Se c'è un uomo che ha insegnato ad una generazione di lettori a leggere quello è R.L.Stine.
Non parlo solo di narrativa dell'orrore, parlo generalmente di libri, stampati, senza figure.
Ora, io ero un bambino fortunato, a casa mia libri sono sempre girati, e quando non erano libri di casa mia era i libri di mia nonna, da sempre avida lettrice. Quindi in questa teoria di prestiti e ritrovamenti, in maniera del tutto arbitraria, mi muovevo nel mondo a tentoni, con quello che mi passava sotto mano, con quello che recuperavo tra gli scaffali in alto ai quali accedevo arrampicandomi aprendo cassetti, in questo clima di misteriosi ritrovamenti dell'era pre-internet.
I Piccoli Brividi arrivano prima anche di Harry Potter, probabilmente. Scavando indietro nel tempo i profili dei ricordi si fanno confusi, ma qualcosa di nitido appare.
Estate, lido della spiaggia di Serapo a Gaeta. Per sedarmi una giornata intera niente è meglio che piazzarmi qualcosa da leggere in mano. Nelle mie più vecchie foto, sbiadite dal tempo, quando ero ancora biondo ed innocente, sono ritratto con un vecchio numero di Topolino e un cornetto all'albicocca. Quando dicono che l'estate è la stagione d'elezione per l'Italia dei lettori è vero.
Il lido vendava giornali e cornetti. Ricordo distintamente la luce e l'odore, per me indistinguibili, della carta stampata e dei cornetti del Selene: probabilmente l'odore che associo alla felicità delle interminabili giornate estive, senza alcun pensiero.
I Piccoli Brividi arrivano non come l'età della ragione, ma come l'età della scelta. Indicare consapevolmente dal totem-rastrelliera che li impilava verticalmente con le copertine in bella mostra cosa acquistare, e i Piccoli Brividi erano quella cosa che "sei sicuro? non è che poi hai paura?" e annuire forte con la testa, afferrare quello che speri proprio ti faccia più paura, scegliendo dalla copertina, ovviamente, e poi dirigersi alla cassa, per quelle poche pagine stampate di promesse di felici turbamenti.
Il mio primo Piccoli Brividi è stato La notte dei mostri di fango, numero 15 della collana, pubblicato in Italia nel 1995. Avevo 4 anni, dubito che lo abbia proprio letto nel '95, ma è comunque plausibile che lo abbia letto molto prima di Harry Potter. Grazie, R.L.Stine.
Eppure quando l'ho incontrato per il Press Cafè a lui dedicato a Lucca Comics non gli ho detto grazie, non che non ne sentissi il bisogno, credo che tutta la nostra generazione debba a lui qualcosa e infatti tanti giornalisti che sono intervenuti quel giorno hanno proprio iniziato le loro domande sottolineando quando la loro formazione sia stata condizionata dalla sua opera.
Nel corridoio prima dell'inizio della conferenza stampa, consunte copie dei libri di Stine passavano di mano, come cimeli del passato: è una conferenza stampa, ma come capita in queste occasioni, non è solo una conferenza stampa: è l'occasione di avvicinarsi a qualcuno, di azzerare la prossimità con l'autore, un'occasione di confronto, un doveroso rendere omaggio con la scusa di porre domande, tutto questo insieme.
Devo dire che anche io, quando ho visto il suo nome nella lista degli autori ospiti non ho esitato. Del resto Stine è il King dei preadolescenti.
Il paragone con King non è casuale. A sentirlo parlare della sua formazione all'orrore, R.L.Stine è uno dei ragazzi del Club dei Perdenti di It.
Una giovinezza negli anni '50, i classici Mostri della Universal visti al cinema la mattina con il fratellino. Una pila di Tales of the Crypt nella sala d'attesa del barbiere e che la madre gli proibiva categoricamente di leggere (sono gli anni prima del Comic Code Authority ed era estremamente diffusa la credenza che i fumetti avessero il potere di corrompere i giovani e in virtù di ciò erano oggetto di pesante censura, specialmente i fumetti dell'orrore).
Una formazione che potremmo dire classicheggiante, ma non classica in senso stretto, non nascendo come accanito lettore di classici del genere, ma dubito che qualsiasi giovane lettore possa avvicinarsi serenamente a Frankenstein (una parabola sull'incapacità delle figure paterne) o Dracula (una metafora sulla speculazione immobiliare), se non per il linguaggio ostico da classici della letteratura, per la mancanza di "fuochi d'artificio" o di ritmo. Lo scrittore che maggiormente lo ha influenzato invece, a detta sua, è Ray Bradbury, l'autore di Cronache marziane e Fahrenheit 451.
