Tra gli effetti a lungo termine di questa pandemia c’è senza dubbio il mio ritorno al mondo degli anime.
(Mettetevi l’anima in pace, lo so che questo articolo inizia con un pippone sulla pandemia, ma penso che per un po’ staremo ancora ad elaborare questo vuoto cosmico di 3 mesi giustificandolo dicendo che nonostante tutto abbiamo fatto delle cose.)
Non c’è niente di meglio che vedere Neon Genesis Evangelion preso male.
È una serie catartica e guardandola di cattivo umore è modo giusto per farlo.
Anche se la vera perla arriva quando scopri di avere la stessa età dei protagonisti della “generazione di mezzo”.
Cosicché ad una certa di robot e simbolismi pseudoreligiosi non te ne importa nulla e vai sotto all’accurata caratterizzazione psicologica dei personaggi che l’adolescente che aveva visto Evangelion la prima volta aveva accantonato come marginali.
Beata gioventù.
Parallelamente, la maturità ha portato ad una serie di osservazioni di natura stilistica sull’opera che mi ha magneticamente attratto sulla figura di Hideaki Anno, geniale e controverso autore che si è fatto le ossa con Hayao Miyazaki prima di fondare il suo studio Gainax.
Ho fatto quello che ormai da qualche anno è ciò che faccio e che mi impedisce qualsiasi fruizione spensierata e svagata di un’opera: andare alla radice del percorso artistico e da lì risalire ai giorni d'oggi.
Con mia grande sorpresa nell’elenco delle opere di Anno appare Il mistero della pietra azzurra.
Il mistero della pietra azzurra.
Quello di “se un ragazzo tredicenne salverà un’acrobata del circo della stessa età da una banda di cattivi che non molla mai ma che splendida avventura tu vivrai”
Quel Mistero della pietra azzurra.
Al primo colpo stupore. Poi si iniziano a sovrapporre ricordi e sensazioni e inizi a mettere tutto in prospettiva.
E allora sì, era logico, gli elementi erano tutti lì seppelliti insieme a tutti gli altri dettagli traumatici che ingenuamente sorbivamo nel contenitore pomeridiano di animazione targato Mediaset.
Ne ho approfittato e l’ho rivisto tutto.
Per sovrapporre ricordi discontinui alla realtà.
Sei uno spirito avventuroso?
Nelle leggende cerchi forse la verità che dimora remota e nascosta oltre le terribili cascate del pericolo?
Allora è me che cercherai.
C’è da dire che The Secret of Blue Water (titolo originale) può essere approcciato come diverse cose.
A livello basilare rientra nella categoria di anime che si fanno carico di reinterpretare per il pubblico orientale i grandi classici della letteratura occidentale.
Nel caso specifico adatta 20’000 leghe sotto i mari e L’isola misteriosa, con qualche richiamo qui e là ad altre opere di Jules Verne.
Facile, considerato come lo steampunk sia tra gli stili che più riscontrano il gusto nipponico per la sua facilità nel mischiare elementi di diverse epoche con un grado di sviluppo tecnologico “selettivo” anacronistico.
La storia, per chi non la conoscesse, racconta di Jean, giovane inventore francese che, durante una gara veicoli sperimentali nella Parigi di fine 800 incontra Nadia, circense, sulla Torre Eiffel e la aiuta a scappare da una banda di mercenari intenzionati a impossessarsi del ciondolo che ha al collo, la Pietra Azzurra.
La serie rispetta la tradizione secondo la quale una storia di questo tipo non si ferma mai a come appare durante i primi episodi ma presenta un paio di cambi di scala inaspettati e solitamente drammatici che passano a coinvolgere entità sopraelevate che sfuggono all’umana comprensione.
I due protagonisti si trovano coinvolti nella guerra tra l’equipaggio del Nautilus (quello di Jules Verne, appunto) e l’organizzazione paramilitare di Neo Atlantide, capitanata da un misterioso individuo incappucciato chiamato Gargoyle.
Il cambio di scala delle vicende avviene con l’inquietante aura che accoglie gli adepti di Neo Atlantide, gli strani discorsi di Gargoyle e la tecnologia distruttiva che sembra proprio alimentata dalla Pietra Azzurra di Nadia.
