Palepoli è finalmente uscito in edizione italiana: l’opera prima di Usamaru Furuya è stata pubblicata in una bella edizione di Coconino Press, curata da Paolo La Marca e Livio Tallini.
L’opera, di grande potenza immaginifica e visionaria, acquista particolare significato in un mondo dei manga talvolta schiacciato da una serialità oppressiva, a cui Furuya oppone l’eleganza essenziale e l’incredibile potenzialità espressiva delle quattro vignette, e questa sua odierna pubblicazione conferma la storica attenzione di Coconino al fumetto autoriale, non solo italiano.
Ma procediamo con ordine.
Furuya nasce a Tokio nel 1968; fin dalle elementari segue il corso per corrispondenza di Osamu Tezuka per mangaka, e giunto alle superiori possiede già una buona padronanza tecnica, e si volge a temi più dark e underground – che qui abbondano – e negli anni dell’università li volge verso uno stile più astratto e ricercato: quello che sfocia nel 1994 in Palepoli, apparso su Garo, dal 1964 la rivista del manga maggiormente sperimentale e di avanguardia.
L’adozione delle quattro vignette disposte a croce è un classico del manga, lo Yonkoma manga, il manga a quattro vignette detto anche 4-koma. Uno stile che viene introdotto da Rakuten Kitazawa nel 1902, e che si ricollega abbastanza, nella macro-struttura, alla classica comic strip occidentale, quattro vignette che portano a una battuta o colpo di scena nell’ultima. Kitazawa aveva, in questo seguito l’influsso di autori occidentali come Frederick Burr Opper che avevano già esplorato tale forma.
In occidente, di consueto, la strip quotidiana sui giornali era stampata in orizzontale, occupando il posto a fine pagina, una striscia appunto: nelle eventuali raccolte, spesso si adottava il formato quadrato, perché di stampa più agevole. È il caso, ad esempio, dell’autore che ha condotto questa specifica forma ai massimi livelli dell’arte, Charles Schulz (il primo, per Umberto Eco nel suo saggio del 1964, “Apocalittici e integrati”, per cui si potesse parlare di pieno livello dell’arte, alla pari dei grandi della letteratura e delle altre arti).
Furuya utilizza la griglia a quattro per una decostruzione totale del fumetto nipponico. Siamo nel 1994 di Pulp Fiction di Tarantino (citato non a caso all’interno dell’opera), con la parallela decostruzione del cinema d’azione: il postmoderno giunge al suo trionfo dopo il crollo delle ideologie, e quest’opera è parte del processo. Nella sua decostruzione del fumetto nipponico (appaiono Doraemon, Tezuka, Tsuge…), Furuya lo riconnette alla grande tradizione dell’arte, in particolare il Rinascimento italiano, che dimostra di conoscere bene e in profondità per una riscrittura ai limiti del blasfemo ma sempre pregnante (a partire dall’immagine di copertina, che ha un sapore fortemente rinascimentale).
Palepoli nel suo complesso si struttura in più serie ricorrenti, intrecciate con storie autoconclusive. Si comincia con la “Morte di un commesso viaggiatore” vista dal fish eye dello spioncino di una casa misteriosa, davanti alla quale si accumulano gradualmente una serie di vicende sempre più estreme scatenate da questo primo evento. Viene in mente, in modo non diretto e derivativo, ma analogico, il meccanismo della valigetta di Pulp Fiction, il cui contenuto muove il film e che mai non vedremo. L’ipotetica persona che guarda dalla casa, similmente, e che ovviamente mai vedremo, diventa un meccanismo ancor più pregnante e metatestuale, dato che siamo spinti a identificarlo (e quindi identificarci) col lettore, motore immobile delle storie fumettistiche. A margine, già in questo primo ciclo (che conclude anche l’opera) la citazione del dramma di Arthur Miller del 1949, pur ironica a e abbastanza pretestuosa, mostra come l’autore, pur padroneggiando e decostruendo il manga sotto il profilo tecnico, lo interseca anche con la tradizione culturale occidentale. È da questo mash up che deriva una doppia decostruzione, da un punto di vista nipponico ma coinvolgente una cultura di massa globale.
