La Regina è morta. Viva la Regina
È il 24 novembre 1991. Freddie Mercury si spegne a 45 anni nella sua casa di Kensington. Da allora guiderà verso un successo che nessun altro gruppo ha conosciuto prima di loro. E lo farà dall’oltretomba.
Come abbiamo visto, ci sono mille modi di tenere in piedi o resuscitare realtà musicali. Le reunion a cui abbiamo già accennato. La rielaborazione o riesumazione di vecchie registrazioni (per esempio il disco di “inediti” di Elvis Presley del 2010, composto di vecchie tracce voce combinate con incisioni strumentali completamente nuove). La trasformazione di una band nella messa in scena di una band (gli ultimi Pink Floyd e il loro pazzesco spettacolo itinerante, in cui fra coriste, strumentisti aggiunti e addirittura un secondo batterista, praticamente a suonare erano altri).
O la trasformazione di storiche band in “musical”, come è successo ai Queen e agli Abba.
In qualche caso dove ha fallito la biologia, è arrivata la tecnologia e negli ultimi anni si sono moltiplicate le esibizioni “live” (si fa per dire) di ologrammi di artisti defunti. Abbiamo potuto/dovuto riammirare Michael Jackson, Amy Winehouse, Ronnie James Dio, morti dal vivo, pace all’anima loro.
Ma i Queen, che non si sono mai distinti per il senso della misura, hanno osato molto di più. Perché con la scomparsa di Freddie Mercury perdono un’icona insostituibile. Quindi, quando cercheranno di sostituirla, lo faranno in ogni modo possibile.
Le guest star live del Freddie Mercury Tribute del 1992, dove a cantare il repertorio della Regina passeranno in rassegna trent’anni di storia del rock nelle ugole di Robert Plant, Elton John, Axl Rose, i Metallica, persino Zucchero. Poi le registrazioni di Freddie trasmesse dal vivo per incitare il pubblico a cantare, contraltare live (di nuovo, si fa per dire) del disco di inediti postumo che vantava titoli quali Let Me Live, My Life Has Been Saved, Heaven For Everyone, Too Much Love Will Kill You e, per ribadire il concetto, la title track Made in Heaven. In seguito avremo un sostituto semiufficiale del ruolo di fronteman della band, nella persona di Paul Rogers, che era (intelligentemente) l’opposto in tutto di Freddie.
Con lui i due quarti dei Queen originali rimasti in pista pubblicheranno addirittura un Lp di inediti.
Ma è solo un passaggio per arrivare alla clonazione, con il mezzo più adatto a produrre cloni, ossia i talent show che doneranno a Brian May e Roger Taylor un Freddie venticinquenne preconfezionato di nome Adam Lambert.
Raggiunto questo punto, dove altro si poteva arrivare?
C’era ancora un traguardo da raggiungere: la clonazione dell’intero gruppo.
Di più, della sua memoria e della sua storia. È quanto riescono a fare con il bio-pic Bohemian Rapsody in cui un sosia vocale di Freddie si unisce alla notevole protesi dentale su cui è montata la faccia di Rami Malek, per ottenere un credibile avatar cinematografico.
Anzi, a ben vedere nel film sono tutti sosia, tutti aderentissimi agli originali. Purtroppo gli aggiustamenti narrativi sono tanti e tali, che probabilmente la storia raccontata è quella di un altro gruppo.
Meno male che al cinema c’è anche qualcuno che non si nasconde dietro gli artifici (a parte quel minimo di ritocchi estetici indispensabili per affrontare i pugni, i proiettili e il nuovo millennio)