Questo mese è dedicato su Nerdcore ai "dietro le quinte" della cultura pop. Ho allora voluto addentrarmi in un recente graphic novel che ho molto apprezzato, quello di Giuseppe Di Bernardo dedicato al tema del Mostro di Firenze. Di quest'opera ho anche scritto sul mio blog personale, qui, ma ho approfittato della disponibilità dello sceneggiatore fiorentino per confrontarmi con lui su quest'opera affascinante. Un "dietro le quinte", dunque, dei piccoli segreti del suo romanzo a fumetti: perché il "dietro le quinte" delle vicende del Mostro sfugge alle mie possibilità di indagine, e temo non sia nemmeno prudente esplorarlo. Per chi proprio vuole, forse, in questo fumetto si può trovare qualche traccia per addentrarsi in un così pericoloso bosco narrativo.
Giuseppe, grazie dell'intervista e benvenuto su Nerdcore! Sei lo sceneggiatore del fumetto italiano che, probabilmente, si è più cimentato in argomenti esoterici e “cospirazionistici”, con “L’Insonne” e poi con “The Secret”. In che modo nasce l’idea di affrontare un tema come il mostro di Firenze?
Bisogna partire da lontano. Ho passato buona parte della mia adolescenza sulle pagine di libri come "Non è terrestre" di Peter Kolosimo o "Il Mattino dei Maghi" di Pauwels e Bergier, autori che portano il fantastico nel reale e sono capaci di farti credere l'impossibile. Quelle letture hanno stimolato la mia curiosità per il mondo "altro", anche se ho sempre cercato di mantenere un approccio razionale e logico. In quegli anni ero l'amico che chiamavi se vedevi qualcosa di strano in cielo o sentivi voci misteriose arrivare dall'interfono della camera dei bimbi. Un Fox Molder de' noantri. Ho riversato questi interessi su "L'Insonne" e poi, molto più massicciamente, su "The Secret". Proprio mentre cercavo informazioni alternative per infarcire le mie storie, mi sono imbattuto nelle teorie che legavano i delitti del Mostro di Firenze con quelli di Jack the ripper fino ad arrivare alle misteriose organizzazioni esoteriche che ci sarebbero state dietro. Una ipotesi molto suggestiva, senza dubbio, così l'ho voluta indagare cercando elementi concreti che però, non ho trovato. Proprio questa esperienza mi ha portato a dubitare moltissimo delle parole dei presunti esperti di queste tematiche. Dietro la facciata di ricercatore alternativo, spesso si cela solo una persona che cerca, per varie ragioni, di assurgere a ruolo di guru, Cassandra o depositario di chissà quale segreto celato ai più. Non sto dicendo che questi argomenti siano sciocchezze, ma che troppo spesso vengono trattati nel modo sbagliato: con derisione a prescindere da parte degli scettici e accettazione incondizionata da parte dei believer. La verità è la fuori, ma bisogna avere ottimi occhi per vederla, e se invece è dentro di te, serve, prima di tutto, conoscersi bene. Ho iniziato la mia piccola indagine sul Mostro di Firenze cercando gli elementi che confermassero la pista esoterica e invece ho trovato solo le evidenti tracce di un assassino seriale molto particolare. Faccio un paio di esempi. Pochi giorni prima dell'omicidio dei ragazzi francesi, nel 1985, i due sarebbero stati avvistati a campeggiare a Monte Morello e poi allontanati da un guardiacaccia. Sul luogo si erano rinvenuti dei cerchi di pietre a cui erano stati dati significati esoterici e rituali. Peccato che nella data dell'avvistamento i due ragazzi non erano ancora neppure arrivati in città e gli scontrini trovati nell'auto lo provavano. Semplicemente non erano loro. Nel 1974, il corpo della povera Stefania, viene profanato con un tralcio di vite sulle quali interpretazioni sono stati versati fiumi di inchiostro: la vite, simbolo biblico della vita e della rinascita, fino ad arrivare a complottistiche previsioni sul nome del Procuratore che avrebbe successivamente ereditato le indagini. Il punto è che la macchina era parcheggiata in una vigna. E' più logico pensare che l'assassino cercasse la prima cosa disponibile per soddisfare la sua pulsione, piuttosto che abbia scelto la vite per un motivo esoterico. Sarebbe stato un messaggio se avessimo trovato un ramo di acacia, pianta simbolica e che non si trova in quell'ambiente. Cerca trova, scrisse Vasari, e noi spesso troviamo quello che vogliamo trovare.
Come nasce l’incontro con Vittorio Santi, il disegnatore di questo fumetto? Cosa ci puoi dire del “dietro le quinte” del processo di produzione dell’opera?