I grandi classici del genere dell'orrore invece per lui erano proprio quelle opere ridotte sullo schermo dalla Universal, il che ha innescato quella che è stata la mia domanda, sul suo rapporto con gli adattamenti delle sue opere, dato che già lui, implicitamente, lavora di decostruzione (postmoderna) scomponendo e ri-raccontando quelli che sono i topoi tipici dell'orrore, come mummie, scienziati pazzi, fantasmi, vampiri e leggende metropolitane. Le prima serie tratte dai Piccoli Brividi infatti non erano adattamenti diretti delle sue opere e lui non li ha curati, essendo prodotti e girati in un momento della sua vita dove scriveva 12 libri l'anno.
Stine si ritiene molto soddisfatto e divertito di come le opere da lui messe in circolo poi siano diventate altro in mano ad altri autori; ritiene sia un onore essere stato portato a schermo da Jack Black nei due film cinematografici.
Una cosa che spesso passa inosservato è proprio come le sue opere sia ancora "vive", su Disney+ è in arrivo la seconda stagione di Goosebumps (la prima l'ho trovato molto divertente) e pare sia prossimo un nuovo film di Fear Street su Netflix (la trilogia che è già disponibile è veramente ottima e la sua regista, Leigh Janiak, è secondo me una promessa dell'horror che ha saputo dimostrarsi molto ecclettica).
Sempre per quanto riguarda la sua vitalità come autore, negli ultimi anni si è dedicato con grande soddisfazione alla scrittura di fumetti, la serie Just Beyond per BOOM! Studios. Grande soddisfazione data dal fatto che egli trova che il suo stile di scrittura, asciutto e scevro di troppe dettagli nelle descrizioni, sia uno spazio ottimo da concedere per il lavoro dei disegnatori che ne arricchiscono e completano l'opera.
A questo scopo, è interessante raccontare il rapporto che Stine ha con lo storico copertinista dei Piccoli Brividi. Tim Jacobus non lavorava in stretto contatto con Stine, molto spesso i libri sui quali lavorava non erano nemmeno finiti. Jacobus lavorava sull'abstract del libro e ci costruiva sopra un'idea iconografica forte, anche qui, dando forma alle asciutte descrizioni di Stine, consolidando quelle immagini nella memoria di milioni di lettori.
L'aneddoto interessante che Stine ha raccontato è legato a Foto dal futuro (Say Cheese and Die!, 1992, quarto libro della serie), per il quale Jacobus rappresentò una scena che nel libro non era contenuta e che a Stine piacque talmente tanto da modificare il testo per includerla.
Tra i suoi libri, Stine preferisce La maschera maledetta (The Haunted Mask, 1993, undicesimo volume della serie) perchè è tra le opere che nascono da un aneddoto di vita reale, di quando il figlio rimase "incastrato" in una maschera da Halloween e lui invece che aiutarlo a toglierla lo guardò fantasticando su come una situazione del genere potesse sfociare nell'orrore.
Nelle sue opere è costante l'attenzione ai bambini, sempre poco meno che adolescenti, ma non sono bambini "speciali", raramente sono dotati di qualche dote magica o sovrannaturale, sono bambini di piccole cittadine di periferia, che vivono nella loro sonnacchiosa suburbia con dei genitori imbecilli incapaci di rendersi conto di ciò che sta accadendo (un tema che tra l'altro lo avvicina tantissimo a Wes Craven, basti pensare ai genitori di Nightmare o la totale assenza degli stessi in Scream).
Probabilmente è questo il segreto del successo dei Piccoli brividi, romanzi per bambini che non trattano i bambini con stucchevole paternalismo, senza guardarli dall'alto in basso.
Non so quanto i Piccoli brividi siano ancora oggi, a trent'anni dalla loro pubblicazione, una lettura adatta ad un pubblico giovane, forse noi, bambini degli anni '90, eravamo già pregni di cinismo e disillusione, forse siamo riusciti a scendere a patti con gli orrori con i quali conviviamo ogni giorno proprio perché le opere di Stine ci hanno insegnato a convivere con il lato più oscuro della realtà.
O forse è una supercazzola partorita da uno che, guardando indietro, ammanta di un valore romantico il proprio passato, come uno dei bambini del Club dei Perdenti di King, dimenticando dove sta la verità. Ma non importa, se non come tratto d'unione che ci colloca tutti generazionalmente e in qualche modo anche unisce a Stine, come bambini a cui piacciono i mostri, prima ancora che come autore.
Resta che incontrare Stine è stato un bel momento, anche per tornare a riflettere criticamente sul proprio passato e sulle opere che hanno contribuito a renderci quello che siamo e cosa fruiamo adesso.