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L'Aldilà secondo American Horror Story

Dal 2014 gira in rete un'affascinante teoria che punta a leggere American Horror Story come un gigantesco parallelo dell'Inferno di Dante Alighieri. Ogni stagione starebbe a rappresentare uno dei nove diversi cerchi infernali e lo stesso Ryan Murphy, co-showrunner della serie, ha nutrito la teoria nel 2017 riattizzando la discussione dal suo attivissimo profilo Instagram.

Al tempo, lo show era arrivato al settimo capitolo e aveva ancora due slot da associare. Quest'anno abbiamo visto la stagione numero 9, e sappiamo già del rinnovo per la numero 10, ma ricordiamo anche che stagione 8, Apocalypse, è stato un crossover tra stagione 1, Murder House, e stagione 3, Coven (per altro, 1 e 3, uno e trino, la stagione era incentrata sul figlio di Satana, boooom!), quindi la teoria dell'Inferno dantesco potrebbe tranquillamente stare ancora in piedi.

Se anche non dovesse rivelarsi veritiera, la teoria infernale ha comunque centrato uno dei punti chiave di tutta American Horror Story, ovvero l'ossessione per cosa c'è al di là della morte. Sette su nove stagioni dello show contengono l'apparizione di uno o più fantasmi, il che non costituisce di per sé una novità: c'è un fantasma anche in Pose e uno in The Politician, ma sono i tipici fantasmi proiettati da un subconscio in lutto.

Con AHS gli spettri possono diventare letterali, interagire, essere personaggi autonomi. Possono trascendere, o rimandare, la fine utilizzando speciali luoghi di intersezione tra il mondo dei vivi e quello dei defunti. Ognuno di questi pertugi è differente dall'altro, ha le sue regole e la sua specifica funzione. Tutti sono collegati a un preciso punto nello spazio o nel tempo (come suggerito in prima battuta dai titoli delle stagioni), tutti sono popolati da anime inquiete, tutti sono costantemente bagnati di sangue.

Murder House

La prima stagione di American Horror Story è concentrata su una casa. Il perimetro dell'abitazione contiene un luogo di stallo per fantasmi, chiunque muoia al suo interno rimane intrappolato insieme alla vasta popolazione di spiriti accumulati nel tempo. Dal 1926, infatti, la casa tende ad attrarre sciagure, omicidi, suicidi, stragi e disperazione, a partire dalla tragica sorte (ben meritata) del suo costruttore, la cui morte violenta sembra essere stata la scintilla che ha dato il via alla maledizione. La Murder House è parecchio affollata, ma almeno in una singola occasione si è rivelata non permanente. Uno dei personaggi riesce a passare oltre, a trovare la pace, mentre gli altri continuano a brancolare nel pantano delle proprie questioni irrisolte. Più che un limbo, come suggerito dalla teoria dantesca, Murder House pare un purgatorio, o una versione Ryan Murphy del purgatorio, di chiara influenza cattolica, ma con pennellate di paganesimo, come nel caso della notte di libera uscita che i fantasmi si prendono il 31 ottobre, quando la soglia tra i due mondi rimane spalancata.

Hotel

La notte di Halloween ha un significato particolare anche nella quinta stagione della serie. Tra le mura art decò dell'Hotel Cortez (costruito convenientemente nel 1926), durante la Devil's Night si riuniscono alla tavola del fondatore, James Patrick March, alcuni dei serial killer più sanguinari di tutti i tempi: Aileen Wuornos, Richard Ramirez, John Wayne Gacy, Jeffrey Dahmer e Zodiac. Tutti i partecipanti alla festa sono fantasmi, che annualmente si recano al Cortez per condividere aneddoti e vittime fresche, a loro volta trasformate in spiriti, intrappolati per sempre nel dedalo di camere dell'hotel. Questo luogo di depravazione e tormento ha quindi una duplice natura spettrale: da una parte è una sorta di santuario o di parco giochi, dove gli assassini si riuniscono volontariamente per celebrare il loro sadismo e uccidere ancora; dall'altra è una prigione, nella quale le vittime trascorrono l'eternità come carcerati.

