla costruzione impeccabile di Moore, rischiano al più di parere pretenziosi.
Al cinema, la decostruzione del supereroico passerà più per altri film: il Dark Knight milleriano riletto da Nolan nella sua trilogia avviata nel 2005, oppure nella comicità spietata di Kick-Ass (2010) l'anno seguente. Ma nessuna di quelle decostruzioni filmiche sarà in fondo così radicale come quella operata da Watchmen fumetto nel suo ambito, e che il film – inevitabilmente, con ogni probabilità – non poté replicare.