Furuya ha un dominio ammirevole dei molteplici segni del manga, e spesso il gioco comico nasce dal contrasto tra alcuni grandi archetipi del manga stesso, la torbida storia d’amore che collide col fumetto comico (p.5), o l’horror più estremo – reso anche visualmente in modo autenticamente disturbante, da tradizione nipponica – che cozza con un improbabile (e proprio per ciò più inquietante) serial killer.
I rimandi al rinascimento (espliciti, come il Cristo morto di Mantegna, o impliciti, come il neoclassico Cupido della prima copertina) ci rimandano spesso all’arte italiana e, in modo particolarmente insistito, ai temi della rappresentazione cristologica. Ma non pare ci sia un intento di blasfemia o, almeno, non come lo intenderebbe un occidentale. L’aspetto sottile – nelle intenzioni dell’autore? – è che il tema del Crocifisso, centrale nell’arte sacra occidentale, introduce una prima, inevitabile quadripartizione della tavola pittorica (o dell’affresco, mosaico o altre forme, naturalmente), scandendo in modo quadripartito lo spazio.
Non a caso, forse, molte storie (come il ciclo di Miracle Tama-Chan) riflettono sul tema dei paradossi dell’Arte Sequenziale, presenti fin dall’inizio del medium e che hanno portato a rimettere oggi in discussione la definizione – pur operativamente utile – di Will Eisner e Scott McCloud. Se il fumetto è sequenziale, il suo spazio quadripartito (o altrove diviso in scansioni differenti) resta uno spazio unico, in cui le regole della sequela – qui scandita, non a caso, da numeri a piè di ogni tavola, per ribadirne in modo volutamente pletorico la successione – vengono facilmente violate (come invece non potrebbe avvenire con successo nel cinema, ad esempio, in cui la sequenza è percepita davvero come tale, senza poter variare l’esperienza di visione).
Per paradosso, proprio i due ordini di lettura diversi tra oriente e occidente lo dimostrano: la lettura errata di una tavola nipponica che fa un occidentale non fumettisticamente colto (se non gli viene spiegata prima) è in fondo una “diversa sequenzialità possibile” da cui il lettore coglierà un senso – errato, rispetto alle intenzioni dell’autore.
Proseguendo, continuiamo a trovare in Palepoli segni di questo dialogo tra oriente e occidente, con l’inserto di citazioni dell’arte occidentale che stimolano a una riflessione (e, forse, a volte, una sovrainterpretazione) del loro senso simbolico: la torre di Babele di Bruegel, il dejeuner sur l’herbe di Manet, la parodia del ready made del contemporaneo più oltranzistico nella mostra d’arte dei poliziotti, e così via. Non mancano cieli tiepoleschi coi cartigli proto-fumettistici, una Vergine dall’aria di donna-angelo ma di crudeltà senza pari, o altre volte una Madonna con un figlio cartoonescamente mostruoso, o un ritratto del Cristo che si dissolve in paesaggi alla Dalì. Naturalmente, sono presenti anche rimandi buddisti, ma appare quasi paradossalmente che, per tramite della rinascenza italiana, la riflessione religiosa si incentri più su quella occidentale che orientale, almeno a livello di simboli iconici utilizzati.
Perfino nella metanarrazione del fantasma che boccia le tavole, manifestazione plastica (ed ectoplasmica) della corrosiva autocritica autoriale (in un superego fumettistico incarnato nel padre-Tezuka), troviamo un rimando alla storia dell’arte occidentale, con una tavola rappresentata come una tavoletta egizia (a significare che sia le inquietudini degli autori, sia l’arte sequenziale hanno le loro radici remote nella culla della civiltà). La genesi di Michelangelo, le tre grazie del Botticelli, il cubismo di Picasso sono altre citazioni che punteggiano l’opera a fianco di rimandi più pop come Tarantino e Colombo (curiosamente, anche qui due rimandi italo-americani).
La decostruzione di Furuya in Palepoli trascende quindi il mero ambito del manga (che è il fulcro fumettistico della decostruzione) per diventare una vertiginosa trasmutazione dell’immaginario mondiale, spettacolare teatro dell’assurdo rinchiuso però nel minuscolo spazio vitale delle quattro vignette. La potenza del fumetto torna alle sue origini, e la fascinazione che promana è fortissima.
Usamaru Furuya – Palepoli
Coconino Press, Roma 2021
Pagg. 168, € 15
ISBN 9788876184123
www.coconinopress.it