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Perché Buffy L’ammazzavampiri è ancora una grande serie femminista

Dal 1° settembre 2020, Buffy L’ammazzavampiri è disponibile per lo streaming su Amazon Prime Video, finalmente. L’assenza della serie cult creata da Joss Whedon era francamente inconcepibile, e il massiccio rewatch che ne è scaturito ha confermato la mia precedente indignazione. Non soltanto Buffy sembra ancora reggere benissimo la prova del tempo, ma mi ha anche dato la possibilità di rileggere l’intero show da prospettive che erano sfuggite alle maratone fatte in passato (e ce ne sono state diverse…)

Di Buffy parlo praticamente senza sosta da vent’anni, anche sulla carta vera, tipo qui, ma stavolta mi ha colpito in particolare la sua rilevanza tutt’ora freschissima in quanto serie femminista, capace addirittura di contenere diversi approcci al tema, diverse fasi e sviluppi nel tempo. Del femminismo non esiste infatti la ricetta, non c’è quello TM con il marchio registrato, è cambiato nel tempo e quasi certamente cambierà ancora, proprio come ci insegnava Buffy già sul finire del XX secolo.

Il primo incontro con Buffy Summers strilla girl power a pieni polmoni. Sarà proprio quel tipo di empowerment tanto anni ’90 a dominare almeno quattro stagioni dello show. Appena arrivata a Sunnydale, Buffy si inserisce nel suo nuovo ambiente da normale teenager: sbarazzina, amante della moda, bionda e tanto bella da poter partecipare a un videoclip degli Aerosmith. Bizzarramente, è però portata subito a interagire con gli “sfigati” e a trascorrere gran parte del suo tempo nella fornitissima biblioteca della scuola. Dietro la facciata da perfetta vittima per un film slasher, si cela infatti il potere della Cacciatrice.

Al calare della notte, Buffy diventa l’Ammazzavampiri, con una forza sovrumana, l’agilità di una trapezzista e il senso dell’umorismo macabro che solo una frequentatrice assidua di cimiteri può sfoggiare con grazia. Buffy è la ragazza che tenta di entrare nella squadra delle cheerleader ma anche quella che può prenderti a calci come mai nella vita. Vuole tutto, il potere e la spensieratezza, il destino e la possibilità di scelta, è indistruttibile e allo stesso tempo fragile, dato che vive le problematiche frivole di tutte le sue coetanee mentre porta sulle spalle il peso dell’umanità intera.

Essenzialmente Buffy è una Spice Girl con un death wish, il che si riflette nelle sue quanto meno problematiche relazione sentimentali come nel costante conflitto con le sue divergenti identità. Arriviamo quindi alla quinta stagione, il momento di passaggio. Nella vita di Buffy irrompe Dawn, sorella-non-sorella, e arriva il devastante momento di Un corpo freddo, l’episodio in cui muore la madre. Per l’Ammazzavampiri qui avviene uno slittamento di prospettiva fondamentale. Il destino prende il sopravvento, non le rimane alternativa se non sacrificare se stessa, aderire al monito della Prima Cacciatrice: “la morte è il tuo dono”. Quindi Buffy accetta la chiamata, salva (di nuovo) il mondo e soccombe.

La sesta stagione ha una cupezza che ho faticato a ricordare, ma era già inscritta nell’impostazione del personaggio di Buffy. Ricordate il death wish? Ecco, ora più che mai. Buffy viene riportata in vita, strappata dal Paradiso di pace e serenità in cui era immersa, perché il suo lavoro sulla Terra non è ancora concluso. Immaginate il fastidio? Con il bagaglio di trauma che si porta dietro, Buffy riprende le sue attività a Sannydale nella nuova veste di sopravvissuta, e non lo fa con la consueta leggerezza. Porta a vista le cicatrici del sacrificio, si interroga sulla natura del suo potere, mentre l’altra grande protagonista della serie, Willow, cede al lato oscuro della sua immensa forza magica, alimentata dalla rabbia e dal lutto per la perdita di Tara.

