Il Signore degli Anelli è solo la punta dell’iceberg di ciò che Tolkien produsse come scrittore, o come Fabbro se vogliamo prendere in prestito le parole degli esperti. Chiunque di noi ormai conosce la scrittura di questo autore, la sua saga e l’immaginario granitico che oggi continua ad appassionarci a ogni pagina riletta, riferimento trovato e rewatch delle trilogie cinematografiche. Momenti che nascono solo quando dietro la penna che li forgia c’è una persona di straordinaria cultura e rilevanza come lo è stato Tolkien, donati di una mente che è stata capace di generare uno degli universi fantasy più grandi e ramificati del secolo.
Ed è proprio questa complessità intrinseca nel fascino della figura tolkeniana a renderla un amato oggetto di studi e trattazioni, a loro volta ritrovabili all’interno della produzione di Eterea Edizioni: la casa editrice dedicata, tra le altre cose del fantastico, proprio agli Studi Tolkeniani con la collaborazione dell’associazione italiana omonima. Nella cornice della Nuvola di Roma, che in questi giorni ospita Più Libri Più Liberi, ho avuto modo di dare un piccolo sguardo al Tolkien più medievale e meno conosciuto, quello fuori dal Signore degli Anelli e dentro le opere trasversali della sua vita, ispirate ai miti più classici della tradizione. Un sentimento che riverbera tra gli stand degli editori che trattano l’autore in tutte le sue sfaccettature, in un clima di fervente ritorno in auge tra nuove – e discusse – traduzioni, biopic e una serie Amazon in via d’uscita.
Partendo da Riscrivere la Leggenda, l’autrice Valérie Morisi studia “La Leggenda di Sigurd ed Gudrun”, scritto nel quale Tolkien prende il ciclo dei nibelunghi come base di partenza per proporre una storia inedita, rielaborata in tantissimi modi sia nello storico dell’autore che in quello generale della letteratura. La mitologia norrena, del resto, è sempre stata un oggetto per molti altri libri, film, manga e chi più ne ha più ne metta, qui su N3rdcore ne siamo incappati in più di una volta. Tolkien, dal canto suo, si rifà però espressamente ai testi più antichi della fonte, forte delle sue conoscenze accademiche e medievalistiche, scegliendo questo ciclo nonostante avesse sperimentato anche le terre arturiane. L’obiettivo non era certo quello di fare l’amanuense di un qualcosa di già narrato, piuttosto la volontà e caratteristica dello scritto era di fornire al pubblico un intero nuovo universo partendo da una base già calcata nel passato, trovando la sua anima nel limbo tra nuovo e antico in più di un aspetto.
Ad esempio, uno dei cambiamenti più importanti nel testo è testimoniato dall’influenza della fede cristiana all’interno della vicenda norrena, trovando in Sigurd dei tratti quasi cristologici impossibili da riscontrare nello scenario pagano come quello germanico. Allo stesso tempo però mantiene, anche nel Signore degli Anelli, tratti crudi che si distaccano dalla cristianità, tanto violenti o amorali da non poter essere inquadrati in quella definizione, come l’incesto e il sacrificio umano. Una simile tecnica sottolinea ampiamente il contrasto del Tolkien letterario, inserito in una costante tendenza tra i lati della fede senza una posizione netta o completamente costruita.
Ed è questa malleabilità delle fonti che deriva il nomignolo artigiano, affibbiato da Wu Ming 4 in Il Fabbro di Oxford: una raccolta di interventi riguardanti il lavoro di Tolkien, principalmente incentrati sulla costruzione dei suoi personaggi letterali. Anche qui, l’importanza del processo creativo avviato dalle fonti del passato viene sottolineata ampiamente, trovando nelle storie che appassionavano Tolkien la voglia di continuarle e di riscriverle. Un sentimento comune perfino a molti altri scrittori più o meno famosi, che sorprendentemente è proprio alla base della letteratura del maestro o, almeno, lo è nello spettro del suo esordio. Per quanto si voglia guardare tra le pagine dei suoi lavori meno datati, si ritroverà sempre la presenza di questo horror vacui del fan che vuole andare avanti nell’avventura appena finita tra le pagine di un libro.
Da qui si prendono figure archetipe, le si imprigiona tra le mani e le si plasma rendendole nuovi personaggi adatti a un mondo moderno. Un processo che accomuna diverse figure tra Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli e i racconti esterni a essi, trovando nel concetto della guerra un punto di estrema vicinanza e uno spunto di riflessione enorme per noi amanti dell’autore. Le caratteristiche di Aragorn ben illustrano quanto il suo modus operandi sia sfaccettato e complesso, trovando in esso diverse tematiche che spaziano dalla appena citata parte bellica alle leggende germaniche, pur non essendo egli stesso un eroe di quel filone. Difatti, come ricordiamo tutti, egli muore nel suo letto con parole di candore per la moglie e un conforto nella vita oltre la morte. Un qualcosa che, stando alla mitologia pagana, negherebbe il valhalla senza neanche passare dal “Via”.
Rimangono però gli archetipi della donna valchiria e di altre figure femminili, negando altresì la brutta fine che spesso queste figure di donne guerriere avevano in relazione allo scontro con le regole dei loro tempi. Basti pensare a Giovanna D’Arco e alla sua mitizzazione. Eowyn è esattamente quello che ci si aspetterebbe da una donna tolkeniana: indipendente, disobbedisce al comando maschile, combatte con ardore e uccide una delle minacce più pericolose del mondo avendo un successo indiscusso. Non subisce processi per la sua arroganza, non viene punita per aver disobbedito, piuttosto schiva il destino delle eroine guerriere e ndossa nuovamente i panni femminili in una bellissima parabola personale a cavallo dell’amore, oltre che molto moderna.
Spesso Tolkien fa anche questo: ribalta i ruoli e le regole pur rimanendone nei confini, dimostrando anche nelle sfumature il perché la sua maestria narrativa rimanga ancora oggi un affascinante luogo d’analisi che tutti noi possiamo coltivare e scoprire anche solo sotto lo stimolo di una chiacchierata tra esperti o girando per gli stand e incuriosirsi dalla spille con i suoi simboli più belli.