Roanoke

I fantasmi della sesta stagione sono forse quelli più infuriati che si siano mai visti in American Horror Story. Un tempo occupanti della colonia di Roanoke, nel Nord Carolina, i seguaci della feroce Agnes Mary Winstead, amorevolmente ribattezzata La Macellaia, aspettano ogni anno il periodo della Luna di Sangue (fine ottobre) per manifestarsi e interagire con gli umani, che tradotto significa uccidere chiunque si trovi sulla loro proprietà. Al contraio degli altri fantasmi della serie, quelli di Roanoke sono intrappolati prevalentemente dalla loro volontà di restare, non ci pensano neanche a passare oltre. Niente limbo e niente purgatorio, il terreno in questione è il più classico dei luoghi infestati, quelli dove non è possibile la convivenza tra morti e vivi perché i morti sono pieni di risentimento e rabbia secolare.

1984

Con la nona stagione, American Horror Story sposta l'accento da luogo a tempo. Un periodo, o un decennio, posso tenere in trappola meglio di quattro mura o di un recinto, e nessun frammento temporale ha mai fatto più vittime degli anni'80, dai quali proverbialmente non si esce vivi. I protagonisti di 1984 sono infatti ostaggio di un luogo, Camp Redwood, tanto quanto lo sono degli anni in cui hanno vissuto più intensamente, gli sfavillanti anni '80 dell'aerobica e dell'eccesso.

Camp Redwood viene chiamato esplicitamente purgatorio da uno dei fantasmi che si aggiunge alla brigata, ma assume le caratteristiche di un purgatorio ibrido, un luogo di confine spazio-temporale dove gli anni '80 non muoiono mai, mentre coloro che vi sono incastrati muiono continuamente e tornano al punto di partenza. Forse la maledizione che trattiene gli spiriti nel perimetro del campo è proprio l'incapacità di lasciare che il passato sia passato, una nostalgia con effetto boomerang. Quella e una sfrenata tendenza all'omicidio, che in fase purgatoriale certamente non aiuta.

L'utilizzo ripetuto dei luoghi di confine in American Horror Story è molto probabilmente legato alla vita spirituale di Ryan Murphy.

Cresciuto in una famiglia cattolica, chierichetto con una particolare fascinazione per le suore, Murphy è rimasto credente nonostante le note posizioni della chiesa in materia di omosessualità, questione che lo ha coinvolto molto da vicino. Da buon creatore di mondi, si è quindi forgiato un Cattolicesimo progressista che coniuga amore per il rituale e teatralità con spirito di perdono, carità e inclusione dell'emarginato, senza perdere l'occasione di pescare nel mare di materiale horror che popola la mitologia cristiana.

Infatti, non ci sono solo purgatori in AHS, ma non c'è neanche un solo grande Inferno. Chi si guadagna la discesa si trova a dover affrontare un inferno personale specificamente progettato per infliggere il massimo fastidio. Ne abbiamo un assaggio in Coven e in Apocalypse. Se all'Inferno ci si trova isolati nelle proprie sofferenze, nei purgatori si deve invece condividere costantemente. Chi ancora non è materiale da dannazione eterna, chi (forse) ha ancora qualche speranza o non ha ancora esaurito il proprio viaggio, rimane infatti incastrato a metà strada ed è sempre in compagnia.

Per altro, a ridefinire l'impianto dell'Aldilà cattolico ci pensa anche la modalità con cui i personaggi finiscono intrappolati nei purgatori di American Horror Story: nessun Dio condanna e spedisce gli empi a scontare una pena dententiva. Il dramma si consuma trovandosi nel posto sbagliato al momento sbagliato, inciampando in uno dei diversi punti d'America dove malvagità e dolore hanno sedimentato fino a creare un'intercapedine tra vita e morte. In maniera totalmente anti-binaria, la permanenza in questi interstizi può anche non essere del tutto insopportabile. C'è chi nei purgatori si è riunito alla propria famiglia, ai propri cari scomparsi, chi si è fatto degli amici e chi ha scoperto un percorso di redenzione post-mortem. In pieno stile Ryan Murphy, se c'è anche la minima possibilità di salvarsi anima, state sicuri che servirà una comunità. Va bene anche defunta.

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