Vittorio è stato mio allievo ad un corso di fumetto organizzato da Lucca Comics ormai 10 anni fa. Da allora è cresciuto moltissimo ed è diventato davvero molto bravo. L'ho seguito in questi anni e questa storia, così cruda mi sembrava perfetta per le sue pennellate di bianchi e neri drammatici. Spero sia solo la prima di molte altre collaborazioni. Il lavoro è andato via spedito, Vittorio mi faceva vedere i bozzetti, ne parlavamo, si aggiustavano i dettagli e si procedeva. Ricordo di avergli fatto spostare un albero a Mosciano perché non quadrava con la dinamica degli spostamenti del killer e di avergli fatto aggiungere i calzini di Natalino (gli appassionati sanno di cosa parlo). Vittorio si è appoggiato moltissimo alle ricostruzioni fotografiche di Antonio Segnini che approfitto per ringraziare, visto che mi sono scordato di farlo sul volume.
L’impostazione di tavola appare piuttosto moderna per il fumetto italiano, lontana dalla griglia bonelliana classica e più vicina a soluzioni del fumetto americano, specie quello non supereroico. Come nasce la scelta di un montaggio di questo tipo?
Visto il formato da graphic novel, dovevamo star lontani dalla gabbia bonelliana classica. Ho lasciato Vittorio libero di esprimersi come preferiva, indipendentemente, cercando di intervenire solo comunicandoli quello che volevo venisse trasmesso al lettore. Vittorio è stato eccezionale ed è andato oltre, trasferendo su carta l'angoscia di quelle scene, ma senza mai indugiare sugli aspetti morbosi che, in una storia come questa, sono sempre in agguato.
La citazione dantesca di apertura appare molto significativa: sembra dirci che questa è un’opera che bisogna leggere in controluce, con attenzione ai dettagli. Ci confermi questa percezione?
Per me le storie sono come delle lasagne, sono buone solo se hanno tanti livelli di lettura: qeullo apparente, dei testi e dei disegni, da prendere così, senza farsi domande, poi c'è un livello più criptico, che deve impegnare il lettore come se fosse un gioco di enigmistica. Il lettore, come se fosse un iniziato, deve guardare i dettagli, quel quadro appeso al muro, oppure il significato simbolico di un nome e intuire quello che l'autore vole suggerire tra le righe come si trattasse di una confidenza. Purtroppo raramente il lettore si presta a questo gioco, il più delle volte perché neppure si accorge che sta giocando.
Senza svelare il contenuto, l’interpretazione che dai del mostro potrebbe assumere anche un valore simbolico, del Mostro come sintesi del lato violento di una società che si ritiene totalmente “civilizzata”, e rimuove il suo lato mostruoso. Concordi con tale ipotesi?
Il Mostro di Firenze sembra cogliere e concretizzare una resistenza psicologica della società di quegli anni. Erano gli anni della rivoluzione sessuale, della liberazione dei costumi e dell'emancipazione femminile. Un'onda che ha impattato su una società che non era affatto contenta di quello che stava succedendo. Il cinema e la letteratura popolare hanno colto questo sentimento di resistenza e l'hanno incarnato negli assassini seriali che imperversavano sul grande schermo. Il Mostro di Firenze ha trasformato il succo di pomodoro che scorreva a fiumi sulle pellicole, in sangue reale, diventando lui stesso protagonista e interprete dei mostri del cinema. Ma attenzione, io credo che questa metamorfosi si compia solo nel 1981. I primi due delitti, 1968 e 1974 avvengono per cause diverse, più personali. Solo nel 1981, quest'uomo, chiunque sia, si guarda indietro e si accorge di avere due delitti alle spalle, compiuti per motivazioni diverse ma molto simili nella dinamica. Si rende conto di essere uno di quei mostri del cinema, mostri che come vigilanti notturni uccidono chi si apparta per cercare un po' di intimità. Sono decine le pellicole dell'epoca che mostrano l'aggressione ai danni di una coppia in auto. Un caso? Si immedesima talmente tanto nella figura dell'assassino imprendibile che confeziona anche una busta da mandare agli inquirenti contenente un frammento di tessuto umano come aveva fatto Jack lo squartatore con l'invio di metà rene. Tra l'altro, ironia della sorte, se sulla "b" mancante di Repubblica si è discusso a lungo, allo stesso modo si è discusso sulla parola "knif" contenuta nella lettera dell'assassino di Whitechapel. Detto questo, ci tengo a sottolineare ancora una volta, che la storia narrata nel nostro volume a fumetti è solo ispirata alla vicenda del Mostro di Firenze. Si tratta di una storia di fantasia e lo testimonia il fatto che nell'ultima pagina compare Desdemona come a inserire la trama nell'universo narrativo de "L'Insonne". Come è scritto chiaramente sul volume, ogni riferimento a persone reali è puramente casuale.