Quasi a voler rilanciare sulla metà della serie visitiamo il continente perduto di Atlantide, consumato da non si sa quel esplosione di energia sconosciuta in quella che è una replica della scena del funerale sul fondo del mare di 20’000 leghe.
E continua quasi con un ritmo costante di rilanci, Anno inserisce nella storia elementi inquietanti che coinvolgono la verità sull’arca di Noe, la natura celeste degli atlantidi e la vera origine dell’uomo, la funzione della Torre di Babele... Insomma la serie e la sua controstoria avrebbe regalato materiale a intere puntate di Vojager con Roberto Giacobbo in tenuta da palombaro.
Eppure riflettendoci era un carico effettivamente un po’ abbondante se consideriamo il target di riferimento del prodotto e la fascia oraria nella quale era inserito, ma eravamo una generazione impavida che mandava giù qualsiasi verità scomoda senza battere ciglio.
L’opera è comunque chiaramente collocata tra lo stile e le ambientazioni care a Miyazaki con il tema dell’ambientalismo, i bambini che rappresentano la speranza per il futuro contro adulti che rappresentano invece gli errori persistenti delle generazioni passate (qui ci sta anche tutto l'influsso delle paura dell'Atomica), il rapporto tra sviluppo tecnologico e natura, e il pessimismo catastrofico con inquietanti verità celate all’uomo che è tipico di Evangelion.
Simile quindi dalle parti di Laputa il castello nel cielo e Nausicaä della Valle del vento pur senza raggiungere quella delicatezza nel disegno che caratterizza l’opera dello Studio Ghibli.
È tutto brillante come lo ricordiamo insieme ai tempi belli di una gioventù che non c’è più?
Ovviamente no.
Sul piano tecnico decisamente no, con animazioni che ci risultano immediatamente datate e incostanti.
Nemmeno sul piano della narrazione esprime al meglio le capacità di Anno, per dire, che sembra evidentemente soffrire la lunghissima serializzazione dell’animazione tradizionale giapponese: 39 episodi sono un’enormità se li paragoniamo alla suddivisione in stagioni da 10-12 puntate che rappresenta lo standard attuale e a quello che farà in 26 solo quattro anni dopo con Evangelion
Ad esempio un grandissimo momento di stanca lo sia ha dopo la distruzione del Nautilius, quando i due protagonisti (e mascotte al seguito) si ritrovano naufraghi prima su di un’isola deserta e dopo su quello che si scoprirà essere il Red Noah.
Dal naufragio a questa ulteriore rivelazione passano in mezzo gli episodi più deboli della serie, complice il cast ristretto dei personaggi, l’ambientazione “minima” e il modo in cui è invecchiata la caratterizzazione dei personaggi, un po’ ingenua ancora ancorata a valori “assoluti” che ne muovono le azioni.
Così Nadia è fissa sulla sua idea di vegetarianismo stretto (oggi sarebbe una nazivegan?) e le sue motivazioni sono strazianti nella loro angosciante semplicità e nessuna delle cose che le capitano è in grado di cambiare questa sua convinzione.
Similmente, Jean è un personaggio positivista e razionale e si porterà questo tratto caratteriale per tutta la vita con la sua convinzione che la scienza e la meccanica siano l’unica possibilità per il progresso dell’umanità nonostante venga a sapere di come la società di Atlantide sia collassata a causa del suo sviluppo tecnologico e non si sia riusciti a evitare la catastrofe.
Insomma, restiamo nel campo di uno sviluppo dei personaggi estremamente lineare, questo sì, molto alla portata del pubblico di riferimento e che non presenta alcuna svolta tortuosa.
Ad essere divertente è invece quanto delle idee migliori di Anno sono qui già presenti in potenziale e lasciate sedimentare per poi sbocciare del tutto in Evangelion.
Durante il viaggio del Nautilius al Polo Sud ad esempio è mostrato una enorme cavità sotterranea colma di liquido rossastro spaventosamente simile al Geofront dove è situata Neo Tokyo 3, ed è impossibile non pensare al disastro del Second Impact che ha spazzato via tutta la vita lasciando solo liquido scarlatto inadatto alla vita e colonne di sale.