Il potere di Buffy e Willow nella sesta stagione dello show è immenso e insieme terribilmente instabile. La loro è la lotta delle superstiti, disperata e furiosa, ma soprattutto solitaria. Non a caso il grande villain della stagione è il Trio, un gruppo di ragazzi capitanati da un misogino violento, e non a caso tra le più cocenti delusioni per Buffy c’è un tentativo di stupro da parte di Spike. Non c’è quasi più traccia del brioso girl power delle prime stagioni, che lascia invece il posto alla logorante battaglia per la sopravvivenza, al corpo a corpo sanguinoso, interiore quanto esteriore.

Per apprezzare al massimo il lavoro fatto da Buffy L’ammazzavampiri come serie femminista è necessario arrivare alla settima e ultima stagione. Un nuovo nemico si appresta a spazzare via l’Umanità, ed è il Male Supremo, il primo, la sorgente di tutto il Male. Stavolta non è solo la Cacciatrice in carica a essere sotto attacco, ma l’intera stirpe delle Cacciatrici, comprese le potenziali future Ammazzavampiri. Buffy si appresta quindi ad affrontare il nemico con un piccolo esercito di ragazze impreparate e scettiche, puntando tutto, come sempre, su se stessa, sul suo unico potere di eletta.

Consapevole di non avere la forza necessaria per contrastare Il Primo, Buffy si lancia in un viaggio spazio-temporale che la riporta alle origini, al rituale che ha creato la progenitrice di tutte le Cacciatrici. Con grande delusione, Buffy assiste alla nascita della Prima, una ragazza incatenata in una grotta e lasciata in balia di un megademone dal quale dovrebbe assorbire forze e capacità, rendendo di fatto il potere della Cacciatrice un compromesso tra innocenza e maligno. Il dolore di una per la salvezza di tutti.

Perché è così che funziona, ci è stato ripetuto centinaia di volte: la Cacciatrice è la prescelta, l’unica, colei che da sola terrà a bada le forze dell’oscurità. Ma dove sta scritto? Chi l’ha deciso? Un’intera stirpe di guerriere create nel buio da un gruppetto di uomini spaventati, incapaci di trovare un’alternativa al Male che non somigli al Male stesso. Ma Buffy non ci sta e dice no alla tradizione, sfancula gli sciamani e rifiuta il potere della sopraffazione. Che i patriarchi si salvino le chiappe da soli stavolta, dal profondo della loro caverna.

Il momento della scoperta, rappresenta per Buffy un punto di svolta fondamentale, senza precedenti. Usando lo schema creato da Marina Pierri nel suo Eroine (ed. Tlon, 2020) Buffy si trova in quel preciso momento a confrontarsi con l’archetipo della Distruttrice: “È il momento nel quale l’Eroina si guarda nello specchio e finalmente si dice la verità: ha vissuto una bugia. Niente di quel che pensava, alla fine, l’ha protetta.” L’incontro con la rivelazione è lacerante, ma anche liberatorio, “genera un prima e un dopo mettendo il dubbio il senso e la direzione di tutta la strada percorsa.”

Tornata alla sua casa piena di potenziali Cacciatrici in paranoia, Buffy medita quindi su come sovvertire le regole dei padri. La risposta è stata sotto i suoi occhi per tutto il tempo: la Cacciatrice è la sola e unica prescelta perché si è voluto che fosse tale. Se messa in contatto con la sorgente di tutto il Bene, l’Ammazzavampiri dischiude infatti un potere inestinguibile, immortale, abbastanza pervasivo da creare non una, ma migliaia di Cacciatrici, tutte vive e attive nello stesso momento. Stavolta non servono concilii, osservatori o maghi, basta quella strega incredibile di Willow per sfondare il soffitto, distruggere tutto e ricostruirlo a sua immagine. Così Buffy si libera sul suo eterno fardello di solitudine, non reclama maggior potere per sé, ma fa in modo che tutte le sue alleate arrivino al suo stesso livello.

Comprendendo il perché del suo isolamento forzato, Buffy si concede finalmente la possibilità di condividere, alla pari, consapevole che il principio di scarsità che la voleva sola, la più forte, la più invincibile, l’unica capace di portare a termine il lavoro, altro non era che il tentativo di controllare la vera essenza delle Cacciatrici, il loro speciale potere e le loro infinite potenzialità.

A battaglia conclusa, una Buffy visibilmente scossa ma sollevata dice: “Bene, abbiamo salvato il mondo”, ma la sempre più lungimirante Willow la corregge con dolcezza: “Abbiamo cambiato il mondo.”

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