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Il Joker, letteralmente: "L'uomo che ride" diventa un fumetto.

Joker

 

Il Joker è uno dei personaggi più iconici della cultura supereroica, e forse il villain più iconico in assoluto. Il Joker interpretato da Heath Ledger (2008) e quello di Joaquin Phoenix (2019) sono divenute icone riconosciute di un certo ribellismo radicale, scalzando la precedente maschera sorridente di “V for Vendetta”, creata dal fumetto di Alan Moore e dal film sceneggiato dalle sorelle Wachowski (qui una ampia analisi della figura del Joker filmico). Al punto che “Sei proprio come il Joker” (o, meglio ancora, ironicamente, “Giocher”) è un modo diffuso di ironizzare - anche in meme e simili - su chi assume atteggiamenti “edgy”, ovvero provocatoriamente estremi, online e nella vita reale.

 

 

Ma se il Joker è attualissimo, le sue radici dirette affondano nella cultura alta, e in particolare, come vedremo, in un romanzo di Victor Hugo (1802-1885), “L’homme qui rit” (1869), “L’uomo che ride”, poco noto ma interessantissimo. Oggi Edizioni NPE pubblica in Italia l’adattamento fumettistico realizzato da David Hine (n. 1956), sceneggiatore di lungo corso del fumetto supereroico, con i disegni di Mark Stafford. Hine, di cui qui si riporta una interessante postfazione, aveva omaggiato già l’opera su “Batman e Robin” nel 2011, per poi approfondire l’opera originaria e realizzare questo fumetto nel 2013. Come dichiara lo stesso Hine, la sfida era quella di mantenere una notevole fedeltà all’opera originaria, evidenziando sia i punti di contatto che le differenze con l’idea del Joker. Il risultato, come ora diremo, è sorprendente.

 

"L'uomo che ride" nel film del 1928

 

La filiazione dal Joker dall’Uomo che ride, innanzitutto, non è una semplice suggestione o influenza, ma è riconosciuta nella storia canonica di Batman. I creatori del personaggio, Bob Kane, Jerry Robinson e Bill Finger (al di là delle note discussioni sui ruoli reciproci) nella fase di creazione rimasero colpiti dalla locandina del film “L’uomo che ride” (1928) di Paul Leni, uno dei registi cruciali dell’Espressionismo tedesco, dove il protagonista era interpretato da Conrad Veidt. Una filiazione quindi indiretta, ma anche in questo significativa, perché il cupo clima gotico di Gotham City arriva, in questo come in altri aspetti, dalla lezione del cinema “gotico” anni ’20, che a sua volta però, in questo caso, si fonda sulla rinascenza “gotica” di età romantica.

 

Il Joker del 1940.

 

Hugo, che aveva iniziato la sua carriera con la pubblicazione delle prime liriche nel 1822, era divenuto leader del movimento romantico con “Cromwell” (1827) ed “Hernani” (1830); l’età cromwelliana apparirà citata anche nell’Uomo che ride in chiave anti-monarchica. “Notre-Dame de Paris” (1831) è il primo capolavoro immortale – di cui è nota anche l’infedele ma graficamente affascinante ripresa disneyana – che, di nuovo, pone molti temi “gotici” che ritornano nell’opera che andiamo esaminando (i creatori stessi di Batman citano per il Joker l’intento di avere un effetto alla Quasimodo, mostruoso “re del Carnevale”). “Il re si diverte” (1832), che diverrà poi ispiratore del Rigoletto verdiano, ha il tema del buffone di corte, malvagio e patetico a un tempo. Segue una serie di grandi lavori, culminati nei “Miserabili” (1862), dopo 17 anni di gestazione.

