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Pokémon Scarlatto e Violetto e quella terribile strategia comunicativa

L’ultimo trailer di Pokémon Scarlatto e Violetto, i prossimo capitoli del franchise che segneranno l’inizio della nona generazione per i mostriciattoli tascabili, ha continuato a perpetrare un trend comunicativo per la serie iniziato qualche anno fa, ovvero la “vendita” di un mondo di gioco vivo, reale e tangibile.

 

Per far ciò ci si è lasciato trasportare dalla particolare tecnica del “mockumentary” ovvero la creazione di un “finto documentario” che ha come scopo quello di mantenere alta la sospensione dell’incredulità e, di conseguenza, far sentire una presenza più reale di quanto si sta vedendo a video.

 

Pensiamo all’annuncio del Ponyta di Galar avvenuto per Pokémon Spada e Scudo per l’ottava generazione: telecamere puntate sul bosco Brillabirinto che cuttaravno qualsiasi evento fra quelle fitte fronde.

 

The Pokémon Company ha quindi messo in piedi una diretta di 24 ore in cui potevamo stare lì, fermi, ad osservare la vita all’interno di un bosco nella speranza di poter sentire qualche nuovo suono, vedere qualche nuova ombra o, per l’appunto, scoprire una nuova specie Pokémon.

 

L’idea, alla base, è originalissima e superba: metti in mostra un luogo della nuova regione mostrandone la flora, la fauna e tutte le interazioni possibili con l’ambiente accorciando così, di tanto, le distanze fra il videogiocatore e il videogioco.

Non solo, un’idea del genere si sposa perfettamente anche con il mondo Pokémon fatto di misteri e scoperte continue (basti pensare all’origine del gioco) che quindi non può che giovare di un metodo di comunicazione così particolare e studiato: perché presentare un nuovo Pokémon attraverso un semplice comunicato scritto o uno stupido video se posso farti sentire parte del mondo che sto creando e farti sentire, soprattutto, il protagonista di una nuova scoperta scientifica nello stesso?

 

Ma se alla base esiste un’idea tanto bella, come mai chiunque si è lamentato di quella particolare live? Perché fra il dire e il fare c’è in mezzo il cosiddetto mare, un oceano in cui Game Freak e The Pokémon Company sembrano essersi persi, da anni.

 

La concretizzazione di quanto detto è stata, infatti, una live di 24 ore in cui c’era un’immagine che possiamo definire statica. Sì, certo, ogni tanto si muoveva qualche foglia e c’era qualche suono d’atmosfera ma da quel filmato l’unica cosa che si è potuta evincere è che il bosco Brillabirinto fosse disabitato.

 

Ci sarebbero stati milioni di modi per rendere quella live più interessante e quel bosco più “vivo” ma, come spesso accade nel mondo Pokémon, è stato selezionato ovviamente il peggiore.

 

Tale idea e tali errori hanno continuato, poi, a perpetuarsi nel tempo con una comunicazione estremamente ballerina e completamente sballata di quello che è il mondo Pokémon.

Se in Leggende Arceus abbiamo avuto modo di seguire la registrazione audio di alcuni escursionisti che si sono trovati di fronte ai primi esemplari di Zoroark di Hisui che riesce pienamente nel suo intento, in Scarlatto e Violetto abbiamo modo di fare la conoscenza di Grafaiai in un modo molto simile ma completamente sballato.

 

Vengono condivise delle immagini scattate da alcuni fotografi di Paldea che si trovano dinanzi a quelle che hanno l’aria di essere le tracce di un nuovo Pokémon, ecco quindi che si installano telecamere nascoste per riuscire a catturarne la fisionomia. Il risultato è un piccolo video in cui vengono mostrare queste registrazioni che rivelano, appunto, il nuovo mostriaciattolo riuscendo laddove la comunicazione del Ponyta di Galar aveva fallito, ma, nuovamente ci si ritrova di fronte a qualcosa che cozza completamente con l’idea compromettendone la realizzazione.