Sul finale, durante uno degli spiegoni autocompiaciuti da cattivo di Gargoyle vengono mostrate alcune scene che ricordano molto da vicino il contenuto del Terminal Dogma.
Vediamo i vari esperimenti sulla creazione di esseri umani compiuti dagli Atlantidei contenuti in cilindri ricolmi di liquido molto simili ai cilindri contenenti i cloni di Rei utilizzati per sviluppare il Dummy System.
In un'altra scena ambientata all'interno del Red Noah compaiono cadaveri di giganti che affiorano dalle pareti fino a culminare in quello che è quasi uno spudorato riferimento, il primo prototipo di essere umano, il gigantesco Adam praticamente indistinguibile dalla carcassa di un Eva.
Se fossimo un sito nerd di becero clickbait sensazionalistico avremmo titolato l’articolo come I MOTIVI PER I QUALI NEON GENESIS EVANGELION È IL SEGUITO DEL MISTERO DELLA PIETRA AZZURRA e avremmo iniziato a speculare di come nell’anno 2000 di quella serie, quindi un secolo dopo la fine della storia, in quel mondo avvenga il Second Impact.
Ma siamo di un'altra pasta e sappiamo come la mente degli autori viva di ossessioni e suggestione che si alimentano e si accrescano fino a diventare i prodotti che noi fruiamo e che molto spesso tutte le connessioni complesse tra le opere siano frutto di queste idee ricorrenti più che di una vera e improbabile pianificazione a lungo termine magniloquente e omnicomprensiva che vive solo nella mente eccitabile dei fan.
La Pietra Azzurra ed Evangelion hanno caratteri di similitudine perché dobbiamo entrambe le serie a quell’autore eccezionale che è Hideaki Anno.
Anche i riferimenti visivi si sprecano, specialmente nella rappresentazione della tecnologia che, anche se non raggiunge mai i livelli di maniacale complessità di Evangelion presenta anche qui alcune idee che vedremo svilupparsi successivamente.
La prima e più facile da identificare è il momento con i portelloni a tenuta stagna che si chiudono in sequenza. Non tutti insieme. In sequenza a uso e consumo dello spettatore che così gode della prospettiva di un corridoio vuoto con porte che si serrano.
L’avrete vista decine di volte.
La disposizione dell’equipaggio del Nautilus e il suo comportamento militaresco ricordano il modo in cui operano i membri della Nerv nel Centra Dogma quando sono sotto l’attacco degli Angeli.
Altri elementi stilistici lampanti: la tuta di Electra quando è a bordo del Nuovo Nautilius è uguale ad una Plugsuit (per la gioia di tutti i feticisti delle tutine attillate), lo stesso Nuovo Nautilius ha un gusto estetico che ricorda molto la vicino il mech design degli Eva e che si distacca moltissimo da quello di tutti gli altri elementi tecnologici che appaiono nella serie fino a quel momento.
Il Nautilius così si va ad aggiunge alla tradizione dei grandi incrociatori della storia dell'animazione giapponese, insieme alla Yamato e all'Arcadia.
Le aeronavi di Neo Atlantide con la loro geometrizzazione estrema richiamano alla mente l’angelo Ramiel, (Quello dalla forma di ottaedro), e anche il Red Noah, quando è in volo, unisce alla voglia di reinterpretare il concetto di “disco volante” un’attenzione per le forme pure come astrazione di un concetto che classifica il velivolo come inequivocabilmente alieno.
Durante lo scontro tra il Nuovo Nautilius e il Red Noah i due campi di forza generati dalle navi cozzano e si comportano come AT Field.
L’imperatore Neo fatto a pezzi e poi trasformato in androide da usare come burattino da Gargoyle ha, praticamente, un Umbilical Cable che lo alimenta e, nonostante gli venga tolta la corrente, ha una volontà umana ancora così forte da riuscire a muoversi privo di alimentazione, come fanno gli Eva in Berserk.
Lo stesso Neo ha una caratterizzazione estremamente perturbante ma che ci ricorda in qualche modo Rei, il first children creato in laboratorio con lo scopo di scatenare il thirt impact orchestrato da Gendo Ikari e che nel corso della serie viene ripetutamente chiamata “bambola” da Asuka.