 

 

Dopo quest’opera, che lo consacrò nel successo popolare (pur non mancando gli strali dalla critica dotta), Hugo ambiva a creare una trilogia politica, su cui inizia a lavorare tra 1861 e 1863, parlando in un volume dell’aristocrazia – questo – uno della monarchia, e un ultimo della rivoluzione. La cosa venne spiegata nell’introduzione dell’Uomo che ride. Alla fine usciranno solo questo e il volume sulla rivoluzione, “Quatrevingt-treize” (dedicato al 1793 in Francia), nel 1874: l’ultimo romanzo di Hugo. “L’uomo che ride” viene così visto come un romanzo filosofico, troverà molte critiche artistiche per la sua natura concettosa e speculativa, ma anche un endorsement di livello da Zola, che lo disse “superiore a tutto quanto Hugo ha scritto da dieci anni. Vi regna un soffio sovraumano”.

 

 

La versione fumettistica di Hine rivela una notevole abilità dell’autore nell’adattamento fumettistico, dato che riesce a mantenere una certa fedeltà alla trama originaria e, al tempo stesso, riassemblarla in una formula che funziona nella dimensione necessariamente più breve del fumetto, con testi icastici ed efficaci resi in modo scorrevole nella traduzione di Gloria Grieco. L’impostazione di tavola scelta per l’albo è basata su una griglia di stampo francese, con occasionali variazioni come frequenti inset page e occasionali splash page, e numerose efficaci tavole mute dove è solo il disegno a raccontare dei drammi dei protagonisti. Come osserva anche il coautore Mark Stafford in una intervista sull'opera, la difficoltà principale è per lo sceneggiatore adattare in un medium visivo ("Show, don't tell) un autore che è l'archetipo del grande narratore ottocentesco ("Tell, don't show"). Una fedeltà che passa anche per la vicinanza del segno di Stafford e, per certi versi, della narrazione sequenziale di Hine alla ricca messe di illustrazioni ottocentesche dell'opera: non in modo derivativo o citazionista, ma nella suggestione della stessa atmosfera.

 

André Gill su "L'Eclipse" illustra, all'epoca dell'uscita, la sequenza iniziale dell'opera.

 

L’aspetto più interessante è però ovviamente il modo in cui Hine ci fa cogliere quanto resti del testo originario nel personaggio dei fumetti: non, paradossalmente, tanto nel Joker originario, ma nella sua reinterpretazione. Le magnifiche tavole iniziali della tempesta e del naufragio – molte mute, con una realtà avvolta in una turbinosa tenebra - ci danno una volutamente oscura “origin story” del mostro “patetico”, che viene salvato da Hursus, medico itinerante, e dal suo lupo Homo (con riferimento all’hobbesiano “Homo Homini Lupus” che viene messo in scena nell’opera).  Gwynplaine, questo il nome del protagonista, diviene presto l’attrazione principale del baraccone itinerante. Egli però, orrendo, soffre del disprezzo del popolo – fuori dal suo ruolo di “fenomeno da baraccone”, letteralmente – e soprattutto non si sente degno dell’amore di Dea, la fanciulla cieca che lui ha salvato.

 

 

A questo punto, però, un’intricata congiura di corte, che ha poco da invidiare a Games of Thrones, lo porta a riscoprire le sue vere origini altolocate, immettendolo a corte dove, nel suo nuovo ruolo di pari d’Inghilterra, ha modo di sferzare la nobiltà corrotta. Sembra di vedere, per l’appunto, le interpretazioni più moderne del Joker, da “The Killing Joke” di Alan Moore in giù, dove – secondo i dettami della decostruzione entrata in vigore nella Dark Age del fumetto supereroico – si vanno a indagare le ragioni profonde del personaggio. Gwynplaine, a differenza del Joker, non è malvagio, è per ora solo esasperato e amareggiato dalle durezze della vita: per paradosso, verrebbe facile immaginarne l’evoluzione del villain dopo la conclusione tristissima del romanzo, i cui eventi potrebbero essere la causa scatenante che lo trasforma in un villain “seriale”, supereroico o no.

 

 

C’è anche una potenziale vicinanza alla figura di V in V for Vendetta, senza appunto che l’Uomo che ride si faccia vendicatore. Questi infatti assume come propria identità la maschera sorridente di Guy Fawkes, artefice della congiura delle polveri contro il parlamento inglese (dove Gwynplaine tiene la sua accesa orazione) nel 1605, relativamente poco prima della repubblica di Cromwell (1649-1660) che invece è alle spalle degli eventi dell’Uomo che ride, ambientato a fine ‘600.