 

Il comparto tecnico di Scarlatto e Violetto è così indietro e così mal fatto da non riuscire a mantenere la sospensione dell’incredulità di cui si diceva sopra: come faccio a immedesimarmi all’interno di un mondo di gioco se questo mondo di gioco è completamente “statico”?

 

Grafaiai è un primate che disegna con la saliva (colorata per via della sua alimentazione) delle forme colorate su alberi e rocce ma i video che lo ritraggono, purtroppo, mettono in mostra un pupazzetto di pongo senza anima che muove la mano in due direzioni su una texture slava di un di arcobaleno su un ceppo.

 

Come posso sentire “reale” un mondo del genere? Perché sprecare una tecnica comunicativa così potente e interessante per mostrare qualcosa di così “anomalo” che riesce soltanto a generare dubbi sull’effettiva qualità della produzione.

 

Paldea appare, nuovamente, “morta”, un palcoscenico monocromatico su cui ad alcuni ragazzetti sono caduti dei pupazzetti che vengono mossi dal vento.

Ma The Pokémon Company vuole riprovarci e lo fa, nuovamente, reinventandosi nella comunicazione, confezionando una conferenza fasulla sull’ambiente da seguire su un “finto” meeting online: ci si “registra”, appare la nostra webcam e quella di “dottori” fasulli in giro per il mondo che mostra alcuni video pre-registrati con degli attori.

 

L’idea è, senza mezzi termini, stupenda. Ci si sente, in effetti, parte di “qualcosa”, una magia che cessa di esistere non appena comincia l’evento.

 

Viene mostrata, nuovamente, Paldea e i suoi pupazzetti mettendo in scena il teatro del ridicolo: l’iconica lotta fra Seviper e Zangoose, ad esempio, è legata a dei modelli poligonali che si muovono sul posto, il mondo di gioco appare, come sempre, vuoto, spoglio e i Pokémon non interagiscono con lo stesso.

Le ombre sono posizionate male comunicando in maniera contraddittoria la profondità di campo, insomma il risultato è inguardabile anche se la ciliegina sulla torta sono le reazioni pre-registrate degli attori di cui sopra: espressioni di stupore e meraviglia, panico ed estasi figlie di un copione scritto direttamente dagli sceneggiatori di Boris. F4, basito.

 

Il risultato è una finta conferenza che appare, appunto, finta in tutto: non riesce a prendersi sul serio e non riesce a comunicare bene il mondo di gioco perché quel mondo, questa Paldea, è incomunicabile seguendo questo paradigma.

 

A completare l’opera c’è l’annuncio di Wiglett, un Pokémon che, ancora una volta, non è chiaro perché si trovi dove sta: nel suo modello fa parte anche la zolla di terra che ruota e si muove assieme a lui senza nessuna interazione con il mondo che lo circonda. Un disastro.

E, ancora una volta, The Pokémon Company non sembra subire il colpo e ci riprova con 14 minuti di filmato in cui, nuovamente, ad essere protagonista è la regione con una voce preregistrata e una regia documentaristica che vogliono, ancora, mostrare come Paldea pulluli di vita inserendoci come protagonisti di un’interattività mancata.

 

Non è bello ripetersi ma i problemi sono gli stessi: distese monocromatiche di puro nulla che fanno da palcoscenico a modelli vuoti.

 

Allora ci si chiede perché. Perché insistere con questo tipo di comunicazione che si sta rivelando un’arma a doppio taglio: tutta la potenza che questo stile potrebbe scatenare si rivolta contro The Pokémon Company mettendo in mostra tutto quello che non va nei titoli senza riuscire a dar valore nemmeno all’idea stessa della propaganda.

 

Insomma l’ennesimo autogol che tradisce, in questo caso, anche l’incredibile incapacità a sfruttare una potentissima e meraviglia strategia comunicativa oltre al non essere in grado di sfruttare uno dei franchise più importanti e interessanti della storia videoludica.

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