Molti elementi anche non dichiarati apertamente sembrano avere rimandi precisi, per il dettaglio accurato della rappresentazione. Ad esempio, il palazzo di p.5, la sala riunioni di p.6 (dove, al di là dell’”Origin du monde”, vediamo numerosi ritratti che non appaiono casuali) e così via. Vuoi chiarire qualche riferimento significativo?
Il poeta non dovrebbe mai spiegare i significati nascosti della sua poesia. I ritratti al muro permettono, ai più attenti, di chiarire in quale contesto politico si sta svolgendo la riunione. Le persone riunite in quella stanza, con la rosa dei venti che fa bella mostra di sé sul pavimento, rappresenta chi si opponeva al cambiamento degli anni sessanta, sia di costumi che politico. Non credo ci sia stato un grande vecchio che abbia orchestrato tutto, ma tante forze che si sono mosse nella direzione opposta al cambiamento. Quei ragazzi capelloni che protestavano per cambiare il mondo andavano fermati e ogni mezzo era lecito. Qualcuno ha usato le bombe, altri hanno favorito il diffondersi delle droghe, altri hanno puntato sulla pornografia come antidoto all'amore libero e qualcuno ha interpretato quella filosofia ammazzando chi manifestava la propria libertà andando a fare l'amore in auto. Come credo appaia chiaro nella storia, il Mostro non era guidato da una organizzazione restauratrice, ma ne condivideva profondamente gli ideali, oppure li usava come scusa, come giustificazione al fatto che adorava ammazzare.
Un aspetto molto interessante è l’intersezione delle vicende del mostro con film che presentano la figura di mostri archetipi al cinema, a partire da M, il mostro di Dusseldorf, ma proseguono per tutta la vicenda. Come nasce questo tipo di scelta?
La maggior parte dei "mostrologi" ritiene che l'assassino delle coppiette fosse un "lust murder", mentre io ritengo che si trattasse di uno psicopatico narcisista maligno, una personalità istrionica, che traeva soddisfazione dal ruolo sociale che interpretava e dal irridere le istituzioni. A mio parere, le mutilazioni erano soltanto un atto accessorio, spaventosamente simbolico. Sono fortemente convinto che il cinema e la letteratura nera dell'epoca abbiano influenzato il maniaco di Firenze e a sua volta, le sue gesta abbiano alimentato l'immaginario collettivo. Trovo estremamente interessante che gli omicidi siano terminati quando è arrivato al cinema il film di Ferrario dedicato ai delitti. L'assassino ha chiuso il cerchio ed è stato consegnato al mito.
Curiosamente, la vicenda del Mostro di Firenze si è intrecciata anche col fumetto, come tu hai ricostruito bene sul tuo blog. La cosa ha inciso in qualche modo in questo tuo lavoro?
La storia è complessa e cerco di riassumerla. Nel 1982 esce il fumetto "L'assassino del bisturi" per la Ediperiodici. Si tratta di un porno che ripercorre le gesta del mostro, ma che aggiunge la mutilazione del seno della vittima, cosa che il mostro inizierà a fare solo due anni dopo. Nella notte del delitto del 1984, arriva una strana telefonata anonima ad una stazione dei Carabinieri della zona. Il telefonista si identifica come "Signor Farini". La cosa inquietante è che il protagonista del fumetto uscito due anni prima si chiama, guarda caso, Farini. Il mio contributo alla ricerca è stato quello di identificare il nome degli autori del fumetto, sconosciuti fino a qualche mese fa: disegni di Luciano Bernasconi e sceneggiatura di Paolo Ghelardini. Indagare sulla faccenda mi ha convinto ancora di più che l'immaginario dell'assassino delle coppiette venisse alimentato dalla produzione cinematografica ed editoriale dell'epoca.
Per concludere, una domanda classica: c’è qualche altro progetto, magari sempre con un sottofondo esoterico, per Giuseppe Di Bernardo come sceneggiatore?
Forse dovrò darti una brutta notizia, ma vorrei dedicarmi ad altro, a meno che non ci sia da lavorare su qualche episodio inedito de "L'Insonne", magari per una bella serie TV. Mi piacerebbe scrivere di fantascienza, magari una space opera, oppure il fenomeno UFO nel medioevo, con una sorta di M.I.B. in salsa fantasy. E mi piacerebbe trasformare la serie de "L'Insonne" in un romanzo. Ne ho già scritto uno dieci anni fa e, prima che sia troppo tardi, vorrei farne uno nuovo. Chissà, magari sarà l'occasione per un nuovo faccia a faccia tra Desdemona e l'assassino delle coppiette.
Ringraziamo molto Giuseppe Di Bernardo della disponibilità dimostrata nel mostrarci il "dietro le quinte" del suo lavoro e delle sue ricerche.