Appare inoltre curioso che Joaquim Phoenix, nel creare la nuova maschera recitativa del Joker, abbia realizzato uno studio sul film del 1928, reso evidente da un parallelo tra fotogrammi delle due pellicole. Ma quel sorriso deformato divenuto iconico appare già molto simile sul frontespizio del romanzo originale.

 

 

In tutto questo, un ruolo fondamentale nel fumetto hanno i disegni e i colori di Mark Stafford, perfettamente funzionali ad evocare un certo immaginario dei fumetti di Batman. Non tanto quello realistico che si è imposto più di recente, ma – pur nel segno personalissimo di Stafford – quello più inquietantemente cartoonesco delle origini, o vicino a noi quello della serie animata di  Bruce Timm, Paul Dini, and Mitch Brian, segno in parallelo recuperato spesso anche nei comics. Ovviamente, Stafford adotta qui un segno cartoonesco ma nervoso, scavato, con neri accentuati incisi in modo quasi xilografico (perfetta evocazione del clima secentesco) e infuocati da una colorazione di grandissima efficacia espressiva, dai toni solitamente accesi e drammatici. Spesso, nelle numerose tavole mute o con poco testo, sono i disegni a reggere con efficacia la narrazione, tramite l’accurata recitazione dei volti e dei corpi, di notevole efficacia drammatica anche grazie alla studiata caricaturalità più cupamente grottesca che tradizionalmente comica.

 

 

L’opera di Hugo quindi, vista a posteriori dal nostro oggi, è un passaggio fondamentale per la nascita di un certo archetipo di mostro sia patetico che inquietante (come era già Quasimodo, per altri versi) che trova la sua più compiuta incarnazione odierna nel Joker. Forse questa sorprendente attualità dell’opera – certo anche tramite la rilettura di Hine, comunque fedele – passa dal fatto che si tratta di una tappa della rielaborazione di un mito più antico.

 

 

La figura del Joker - come quella dell’Uomo che ride - affonda le sue radici etimologia nell’immaginario stratificatosi sul Giullare (dal provenzale Joglar, a sua volta dal latino Iocularis, “giocoliere”), prima forma di letterato professionista nel passaggio da Alto a Basso Medioevo con la rinascita del Mille, figura di corte non appartenente alla nobiltà, con una certa libertà di parola fino alla crudeltà assoluta della beffa dei potenti per il loro stesso intrattenimento ma anche esposto a una condizione instabile e pericolosa.

Nell’ambito delle carte, una figura indubbiamente cruciale è il Matto dei Tarocchi, ispirato alla Stultitia di Giotto nella Cappella degli Scrovegni (1306) nella sua figurazione giullaresca. Nel tarocco tale figura ha un significato iniziatico particolarmente potente, poiché si tratta dell’unico arcano privo di numero, inizio e fine quindi del cerchio tarologico (su questa sua valenza riflettono anche Jodorowski e Moebius nel loro “Incal”, tramite la figura del protagonista Difool). Dal Matto deriva poi la figura moderna del Jolly Joker, che curiosamente appare nelle comuni carte da gioco proprio nel corso degli anni ’70 dell’Ottocento, per finire poi nelle mani del Joker come bizzarro e terrificante biglietto da visita con cui firmare le proprie malefatte.

 

 

Oggi questo fumetto – ora, anche in ambito italiano – inserisce un nuovo tassello nella mitologia generativa del personaggio, e per questo si tratta di un cimelio di grande interesse per i molti devoti di Jack Napier, o Arthur Fleck.

 

 

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Titolo: L’uomo che ride

Collana: Clouds

Numero in Collana: 17

ISBN: 9788836270040

Autori: David Hine, Mark Stafford

Traduzione: Gloria Grieco

Formato: 1 volume 21x30 cm, cartonato a colori, pg.168

Prezzo: 22,50 euro

Editore: Edizioni NPE

Data di uscita in libreria di varia e fumetteria: 17 giugno 2021

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