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Nope è un Cowboy contro Alieni che ci ha creduto fino in fondo

Dopo aver visto Nope rimane la sensazione di volerlo rivedere, di voler analizzare ogni singola scena e interpretare ancora di più: la fame della pellicola che finisce senza essere sazi per pura ingordigia. Il film avrà pure finito di raccontare, ma non ho certo finito di amarlo e anzi se potessi farei un rewatch istantaneo. Il che già potrebbe essere sufficiente per dirvi che dovreste andare in sala al grido di Yep, ma Nope fa anche più della mia meraviglia.

 

Per come la vedo io non è epocale quanto Noi, per certi versi si potrebbe dire che Nope prova a raccontare una storia che si può mettere facilmente in diversi generi, tra cui il fantascientifico e il western. È un abito che calza benissimo, adatto a tanti spettatori ma allo stesso tempo impossibile da apprezzare davvero senza un occhio attento e ben conscio della filosofia di Jordan Peele.

 

Normalizzante quanto basta per trarre in inganno e assestare qualche colpo ben messo in una storia che sa di famiglia ma anche di massacro, di controllo e di perdita dell’obiettivo. Smania, inganno e finzione, ma anche gloria e voglia di sacrificare tutto in onore di uno schermo e qualche minuto di assoluto visibilità materiale. Nope è la storia di veri cacciatori di UFO, quella che sarebbe anche la nostra nei panni dei protagonisti, e al contempo la storia di ciò che nasconde il velo della ricerca fine al servizio.

Ed è ironico, quasi, che un film tanto visivo e critico verso l’audiovisivo possa veramente risplendere, tra i tanti punti, proprio nel sonoro. Cercate in tutti i modi di vederlo in un sala che abbia l’attrezzatura giusta per questo aspetto perché in Nope il lavoro fatto in tal senso è fuori scala e capace da solo di raccontare il film anche tenendo chiusi gli occhi. Testimone di quanto affermo è il suono che l’oggetto volante protagonista del film emette fin dalla sua prima apparizione: comincia con un sibilo, porta la totale assenza di suono e poi, dopo il silenzio, gradualmente, inizia a “cantare” e chi ascolta non riesce davvero a capire cosa diavolo sta sentendo.

 

Sembrano urla, metallo che stride, forse il suono dell’aria che si infrange sulla forma elicoidale, magari il residuo di un motore sconosciuto e alieno. Non c’è una vera risposta al tipo di emissione che Nope utilizza per quello che è indubbiamente il protagonista della pellicola, e questo è il primo passo per proporre – per la prima volta e molto concretamente – l’orrore dello sconosciuto e “intangibile” che Lovecraft tanto descriveva nei libri e che non si è mai veramente trasportato fuori da essi.
Nope inquieta mentre ti fa ridere, ti ricorda costantemente che c’è qualcosa di indecifrabile e lontano dall’essere l’amichevole ET di quartiere.

Ogni volta che sta per succedere qualcosa, Nope fa spegnere luci e suono come a preparare l’inizio di uno spettacolo, tutto si distorce per far sparire la normalità apparente, minata costantemente dal senso di mistero e dalle numerose domande che i protagonisti si pongono e voi con loro. Come per ogni altro film di questo regista, vi ritroverete a passare le due ore della sua durata a tentare di decifrare cosa state davvero vedendo, pensando che dopo Get Out e Us forse avete una possibilità in più, ma vi sbagliate. Peele poi è un maestro nel darvi indizi chiave che sembrano fuorvianti quanto spettacolari, in Nope espressi attraverso la macabra vicenda dello show Gordy’s Home, su cui non vogliamo dirvi assolutamente nulla.

 

Per quanto sia il sonoro a spiccare su tutti, Nope è costellato di idee geniali e rimandi vari, ma a stupire come sempre è la tecnica con cui tutto ciò viene mostrato allo spettatore, alla cura nei dettagli e alla caratterizzazione esemplare dei personaggi. Si tratta di un gruppo di campagnoli nostalgici dei cowboy e dei tempi in cui Hollywood usava i cavalli veri, pieni di difetti e un egoismo sfrenato come solo chi è nello showbiz può esporre, eppure amerete ogni singolo di loro poiché anche voi che state sedendo a osservare le loro sciagure siete figli della generazione dello schermo.

Aggrappati come siamo alla mammella catodica del passato che tentiamo di rivivere nel futuro crogiolandoci nei ricordi di una Hollywood che ormai non esiste più. Nope questo lo sa bene e ci gioca, facendovi cullare dalla nostalgia e pugnalandovi con l’inaspettato richiamo all’orrore più corporeo, quello disgustoso che fate finta di ripudiare ma che in realtà volete vedere sempre di più. E sì, questo Peele lo sa bene e vi bacchetta pure mentre vi espone la carota davanti il muso.

 

Sto volutamente evitando di scendere nei dettagli di trama o altro, credo che abbia davvero poco senso discutere di una storia che ha delle basi veramente misere e semplici: ciò che conta in questo caso è l’esperienza, l’andare in sala e capire perché si è lì e cosa vuole comunicare il regista. Le chiavi di lettura sono tante e mai univoche, come nel passato, tuttavia al centro della fotocamera c’è la cultura del cinema e ciò che nasconde, il piegare qualcosa di indomabile e istintivo per tirare fuori un prodotto che fa ridere il pubblico in sala, voi compresi.

 

Nope è la dichiarazione che dovreste fare voi vedendo certe cose, nel rendervi conto di cosa si sta creando e della perdita che siamo disposti a rischiare nel momento in cui le cose sfociano nella tragedia. La stessa risoluzione del film, poi, è davvero un qualcosa che considererete corretto? Siamo forse meglio dei maestri del circo che un tempo seviziavano leoni e tigri se siamo disposti a fare di peggio quando si è protetti da una cinepresa? E se la risposta non è Nope, forse c’è qualcosa che non va.

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