Ultimo ma non ultimo, un dettaglio per gli amanti dell’animazione che si fa furba per necessità: gli accoliti di Neo Atlantide indossano tutti una maschera che oltre ad essere estremamente inquietante e a turbare i sogni del me bambino (perturbato ma per davvero) è comodissima nel momento in cui bisogna ottimizzare l’animazione. Una maschera non si muove e quindi non ha espressività facciale e non bisogna ridisegnarla ogni volta che fa un lungo discorso autocompiaciuto da villain.
1902
Ormai siamo abituati ad anime che finiscono in modo “vago”, lasciando allo spettatore contemporaneo quell’ordinario senso di “ci si capisce, non ci si capisce”, ma all’epoca evidentemente un pubblico poco malizioso necessitava di un’imbeccata per aiutarlo a risolvere tutte le cose lasciate in sospeso dal bel finale carico di speranza dell’ultima puntata, con il Red Noah che precipita come una cometa non prima del sacrificio di Nemo per permettere a sua figlia e all’equipaggio del Nautilius di mettersi in salvo.
A questo scopo viene aggiunto questo controfinale, quasi una dramatis personae bella didascalica, a chiudere tutte le trame sentimentali dei personaggi.
Ed è veramente molto cringe.
Sembra provenire doppiamente da un’epoca lontana, un po’ dipende dalla datazione dell’anime, un po’ dalla localizzazione temporale della storia, eppure nonostante queste belle e chiare premesse l’effetto è quello delle unghie sulla lavagna.
Nadia e Jean che si sposano e continuano esattamente la vita come prima, quindi lei Nezivegan, lui Otaku ante litteram ma con figli. Quindi lo spirito di Nadia non era poi così indomabile, dopo tutto. Facile immaginarla sostituire le sfuriate con frecciate passivo aggressive.
Ma quello veramente che al giorno d’oggi è inguardabile è l’epilogo della piccola Mary, l’orfanella salvata durante il primissimo scontro con Neo Atlantide: lei e Samson finiscono per sposarsi.
Tra u due almeno 20 anni di differenza.
Come Woody Allen.
Samson nel ruolo dell’inevitabile figura maschile forte di riferimento per la piccola orfanella che dalla morte della sua famiglia non ha avuto più figure genitoriali stabile.
Al culmine del cringe c’è lei che si dice contentissima di essere in attesa del loro primo figlio così da poter passeggiare la domenica nel parco con Nadia e i suoi bambini. Che adesso suona come procreare per avere un figlio da usare come bene posizionale.
Ad avere una fine coerente con gli standard odierni, per quanto sempre frutto di una caratterizzazione a grana grossa dei personaggi, Hanson che diventa industriale top e probabile sfruttatore capitalista e Grandis che invece rifiuta ogni relazione stabile e duratura pur continuando a vivacchiare di ciò che le passano i suoi spasimanti.
Il Mistero della Pietra Azzurra finisce così e se lo accostiamo a The End of Evangelion restiamo legittimamente scossi.
Un’altra epoca, un altro tipo di prodotto e soprattutto un altro target e una libertà artistica differente.
Se paragoniamo i nostri ricordi con la realtà dei fatti urtiamo inevitabilmente contro il muro dell’idealizzazione. Infrangendo questa barriera iniziamo a renderci conto delle effettive dimensione delle cose che abbiamo relegato ad un passato intoccabile e che ha creato una sacca di dannosissimo Nostalgismo.
Rapportato al presente un prodotto di questo tipo è ancora oggi estremamente godibile riconoscendone gli immancabili limiti.
Però nel confronto tra idea e realtà si colgono un sacco di dettagli che non banalizzano l’esperienza chiudendola all’intento del binomio bello-brutto.
Il Mistero della Pietra Azzurra visto oggi ha un anima duale: la narrazione ad ampio respiro è quella che dà il meglio di sè, dato che presenta seppur in stato embrionale temi e ossessioni dell'autore, ma contemporaneamente mostra il fianco ad una costellazione di difetti e storture che sono inevitabili se confrontate al gusto contemporaneo.